La nuova proposta di legge "Corda" garantisce ai membri delle Forze Armate e di polizia a ordinamento militare (Carabinieri e Guardia di Finanza) di costituirsi in sindacati. Critiche da parte della categoria: "Sindacato spuntato e condizionabile"
Se quella presentata dalla commissione Difesa alla Camera doveva essere una legge-svolta per il diritto dei militari di avere sindacati propri, dopo anni di battaglie e il ricorso alla Corte Costituzionale, da parte di alcune delle neonate organizzazioni di categoria si levano le proteste per quello che in molti hanno definito una proposta “iniqua, dannosa e discriminatoria”, un accordo al ribasso che priva gli uomini e le donne in uniforme di “diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione”, con un testo “molto deludente” che “disegna un sindacato spuntato e condizionabile, poco più che una rappresentanza ‘privatizzata’”.
Il riferimento è alla nuova proposta di legge “Corda” per garantire ai membri delle Forze Armate e di polizia a ordinamento militare (Carabinieri e Guardia di Finanza) di costituirsi in sindacati, diritto di cui i militari non godevano fino alla sentenza della Consulta 120/2018 che, in sostanza, definisce incostituzionale l’articolo 1475 comma 2 del Codice dell’ordinamento militare nella parte in cui vietava a soldati, avieri, marinai, carabinieri e finanzieri di costituire associazioni professionali a carattere sindacale.
La discussione si era già aperta nel corso della precedente legislatura, con la commissione che, a ottobre 2019, aveva partorito un testo duramente contestato, soprattutto nel punto in cui si prevedeva che i sindacati potessero essere costituiti solo dopo l’autorizzazione del ministro: un aspetto che rischiava di presentare profili di incostituzionalità, soprattutto rispetto all’art.39 secondo cui “l’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”. Tanto che, dopo essere approdato in aula, il testo è tornato in commissione per i correttivi.
Nella nuova proposta di legge questo elemento è stato eliminato, ma sono altri i punti che non piacciono ai sindacati. Uno su tutti è quello che riguarda la risoluzione delle controversie per comportamento antisindacale: se come è previsto, ad esempio, per i sindacati di polizia queste vengono risolte di fronte a un giudice del lavoro, per i neonati sindacati militari il ricorso sarà di fronte a un giudice amministrativo. “Una situazione oltremodo irragionevole che prefigura dei limiti di legittimità costituzionale”, scrive in un comunicato il Sindacato italiano autonomo militare organizzato (Siamo), mentre i sindacati Usif, Silf e Sdf dei finanzieri sostengono che questo preciso aspetto è legato alle spinte degli Stati Maggiori per “la ‘diversa’ sensibilità in materia di lavoro e la ‘diversa’ indipendenza rispetto alla Pubblica Amministrazione delle due giurisdizioni”.
Accuse eccessive, secondo il membro della commissione in quota Movimento 5 Stelle, Giovanni Luca Aresta: “Noi, come Movimento – ha spiegato a Ilfattoquotidiano.it – eravamo propensi a soddisfare questa richiesta, la ritenevamo più giusta, come dichiarato anche dal ministro Di Maio. Ma c’erano forti resistenze da parte degli alleati di governo precedenti, ossia la Lega, e di tutte le forze di opposizione. Eravamo gli unici a volerlo e, come si sa, le leggi per essere approvate richiedono la maggioranza. Siamo arrivati a un compromesso, abbiamo accettato che la giurisdizione fosse del tribunale amministrativo ma con rito abbreviato, per una risoluzione più spedita”. I sindacati spiegano, però, di non capire perché questo principio debba valere solo per i militari e non, ad esempio, per le forze di polizia che, anche loro, devono comunque garantire lo svolgimento delle proprie funzioni sul territorio italiano: “Stiamo parlando di forze con struttura diversa, con quello militare fortemente gerarchizzato e con una prontezza di risposta diversa rispetto alla polizia civile”. E a chi parla di incostituzionalità risponde: “Questo lo escludo, visto che in caso di contenziosi riguardanti i singoli è già previsto il ricorso al tribunale amministrativo”.
Il deputato continua dicendo che l’idea della proposta di legge è anche quella di limitare il ricorso all’autorità giudiziaria come extrema ratio, con la creazione di commissioni di conciliazione, sia a livello nazionale che locale, che hanno l’obiettivo di trovare un accordo tra le parti. Anche questo strumento, però, è stato oggetto di critiche da parte dei sindacati: “È anche singolare il tentativo di individuare normativamente delle commissioni centrali e periferiche di conciliazione per la definizione bonaria delle controversie – scrive Siamo -, istituendole in seno al ministero della Difesa con nomina da parte del ministro, facendo venir meno il principio cardine dell’imparzialità di giudizio”.
“Non abbiamo fatto altro – risponde Aresta – che traslare in ambito militare un modus operandi presente anche in altri ambiti, ad esempio per le nomine di esperti da parte delle aziende sanitarie locali. Abbiamo previsto la creazione di liste all’interno delle quali inserire, con avviso pubblico, magistrati e professori universitari con specifiche specializzazioni ai quali si chiede di rendersi disponibili a intervenire in caso di bisogni legati appunto a controversie da risolvere. I professionisti, che devono rispettare determinate caratteristiche, saranno valutati sia a livello ministeriale che a livello delle competenti commissioni parlamentari”.
E conclude: “Inoltre, abbiamo introdotto un sistema di contrattazione nazionale per il comparto Difesa e Sicurezza e la contrattazione decentrata per singola forza armata che includerà intorno al tavolo il ministro, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ma anche i Capi di Stato Maggiore delle singole forze e, ovviamente, le rappresentanze sindacali. Così, rispetto alla concertazione, non prevarrà il volere dell’amministrazione e gli accordi presi saranno vincolanti”.