C’era una volta un pulcino che non sapeva di essere un pulcino. “Forse – pensava una sera – sono un elefante. Difatti ho la criniera. Un asino non sono perché non raglio… Ma che sarò, che sarò mai? Dimmelo tu, piccola pozza, se lo sai”. E si specchiò. “Cosa, un pulcino? Ah, no, questo mai. Un pulcino non è una cosa seria”. E entrando nella pozza l’intorbidò per castigarla della sua cattiveria.

Gianni Rodari nel Libro dei perché spiega “Cosa vuol dire presuntuoso”. Insomma “chi pretende di sapere, o potere, cose che non sa e non può. Uno che si crede il signor Chissachì”. Ma per spiegarsi meglio ricorre ad un esempio. A Le smanie di un pulcino.

Prima cosa […] avviare una grande riqualificazione della nostra offerta alberghiera per alzare gli standard e puntare su un turismo internazionale di livello alto e con capacità di spesa”. Il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini, racconta sul Corriera della sera le mosse per il turismo al Sud. Già perché con il Fondo strategico per il turismo previsto nel decreto Bilancio, al quale si aggiungeranno le risorse di Cassa depositi e prestiti, bisogna pensare a riattivare “tutto il territorio nazionale”.

A partire dal Sud, “la parte del mondo più ricca di bellezze artistiche e naturali, in cui paradossalmente vanno meno del 20% dei turisti stranieri”. Affermazione incontrovertibile. Auspicio nobile. Ma i luoghi della cultura e della natura del Sud sono lì. In molti casi dove in pochi vanno. Italiani e stranieri. È così da decenni. Senza sostanziali differenze dal febbraio 2014 ad oggi, periodo nel quale, con la breve parentesi Alberto Bonisoli, il ministro Pd governa il Mibact. Il turismo culturale al Sud è generalmente inferiori all’attese non solo perché mancano i Resort e gli Hotel stellati. Le responsabilità vanno cercate altrove.

Ad esempio nelle condizioni nelle quali si offrono una gran parte dei luoghi della cultura. Ad esempio nella mancanza di una segnaletica per raggiungerli. Ad esempio nell’assenza di servizi di vario tipo. Anche quando queste criticità sono state superate, magari ricorrendo a qualche Fondo europeo di sviluppo regionale, in tanti Luoghi vanno in pochi.

Semplicemente perché sono in pochi a conoscerne l’esistenza. Per questo pensare che il turismo al Sud si riattivi ristrutturando le strutture esistenti e costruendone di nuove per rispondere alle richieste di “livello alto” è una risposta sbagliata ad un problema mal posto.

Oltre a preoccuparsi del turismo internazionale, bisognerebbe attrarre quello nazionale. Promuovendo politiche che vadano in tale senso. Senza attendere l’emergenza sanitaria che è molto probabile costringerà molti italiani a fare le vacanze in Italia. Ma “il livello alto” è intrigante. È suggestivo. Al ministro Franceschini evidentemente piace.

Come indizia il precedente del 2014 quando si è detto in linea di massima favorevole alla realizzazione di campi da golf, “in grado di attrarre il turismo americano di fascia superiore”. Di quell’idea non si è fatto nulla. Della “grande riqualificazione della nostra offerta alberghiera”, vedremo. Ma intanto la linea, peraltro già esplicitata, è tracciata.

Il progetto prevede anche altro, naturalmente. A partire da “un piano di recupero e rilancio dei borghi. Quei luoghi bellissimi, e spesso abbandonati e trascurati, che si trovano a centinaia lungo la dorsale appenninica”. Questione della quale si parla da anni. In vario modo. È stato proprio Franceschini a volere che il 2017 fosse dedicato ai borghi, “che sono un patrimonio straordinario del nostro Paese”.

Un Progetto, sostenuto, oltre che dal Ministero, da 18 Regioni, da Enit e dalle associazione dei borghi, è funzionale a quanto previsto dallo stesso Piano Strategico 2017-22 del turismo che ha tra i propri obiettivi il rinnovamento e l’ampliamento della offerta turistica, la valorizzazione di nuove mete e la creazione di occupazione.

Già perché nel 2017 è stato presentato il Piano Strategico del Turismo elaborato dal Comitato Permanente di Promozione del Turismo, con il coordinamento della Direzione Generale Turismo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Il 29 maggio è scaduto l’Avviso pubblico relativo alla selezione di interventi finalizzati alla riqualificazione e valorizzazione turistico-culturale dei Comuni delle Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

Un budget di 30 milioni di euro per “interventi per il rafforzamento dell’attrattività dei borghi e dei centri storici di piccola e media dimensione, attraverso il restauro e recupero di spazi urbani, edifici storici o culturali, nonché elementi distintivi del carattere identitari”. A dire la verità Franceschini aveva parlato del finanziamento di 20 milioni di euro già a dicembre 2017, ma in fondo sono passati solo due anni e mezzo da quell’annuncio. Insomma il tempo necessario perché tanti borghi in procinto di spopolarsi siano stati completamente abbandonati.

Perché alle persone non si può chiedere di rimanere all’infinito dove non c’è vita. In attesa che governi nazionali e locali decidano. Seguendo logiche che troppe volte non hanno nulla a che vedere con le questioni. I borghi disseminati lungo l’Appennino, come i Luoghi della cultura del Sud sono temi sui quali la retorica, non solo franceschiniana, continua ad esercitarsi. Instancabilmente. Una specie di cavallo di battaglia, da rispolverare quando più serve. Immaginando che possano essere in molti ad essere abbagliati da nuove parole su temi antichi.

Forse, alla base di tutto, anche ora, c’è almeno una presunzione. Quella di ritenere che avanzare le solite proposte sulle modalità per incrementare l’attrattività turistica del Sud e dei borghi appenninici, le renda più credibili. Le uniche per trasformare le criticità in risorse. Non è così, purtroppo. E il motivo è lo stesso di sempre.

Per provare a risolvere un problema bisogna conoscerne ogni parte. Conoscere, capillarmente. Non essere certo di conoscere. Altrimenti si ripete la storia del pulcino che non sapeva di essere un pulcino. Il presuntuoso dice Rodari è chi pretende di sapere di sapere, o potere, cose che non sa e non può. Uno che si crede il signor Chissachì.

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