Potrà chiedere permessi premio e uscire dal carcere milanese di Bollate, dove sta scontando la condanna definitiva a vent’anni per l’omicidio della moglie Melania Rea, l’ex caporal maggiore Salvatore Parolisi, 41 anni. Una possibilità che la legge concede ai detenuti che hanno scontato metà della pena e hanno mantenuto una buona condotta. L’ex militare degradato dall’Esercito (come previsto nella sentenza della Cassazione) e a cui il tribunale dei minori ha revocato la potestà genitoriale per affidare la figlia oggi undicenne ai nonni materni, in carcere si è diplomato perito agrario e adesso sta studiando giurisprudenza. Il processo di terzo grado a carico di Parolisi si è concluso il 13 giugno 2016: la Cassazione, respingendo un nuovo ricorso della difesa per la concessione delle attenuanti generiche, ha definitivamente confermato la condanna a 20 anni di reclusione.
LA VICENDA GIUDIZIARIA – Melania Rea venne trovata morta, a 28 anni, il 20 aprile 2011 nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto (Teramo). Due giorni prima era sparita. Era uscita di casa a Folignano (Ascoli Piceno) con il marito e la figlia di 18 mesi, dirigendosi verso Colle San Marco. Il cadavere venne individuato dopo una telefonata anonima partita da una cabina nel centro di Teramo. Dalle indagini emerse che la giovane venne aggredita alle spalle e colpita con 35 coltellate. Un delitto per il quale il marito venne arrestato il 19 luglio del 2011. Parolisi si è sempre proclamato innocente. Ha scelto di essere processato con il rito abbreviato, venendo condannato all’ergastolo in primo grado, pena ridotta a 30 anni di reclusione dalla Corte d’assise d’appello dell’Aquila. Una sentenza che la Cassazione, nel febbraio del 2015, ha reso definitiva riguardo alla responsabilità dell’ex caporalmaggiore per i reati di omicidio e vilipendio di cadavere. Parolisi – hanno stabilito i giudici – uccise la moglie Melania Rea in un impeto d’ira, durante una delle ricorrenti liti coniugali, causate dalle infedeltà dell’ex militare. La Corte aveva però escluso l’aggravante della crudeltà, affidando per questioni tecniche ai giudici d’appello di Perugia il compito di rideterminare la pena. Il 27 maggio 2015 il collegio perugino ha ridotto la condanna da 30 a 20 anni di reclusione, senza però riconoscere le attuanti generiche. Sentenza resa definitiva nel 2016.
I PERMESSI PREMIO – La condotta in carcere, il percorso di rieducazione e il fatto che Parolisi non sia ritenuto socialmente pericoloso fanno sì che l’ex militare possa iniziare a chiedere i permessi premio, anche alla luce del tempo trascorso. Nove anni, metà della condanna considerando gli sconti di pena (per ogni sei mesi la legge prevede una riduzione di 45 giorni, in pratica tre mesi all’anno). Ogni permesso premio può andare da un’ora a 15 giorni consecutivi, fino a un massimo di 45 giorni. L’ultima parola spetterà al giudice di sorveglianza, sentiti i pareri di educatori, psicologi e direttore del carcere. Come riportato da Il Messaggero, secondo i suoi legali, Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, Parolisi non avrebbe ancora presentato la domanda, ma la possibilità sempre più vicina e concreta che l’assassino di Melania Rea possa uscire dal carcere ha già scatenato diverse reazioni.
LE REAZIONI – Come quella del fratello della vittima, Michele Rea. “Da quando abbiamo saputo che potrebbe uscire dal carcere anche solo per qualche ora non facciamo altro che pensare a questo. La giustizia ha dei vuoti che andrebbero colmati” ha dichiarato. Pochi giorni fa, invece, a chiedere che Parolisi sconti l’intera pena in carcere è stato un gruppo di donne, attiviste nel mondo sociale, Benedetta La Penna, Edvige Ricci, Teresa Pezzi, Silvana Palumbi, in una lettera aperta poi sottoscritta da tante altre donne e associazioni nel Pescarese. “Vogliamo che la pena detentiva sia commisurata alla gravità del reato e che la durata sia certa e indefettibile e, soprattutto, che non per tutti i reati si possa applicare il beneficio della liberazione anticipata” hanno scritto, auspicando che “i benefici previsti dall’ordinamento giudiziario non siano assegnati in automatico”.