È il 24 febbraio, il Covid-19 sta per mettere in lockdown l’Europa e Federica (pseudonimo) è alla 28ma settimana di gestazione quando riceve i risultati dell’esame genetico consigliato dai medici dopo una lunga serie di analisi: il figlio che aveva desiderato è affetto da acondroplasia, una malformazione fetale grave. In Italia la legge non prevede limiti temporali per l’interruzione volontaria di gravidanza del secondo trimestre, ma c’è il limite della cosiddetta viability, cioè la possibilità di sopravvivenza fetale, che l’esperienza clinica indica intorno alle 22 settimane. Dopo questo periodo, la donna deve partorire e il medico deve rianimare il feto e tenerlo in incubatrice per mantenerlo in vita. Sono tante le testimonianze, raccolte dalle associazioni negli anni, di donne che, per interrompere una gravidanza dopo aver scoperto una malformazione fetale grave dopo questa soglia, cercano di farlo andando all’estero: Francia, Belgio e Inghilterra, perlopiù. La strada, però, non è affatto semplice. E lo è ancora meno ora, dopo che gli ospedali sono stati travolti dall’emergenza coronavirus rendendo più difficile l’interruzione di gravidanza in tutta Italia (leggi qui le testimonianze raccolte da ilfattoquotidiano.it).
Nei casi più fortunati, sono i medici dell’ospedale in cui si è accertata la malformazione a dare informazioni, ma lo fanno in via del tutto ufficiosa. Una versione che ufficialmente è smentita in ogni circostanza, ma che trova riscontro nelle testimonianze delle donne. Così è successo a Federica, che, come ha raccontato a ilfattoquotidiano.it, ha ricevuto informazioni da alcuni operatori sulla possibilità di ricevere assistenza in Belgio. Ma l’emergenza coronavirus è appena iniziata e nonostante Federica risulti negativa al tampone riceve il rifiuto dell’ospedale, perché considerata a rischio infezione. Il 25 febbraio, dopo essersi vista rifiutare anche da una clinica universitaria di Zurigo, sempre per lo stesso motivo, Federica si mette in viaggio per andare in Francia prima che chiudano le frontiere. La prima tappa è Nizza, seguendo le orme di altre donne attraverso le indicazioni su un forum online. La procedura, che richiede un periodo compreso tra alcuni giorni e due settimane, prevede una visita ginecologica privata, la valutazione del caso da parte del comitato etico dell’ospedale e l’intervento con ricovero di una notte. Preoccupata per i tempi di attesa, Federica si rimette in viaggio per fare un altro tentativo nella città più vicina. La tappa successiva è dunque Marsiglia. Qui viene presa in carico subito: entro tre giorni lavorativi le viene fatta l’ecografia, che conferma la malattia grave del feto, e pochi giorni dopo il comitato etico dà il via libera per interrompere la gravidanza. Al momento del suo arrivo a Marsiglia Federica è a 30 settimane di gestazione. Racconta: «Mi hanno trattato con grande gentilezza e cura. Mi hanno dato la morfina e mi hanno fatto l’epidurale perché non provassi dolore, altrimenti sarebbe stata un’esperienza veramente scioccante, perché quello che hai è il dolore del parto, ma con un figlio morto. Ti danno dei calmanti e ti fanno un’iniezione nel cordone ombelicale, prima l’anestesia in modo che il feto non provi dolore, poi un’altra che provoca l’arresto cardiaco del feto. Poi ti danno le pasticche per indurre il parto ed iniziano le contrazioni. Ti chiedono se vuoi portare il corpo in Italia per seppellirlo, oppure ti offrono di cremarlo e le ceneri spargerle nel cimitero dei bambini nell’ospedale, in cui una volta all’anno c’è un ritrovo di tutte le famiglie che hanno avuto questo lutto. Come mi sento adesso… Ciò che mi fa andare avanti è di avere risparmiato tanta sofferenza a lui – dico lui perché sarebbe stato un maschio. Io lavoro in ospedale e vedo tanti bambini malati. Prendere una scelta così per tuo figlio è molto difficile».
Ma non c’è solo la storia di Federica e ad essere costrette ad andare all’estero per abortire sono state altre donne prima di lei. Serena (pseudonimo), psicologa clinica, racconta del suo viaggio di un anno fa: “Nella nostra società non c’è posto per il lutto perinatale e chi ne parla mette a disagio gli altri. È come se ti obbligassero a metterlo in un angolino della memoria, perché tutti ti dicono che non devi pensarci più”. Il suo viaggio si è svolto l’anno scorso ed è partito da una città della Toscana per arrivare a Nizza, dove la procedura è stata quella descritta anche da Federica. «Dalla ecografia morfologica della 20ma settimana non si vedevano le camere cardiache. Dopo un’ulteriore ecografia da ginecologo privato mi hanno mandato all’Ospedale Careggi per l’ecografia di 2° livello ed ero già di 5 mesi. Lì si è visto che il cervello non stava crescendo. Dopo altri esami si è scoperto che il feto aveva la sindrome da delezione 1p36, malattia genetica rara. Ma ormai avevo superato le 22 settimane, quindi avrei dovuto partorire e il bambino sarebbe sarebbe forse sopravvissuto, ma in condizioni terribili. Le genetiste dell’Ospedale sono state disponibili e mi hanno prospettato la possibilità di andare all’estero, ma non erano informate su quali ospedali in quali parti del mondo facessero questo intervento. Bisogna arrangiarsi: un po’ trovi su internet, un po’ con il passaparola. All’ospedale di Nizza, che ho trovato su internet, sono stata indirizzata subito da una ginecologa che parla italiano, che mi ha fatto la visita e l’ecografia. Poi sono tornata in Italia e ho aspettato circa due settimane, in attesa della decisione del comitato etico, che è stata favorevole. Sono poi tornata per l’intervento, almeno 4 giorni prima».
I costi possono essere molti alti, fino a 4000 euro, e la direttiva europea (2011/24/UE del Parlamento e del Consiglio) che prevede il diritto all’assistenza sanitaria transfrontaliera per le cittadine non residenti viene interpretata in modo più o meno elastico. In Belgio il costo si aggira sui 4000 mila euro spese di viaggio escluse. Con l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale belga il costo delle cure può essere interamente risarcito, ma il servizio di fatturazione dell’ospedale chiede il pagamento anticipato. Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per applicazione della legge 194) dà informazioni e spiega come funziona la procedura ed è possibile chiedere aiuto anche a Change194, fondata da donne che hanno vissuto questa esperienza.
A migrare non sono solo donne per interruzioni volontarie di gravidanza del secondo trimestre, cioè per il cosiddetto aborto terapeutico, ma anche donne che non sono riuscite a interrompere la gravidanza nel primo trimestre. Mentre in Italia, infatti, l’aborto volontario è possibile fino alla 12ma settimana di gestazione e dopo si può fare solo se è a rischio la salute fisica o psichica della donna, in altri Stati il limite cambia. In Spagna, ad esempio, il primo limite è a 14 settimane; in Inghilterra il limite per qualsiasi tipo di IVG sono 24 settimane, in Olanda non c’è un limite specifico se non la viabilità fetale; in Svezia sono 18 settimane e in Norvegia 22.
Il fenomeno è stato studiato dalle ricercatrici del progetto Europe abortion access, finanziato dalla Comunità europea (European Reseach Council, ERC), che hanno analizzato gli spostamenti fatti dalle donne, all’estero o nel proprio paese, per ottenere un’interruzione della gravidanza per la quale hanno incontrato ostacoli nella propria zona o Stato di residenza. Il gruppo di ricerca ha cominciato a lavorare nel 2016 e i primi risultati sono in fase di pubblicazione. Ne abbiamo parlato con la coordinatrice del progetto Silvia De Zordo, antropologa dell’Università di Barcellona, e con la ricercatrice Giulia Zanini, antropologa dell’Università Queen Mary di Londra.
«Sono più di 6000 le donne, provenienti da diversi Paesi europei, che vanno ad abortire in Inghilterra e Olanda. Poi ci sono tutte le altre destinazioni, ma non sempre è possibile conoscere il numero esatto delle donne che viaggiano all’estero. La maggioranza delle donne italiane vanno in Inghilterra, Spagna e Olanda. In Francia vanno quando superano il limite della viability. La ragione principale per cui le donne residenti in Italia viaggiano all’estero è il limite di età gestazionale» spiegano De Zordo e Zanini. «Il campione che abbiamo non è rappresentativo, ma ci dà spunti interessanti. La maggioranza si è resa conto della gravidanza oppure ha deciso di interromperla quando ormai il limite dei tre mesi era vicino. Le ragioni sono molteplici: irregolarità mestruali, problemi ormonali, difficoltà personali o familiari (separazioni, malattia, grandi stress) per cui non si sono accorte. Oppure sono state mal consigliate da medici che non hanno capito i segni di una possibile gravidanza o per età gestazionale calcolata male. Fra le donne provenienti dall’Italia che hanno risposto al nostro questionario c’è anche una percentuale non irrilevante che hanno deciso di interrompere in tempo utile, ma non ci sono riuscite e qui sono emerse diverse barriere: accesso all’informazione, accesso ai servizi, rifiuto da parte dei medici contattati, mancanza di indicazioni su dove potevano andare. Abbiamo diversi esempi di questo tipo. Queste barriere sono specifiche per l’Italia. Non stupisce, al confronto con Francia e altri paesi dove ci sono, per esempio, siti istituzionali e numeri verdi nazionali per l’aborto».
La relazione annuale del Ministero della salute sulla applicazione della legge 194 non dedica attenzione specifica a questo fenomeno. In quella più recente, che riporta i dati del 2017, una sola tabella mette a confronto i dati italiani con quelli internazionali, giustificando le differenze con «una diversa legislazione» e con «la disponibilità di servizi». Quella dei viaggi all’estero per aborto del secondo trimestre sembra essere la solita storia all’italiana: si sa, ma non si dice. E le donne pagano, come sempre, il prezzo più alto.
Diritti
Aborto terapeutico, “io respinta dall’ospedale in Italia e costretta ad andare in Francia in piena emergenza coronavirus”
Ilfattoquotidiano.it ha raccolto la storia di Federica che, poco prima del lockdown, si è dovuta spostare prima in Svizzera e poi a Nizza e Marsiglia per riuscire a portare a compimento l'interruzione di gravidanza decisa dopo aver scoperto una grave malformazione del feto. Ma la sua è solo una delle tante storie raccolte negli anni dalle associazioni e, molto spesso, a dare indicazioni per l'espatrio ufficiosamente sono gli stessi operatori sanitari. Il gruppo di ricerca Europe abortion access: "Difficile conoscere il numero esatto. La maggioranza delle donne italiane vanno in Inghilterra, Spagna e Olanda"
È il 24 febbraio, il Covid-19 sta per mettere in lockdown l’Europa e Federica (pseudonimo) è alla 28ma settimana di gestazione quando riceve i risultati dell’esame genetico consigliato dai medici dopo una lunga serie di analisi: il figlio che aveva desiderato è affetto da acondroplasia, una malformazione fetale grave. In Italia la legge non prevede limiti temporali per l’interruzione volontaria di gravidanza del secondo trimestre, ma c’è il limite della cosiddetta viability, cioè la possibilità di sopravvivenza fetale, che l’esperienza clinica indica intorno alle 22 settimane. Dopo questo periodo, la donna deve partorire e il medico deve rianimare il feto e tenerlo in incubatrice per mantenerlo in vita. Sono tante le testimonianze, raccolte dalle associazioni negli anni, di donne che, per interrompere una gravidanza dopo aver scoperto una malformazione fetale grave dopo questa soglia, cercano di farlo andando all’estero: Francia, Belgio e Inghilterra, perlopiù. La strada, però, non è affatto semplice. E lo è ancora meno ora, dopo che gli ospedali sono stati travolti dall’emergenza coronavirus rendendo più difficile l’interruzione di gravidanza in tutta Italia (leggi qui le testimonianze raccolte da ilfattoquotidiano.it).
Nei casi più fortunati, sono i medici dell’ospedale in cui si è accertata la malformazione a dare informazioni, ma lo fanno in via del tutto ufficiosa. Una versione che ufficialmente è smentita in ogni circostanza, ma che trova riscontro nelle testimonianze delle donne. Così è successo a Federica, che, come ha raccontato a ilfattoquotidiano.it, ha ricevuto informazioni da alcuni operatori sulla possibilità di ricevere assistenza in Belgio. Ma l’emergenza coronavirus è appena iniziata e nonostante Federica risulti negativa al tampone riceve il rifiuto dell’ospedale, perché considerata a rischio infezione. Il 25 febbraio, dopo essersi vista rifiutare anche da una clinica universitaria di Zurigo, sempre per lo stesso motivo, Federica si mette in viaggio per andare in Francia prima che chiudano le frontiere. La prima tappa è Nizza, seguendo le orme di altre donne attraverso le indicazioni su un forum online. La procedura, che richiede un periodo compreso tra alcuni giorni e due settimane, prevede una visita ginecologica privata, la valutazione del caso da parte del comitato etico dell’ospedale e l’intervento con ricovero di una notte. Preoccupata per i tempi di attesa, Federica si rimette in viaggio per fare un altro tentativo nella città più vicina. La tappa successiva è dunque Marsiglia. Qui viene presa in carico subito: entro tre giorni lavorativi le viene fatta l’ecografia, che conferma la malattia grave del feto, e pochi giorni dopo il comitato etico dà il via libera per interrompere la gravidanza. Al momento del suo arrivo a Marsiglia Federica è a 30 settimane di gestazione. Racconta: «Mi hanno trattato con grande gentilezza e cura. Mi hanno dato la morfina e mi hanno fatto l’epidurale perché non provassi dolore, altrimenti sarebbe stata un’esperienza veramente scioccante, perché quello che hai è il dolore del parto, ma con un figlio morto. Ti danno dei calmanti e ti fanno un’iniezione nel cordone ombelicale, prima l’anestesia in modo che il feto non provi dolore, poi un’altra che provoca l’arresto cardiaco del feto. Poi ti danno le pasticche per indurre il parto ed iniziano le contrazioni. Ti chiedono se vuoi portare il corpo in Italia per seppellirlo, oppure ti offrono di cremarlo e le ceneri spargerle nel cimitero dei bambini nell’ospedale, in cui una volta all’anno c’è un ritrovo di tutte le famiglie che hanno avuto questo lutto. Come mi sento adesso… Ciò che mi fa andare avanti è di avere risparmiato tanta sofferenza a lui – dico lui perché sarebbe stato un maschio. Io lavoro in ospedale e vedo tanti bambini malati. Prendere una scelta così per tuo figlio è molto difficile».
Ma non c’è solo la storia di Federica e ad essere costrette ad andare all’estero per abortire sono state altre donne prima di lei. Serena (pseudonimo), psicologa clinica, racconta del suo viaggio di un anno fa: “Nella nostra società non c’è posto per il lutto perinatale e chi ne parla mette a disagio gli altri. È come se ti obbligassero a metterlo in un angolino della memoria, perché tutti ti dicono che non devi pensarci più”. Il suo viaggio si è svolto l’anno scorso ed è partito da una città della Toscana per arrivare a Nizza, dove la procedura è stata quella descritta anche da Federica. «Dalla ecografia morfologica della 20ma settimana non si vedevano le camere cardiache. Dopo un’ulteriore ecografia da ginecologo privato mi hanno mandato all’Ospedale Careggi per l’ecografia di 2° livello ed ero già di 5 mesi. Lì si è visto che il cervello non stava crescendo. Dopo altri esami si è scoperto che il feto aveva la sindrome da delezione 1p36, malattia genetica rara. Ma ormai avevo superato le 22 settimane, quindi avrei dovuto partorire e il bambino sarebbe sarebbe forse sopravvissuto, ma in condizioni terribili. Le genetiste dell’Ospedale sono state disponibili e mi hanno prospettato la possibilità di andare all’estero, ma non erano informate su quali ospedali in quali parti del mondo facessero questo intervento. Bisogna arrangiarsi: un po’ trovi su internet, un po’ con il passaparola. All’ospedale di Nizza, che ho trovato su internet, sono stata indirizzata subito da una ginecologa che parla italiano, che mi ha fatto la visita e l’ecografia. Poi sono tornata in Italia e ho aspettato circa due settimane, in attesa della decisione del comitato etico, che è stata favorevole. Sono poi tornata per l’intervento, almeno 4 giorni prima».
I costi possono essere molti alti, fino a 4000 euro, e la direttiva europea (2011/24/UE del Parlamento e del Consiglio) che prevede il diritto all’assistenza sanitaria transfrontaliera per le cittadine non residenti viene interpretata in modo più o meno elastico. In Belgio il costo si aggira sui 4000 mila euro spese di viaggio escluse. Con l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale belga il costo delle cure può essere interamente risarcito, ma il servizio di fatturazione dell’ospedale chiede il pagamento anticipato. Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per applicazione della legge 194) dà informazioni e spiega come funziona la procedura ed è possibile chiedere aiuto anche a Change194, fondata da donne che hanno vissuto questa esperienza.
A migrare non sono solo donne per interruzioni volontarie di gravidanza del secondo trimestre, cioè per il cosiddetto aborto terapeutico, ma anche donne che non sono riuscite a interrompere la gravidanza nel primo trimestre. Mentre in Italia, infatti, l’aborto volontario è possibile fino alla 12ma settimana di gestazione e dopo si può fare solo se è a rischio la salute fisica o psichica della donna, in altri Stati il limite cambia. In Spagna, ad esempio, il primo limite è a 14 settimane; in Inghilterra il limite per qualsiasi tipo di IVG sono 24 settimane, in Olanda non c’è un limite specifico se non la viabilità fetale; in Svezia sono 18 settimane e in Norvegia 22.
Il fenomeno è stato studiato dalle ricercatrici del progetto Europe abortion access, finanziato dalla Comunità europea (European Reseach Council, ERC), che hanno analizzato gli spostamenti fatti dalle donne, all’estero o nel proprio paese, per ottenere un’interruzione della gravidanza per la quale hanno incontrato ostacoli nella propria zona o Stato di residenza. Il gruppo di ricerca ha cominciato a lavorare nel 2016 e i primi risultati sono in fase di pubblicazione. Ne abbiamo parlato con la coordinatrice del progetto Silvia De Zordo, antropologa dell’Università di Barcellona, e con la ricercatrice Giulia Zanini, antropologa dell’Università Queen Mary di Londra.
«Sono più di 6000 le donne, provenienti da diversi Paesi europei, che vanno ad abortire in Inghilterra e Olanda. Poi ci sono tutte le altre destinazioni, ma non sempre è possibile conoscere il numero esatto delle donne che viaggiano all’estero. La maggioranza delle donne italiane vanno in Inghilterra, Spagna e Olanda. In Francia vanno quando superano il limite della viability. La ragione principale per cui le donne residenti in Italia viaggiano all’estero è il limite di età gestazionale» spiegano De Zordo e Zanini. «Il campione che abbiamo non è rappresentativo, ma ci dà spunti interessanti. La maggioranza si è resa conto della gravidanza oppure ha deciso di interromperla quando ormai il limite dei tre mesi era vicino. Le ragioni sono molteplici: irregolarità mestruali, problemi ormonali, difficoltà personali o familiari (separazioni, malattia, grandi stress) per cui non si sono accorte. Oppure sono state mal consigliate da medici che non hanno capito i segni di una possibile gravidanza o per età gestazionale calcolata male. Fra le donne provenienti dall’Italia che hanno risposto al nostro questionario c’è anche una percentuale non irrilevante che hanno deciso di interrompere in tempo utile, ma non ci sono riuscite e qui sono emerse diverse barriere: accesso all’informazione, accesso ai servizi, rifiuto da parte dei medici contattati, mancanza di indicazioni su dove potevano andare. Abbiamo diversi esempi di questo tipo. Queste barriere sono specifiche per l’Italia. Non stupisce, al confronto con Francia e altri paesi dove ci sono, per esempio, siti istituzionali e numeri verdi nazionali per l’aborto».
La relazione annuale del Ministero della salute sulla applicazione della legge 194 non dedica attenzione specifica a questo fenomeno. In quella più recente, che riporta i dati del 2017, una sola tabella mette a confronto i dati italiani con quelli internazionali, giustificando le differenze con «una diversa legislazione» e con «la disponibilità di servizi». Quella dei viaggi all’estero per aborto del secondo trimestre sembra essere la solita storia all’italiana: si sa, ma non si dice. E le donne pagano, come sempre, il prezzo più alto.
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Barcellona, 6 gen. (Adnkronos) - Dani Olmo è stato convocato dal Barcellona per la Supercoppa spagnola nonostante i suoi problemi di registrazione. Olmo è entrato a far parte del club catalano dal RB Lipsia ad agosto per una cifra stimata di 68 milioni di euro, ma il Barcellona è riuscito a registrarlo solo per la fase iniziale della stagione a causa delle difficoltà nel rispettare le restrizioni salariali della Liga. La Liga e la federazione calcistica spagnola (Rfef) hanno respinto sabato l'ultima offerta del club per registrare il centrocampista 26enne e Pau Victor ed entrambi i giocatori erano assenti dalla vittoria per 4-0 in Coppa del Re contro il Barbastro. Tuttavia, Olmo e Victor sono stati entrambi nominati nella squadra per la Supercoppa del Barcellona per la semifinale contro l'Athletic Bilbao mercoledì.
La Supercoppa si terrà in Arabia Saudita, dove i campioni in carica del Real Madrid sono pronti a disputare l'altra semifinale contro il Maiorca per un posto nella finale della competizione, che si terrà domenica. L'ultimo trionfo del Barcellona in Supercoppa è arrivato nel 2023, ma una tripletta di Vinicius Junior li ha visti sconfitti per 4-1 dal Real nella finale dell'anno scorso. La vittoria di sabato in Coppa del Re ha visto il Barcellona riprendersi da due sconfitte consecutive in Liga e si trova al terzo posto in classifica, cinque punti dietro la capolista Real. Tuttavia, il centrocampista Pedri ritiene che una vittoria in Supercoppa possa dare alla squadra "fiducia" per il resto della stagione.
Parlando dell'account X del Barcellona, Pedri ha detto: "Beh, vincere la Supercoppa, penso che sia un titolo davvero bello, è a metà stagione. Penso che sia un titolo che può dare fiducia alla squadra, il che penso sia molto positivo a metà stagione ed è fondamentale per affrontare le prossime partite. Penso che l'Athletic Bilbao abbia una grande squadra, penso che abbiano giocatori eccezionali e sarà una partita dura. È vero che li abbiamo già battuti questa stagione e vogliamo farlo di nuovo, ma sarà molto diverso da quello che abbiamo sperimentato".
Palermo, 6 gen. (Adnkronos) - "Oggi i tempi sono maturi per costruire una memoria storica condivisa su quella stagione in cui la nostra Repubblica, colpita al cuore, seppe reagire coniugando il massimo impegno nella lotta alla mafia e al terrorismo con il convinto rispetto dei principi dello Stato di diritto. Una rilettura approfondita e complessiva di tutte queste vicende può essere finalmente capace di cogliere quei nessi che sfuggono ad una considerazione isolata dei singoli episodi". A dirlo all'Adnkronos è il giudice Antonio Balsamo, ex Presidente del Tribunale e oggi sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, commentando gli ultimi sviluppi sull'inchiesta sull'omicidio dell'ex presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, fratello maggiore del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980 davanti alla sua abitazione in via Libertà a Palermo, mentre andava a messa con i suoi familiari.
Nei giorni scorsi sono emersi sviluppi, a distanza di 45 anni dal delitto, sulla inchiesta coordinata dalla Procura di Palermo. Ci sarebbero due boss mafiosi nel registro degli indagati, accusati di essere i killer del Presidente Dc. Si tratta di due sicari di Cosa nostra, con un curriculum di delitti eccellenti, entrambi in carcere con più ergastoli da scontare. Il primo è Antonino Madonia, che oggi ha 72 anni e all'epoca ne aveva 28, e l'altro Giuseppe Lucchese, detto 'Lucchiseddu', oggi 67 anni, che all'epoca aveva 22 anni. Il primo avrebbe sparato a Mattarella, ferendo anche la moglie, Irma Chiazzese. Dopo i primi colpi sarebbe andato verso l'auto dove era il complice a prendere un'altra pistola con cui avrebbe sparato nuovamente, mentre il secondo sarebbe stato alla guida della Fiat 127 del commando, rubata il giorno prima, poi ritrovata abbandonata non lontana dal luogo del delitto.
"Per questo- dice il giudice Balsamo - è importante che al lavoro incessante della magistratura si accompagni un impegno altrettanto forte di tutte le istituzioni, per dare attuazione a quel 'diritto alla verità' che – come insegna la Corte europea dei diritti dell'uomo – appartiene non solo ai familiari delle vittime, ma anche all’intera collettività- spiega Balsamo - In questa prospettiva, è importante valorizzare la norma, inserita due anni fa nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che prevede che il giudice deve obbligatoriamente accertare 'la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa', prima di concedere i permessi premio e le misure alternative alla detenzione ai detenuti per reati di terrorismo e di mafia".
Poi, parlando della nuova inchiesta, Antonio Balsamo spiega: "E' del tutto apprezzabile la perseveranza della Procura di Palermo nel voler fare luce sull’omicidio di Piersanti Mattarella, uno degli eventi che hanno segnato drammaticamente la storia del nostro Paese, per la grande statura politica e istituzionale assunta da un Presidente della Regione Sicilia che era divenuto protagonista di un progetto di rinnovamento di amplissimo respiro".
"Quello di Piersanti Mattarella era un progetto capace di mobilitare le migliori energie della società civile e di infondere speranza nel futuro per l’intera comunità, costruendo un forte rapporto di fiducia con le maggiori autorità italiane ed europee: dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini al Presidente della Commissione Europea Roy Jenkins", dice ancora Balsamo, giudice estensore della sentenza del processo sulla strage di Via D'Amelio, definita dal magistrato "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana".
"Già due giorni dopo il delitto, Pio La Torre, in suo editoriale dal titolo 'Palermo come Roma', pubblicato su L’Unità parlava del barbaro assassinio del presidente della Regione siciliana come del 'delitto politico più grave dopo l’agguato di via Fani e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro' e richiamava l’attenzione sulla 'analogia politica impressionante' tra i due episodi- ricorda Balsamo all'Adnkronos - Sulla stessa linea si poneva un grande intellettuale come Leonardo Sciascia, che in una intervista pubblicata su Panorama il 21 gennaio 1980 rilevava le 'somiglianze impressionanti tra l’uccisione di Mattarella e quella di Moro'”.
E prosegue: "A proposito degli omicidi politici, nell’audizione del 3 novembre 1988 davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia - desecretata trentuno anni dopo, nel dicembre 2019 - Giovanni Falcone spiegava: 'si tratta di omicidi di matrice mafiosa (…). Ma il movente (…) non è sicuramente mafioso e comunque non è esclusivamente mafioso'". Il giudice Balsamo sottolinea che "nel DNA della giustizia riparativa c’è l’impegno per realizzare pienamente il diritto alla verità, anche in quei casi in cui non è più possibile aprire un processo penale. Una delle prime, e più significative, esperienze in questo senso è stata quella promossa da Nelson Mandela quando doveva ridisegnare il futuro del suo paese, nel segno di un forte sostegno alle vittime delle più gravi violazioni dei diritti umani e ai loro familiari, consentendo un completo accertamento dei fatti che avevano segnato un’intera epoca storica".
"E’ questo il significato che hanno inteso attribuire alla nuova norma quelle organizzazioni rappresentative della società civile che hanno dato impulso alla sua introduzione, come la Fondazione Falcone- dice ancora Balsamo - Costruire un sistema di giustizia riparativa capace di dare voce al bisogno di verità di tutte le vittime della stagione del terrorismo mafioso è una sfida importante. Se non prenderemo un preciso impegno in questo senso, le preoccupazioni che hanno accompagnato la concessione di benefici penitenziari a persone che non hanno mai compiuto una scelta di collaborazione con la giustizia sono inevitabilmente destinate a crescere. L’intera città di Palermo non più vuole tornare a un passato che ha inferto ferite gravissime all’intera comunità. Il sogno di Piersanti Mattarella e di tanti altri eroi civili che hanno vissuto in questa città è oggi il sogno di tutti i cittadini". (di Elvira Terranova)
Palermo, 6 gen. (Adnkronos) - E' stato commemorato con la deposizione delle corone sul luogo del delitto, avvenuto il 6 gennaio 1980, l'ex Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Presente il figlio dell'ex Presidente, Bernardo, che il giorno dell'omicidio aveva 20 anni ed ha assistito al delitto. La sorella Maria, ex segretario della Regione siciliana, è morta lo scorso 9 settembre per un tumore. Presenti anche i figli di Bernardo e Maria Mattarella. Sul luogo della commemorazione anche il Prefetto Massimo Mariani, il Presidente della Corte d'Appello Matteo Frasca, il Procuratore generale Lia Sava, il Procuratore dei minori Claudia Caramanna, il giudice Antonio Balsamo oltre ai vertici militari e delle forze dell'ordine. La Regione era rappresentata dall'assessore Francesco Scarpinato mentre il Comune, assente il sindaco Roberto Lagalla, era rappresentato dal vicesindaco Giampiero Cannella. Presenti anche tanti amici di famiglia ed ex compagni di partito di Piersanti Mattarella.
Palermo, 6 gen. (Adnkronos) - "Va fatto un plauso a chi sta continuando le indagini, a chi continua a cercare la verità giudiziaria oltre che quella storica perché rimane un punto nero della nostra democrazia, del nostro sistema istituzionale, il fatto che dopo 45 anni non si sia fino in fondo accertata tutta la verità giudiziaria e storica". Lo ha detto Antonello Cracolici, presidente della commissione antimafia all'Ars, a margine della commemorazione per il 45 anniversario dell'uccisione dell'ex Presidente della regione siciliana, Piersanti Mattarella. Alla domanda se la giornata di oggi, alla luce delle novità emerse sulle indagini negli ultimi giorni, abbia un sapore diverso, Cracolici replica: "Beh, ogni giornata in Sicilia è un giorno di memoria e la memoria non serve solo a ricordare chi non c'è più ma serve a ricordare a chi c'è che bisogna continuare questa battaglia perché è una battaglia che riguarda la nostra qualità della democrazia. Mi pare che ci sia consapevolezza che il lavoro di ricerca della verità che va davanti è un fatto importante, che alcuni cassetti si siano riaperti per cercare di capire e individuare coloro che sono stati gli esecutori, ma anche tutto il contesto di quell'omicidio", ha concluso.
Roma, 5 gen. (Adnkronos Salute) - "Diamo un segno concreto dell'impegno, anche a livello sociale e umano, nei confronti dei bambini che purtroppo sono ospedalizzati. Con un gesto semplice possiamo portare un sorriso e un po’ di speranza a chi sta vivendo momenti difficili. Rinnovare il nostro impegno per i più piccoli e fragili è il modo migliore di iniziare un nuovo anno". Lo ha detto il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, a Bari, intervenendo alla manifestazione di solidarietà da lui promossa per raccogliere giocattoli da devolvere ai bambini ricoverati negli ospedali pugliesi. Nell’occasione il sottosegretario, all’Adnkronos, ha ribadito l’impegno del governo per "abbattere le liste d’attesa" e rafforzare la 'sanità territoriale' con un finanziamento adeguato del Ssn pubblico.
L’iniziativa ha visto "una grande risposta da parte dei cittadini", ma anche dai professionisti. "Abbiamo incontrato i medici, gli operatori sanitari che hanno" dato, "oltre al loro sforzo quotidiano, anche un segno tangibile della loro presenza e della loro vicinanza ai pazienti". Sono segnali importanti in questo inizio di 2025 che, auspica il sottosegretario, "sia un anno che arrida al Sistema sanitario nazionale pubblico", con "l'abbattimento delle liste d'attesa e la prosecuzione dell’aumento del finanziamento della nostra sanità pubblica, grazie all’inversione di tendenza avviata con grande impegno economico da parte del governo Meloni, del ministro Schillaci e del sottoscritto”.
Insieme all'abbattimento delle liste d'attesa "che abbiamo dotato dal punto di vista economico in maniera congrua – prosegue Gemmato - c'è anche il tema della territoriale che, purtroppo, è stato il tallone d'Achille della nostra Sanità pubblica durante il Covid". L’obiettivo è "attrezzare le case di comunità, i Cot, cioè i centri operativi territoriali, gli ospedali di comunità per dare una nuova sanità territoriale più prossima al cittadino", come previsto "anche al Dm77".
(Adnkronos) - La Roma batte la Lazio per 2-0 e si aggiudica il derby del 5 gennaio 2025, valido per la 19esima giornata della Serie A. I giallorossi si impongono con i gol di Pellegrini (10') e Saelemakers (18'). Il successo consente alla formazione allenata da Ranieri di salire a 23 punti, a metà classifica. La Lazio rimane a quota 35 punti, al quarto posto, e perde la chance di guadagnare terreno su Juventus e Fiorentina, appaiate a 32.
Ranieri per il derby sceglie, un po' a sorpresa, Pellegrini dal 1' a supporto di Dybala e Dovbyk. In mezzo al campo Konè e Paredes, e sulle corsie laterali confermati Saelemakers e Angelino. Baroni dall'altra parte opta per Isaksen preferito a Tchaouna a destra per completare la trequarti con Dele-Bashiru e Zaccagni. In avanti Castellanos.
Al 3' Koné si libera al limite dell'area e conclude con un destro a giro ma è bravo Provedel a respingere in angolo. La Lazio prova a reagire e al 5' Tavares serve Isaksen ma la conclusione viene ribattuta due volte e sulla respinta Marusic manda alto sopra la traversa. Al 10' la Roma passa: grande ripartenza dei giallorossi con Dybala che allarga, poi la palla arriva al limite a Pellegrini che con un tiro a giro di gran classe batte Provedel per l'1-0. La Lazio accusa il colpo e la Roma prova ad affondare.
Al 13' iniziativa personale di Hummels che conduce palla per diversi metri prima di concludere verso lo specchio ma la palla viene deviata in angolo. Al 17' la squadra di Baroni prova a reagire con Isaksen ma il rasoterra è troppo lento.
Al 18' la Roma raddoppia: sul rinvio di Svilar arriva la sponda di Dovbyk per Dybala si presenta al limite dell'area e scarica per Saelemakers che conclude di destro, Provedel respinge ma sulla respinta il belga deposita in rete il gol del 2-0. I biancocelesti continuano a fare girare il pallone per trovare lo spazio giusto e al 22' Dele-Bashiru semina il panico sulla trequarti prima di concludere verso la porta ma è decisivo l'intervento di N'Dicka. Al 38' ancora Lazio pericolosa con Isaksen che devia il cross di Tavares ma la sua spizzata termina al lato.
Ad inizio ripresa Baroni cambia e inserisce Tchaouna e Dia per Isaksen e Dele-Bashiru. La Lazio spinge e sfiora il gol al 48' con Castellanos su cui è attento Svilar e al 50' con Guendouzi che dalla lunga distanza lascia partire un mancino, deviato, su cui Svilar si invola a manda in angolo. La squadra di Ranieri dopo i primi minuti di difficoltà sfiora il tris al 58' ancora con Pellegrini che tenta la conclusione di mancino ma è bravo Provedel a respingere e bloccare su un successivo rimpallo. La Lazio riprende a spingere e Hummels salva su Zaccagni entrato in area dopo aver saltato Mancini.
Al 60' enorme occasione per i biancocelesti con Tchaouna, ben servito da Dia di testa, davanti a Svilar tocca male e va a colpire la parte alta della traversa. Al 65' ancora Lazio pericolosa, questa volta con Tchaouna che di tacco prova a servire Castellanos ma decisivo Hummels in copertura. Poi Ranieri cambia Pellegrini e Saelemakers inserendo Pisilli ed El Shaarawy.
La pressione della Lazio non accenna ad affievolirsi e al 69' Castellanos conclude da posizione defilata ma è attento Svilar. Ranieri cerca forze fresche e toglie Dybala e Dovbyk per Baldanzi e Shomurodov. Al 76' la Roma si salva ancora sull'ennesimo spunto di Tchaouna che crossa per Zaccagni che è bravo a servire Dia a due passi dalla porta ma è decisivo l'intervento di N'Dicka. Al 79' altra perentoria azione di Tavares che entra in area e conclude di sinistro ma il suo tiro termina di pochissimo al lato. Finale concitato e nervoso con rissa finale e Lazio che chiude in dieci uomini per l'espulsione di Castellanos. La Roma vince il derby, la squadra che va tutta sotto la Sud a ricevere l'abbraccio del pubblico giallorosso.
Perugia, 5 gen. (Adnkronos) - Ha sparato con la pistola di servizio (Glock 17 cal. 9) regolarmente detenuta un colpo alla moglie 29enne, romena, per poi spararsi alla tempia. Sono i dettagli emersi dalla ricostruzione dell'omicidio-suicidio avvenuto questa mattina a Gualdo Tadino, nella frazione Gaifana, in una abitazione in via degli Ulivi.
L'uomo, una guardia giurata di 38 anni, è stato trovato senza vita accanto alla vittima. I rilievi ancora in corso, a cura della Sezione rilievi del Nucleo Investigativo di Perugia e Compagnia Carabinieri di Gubbio, confermano la dinamica. Secondo gli investigatori, il movente sarebbe legato a dissidi coniugali. Sul posto il medico legale e il sostituto procuratore di turno.