Secondo l'Associazione nazionale filiera industria automobilistica i 6,3 miliardi che arriveranno a Fca Italy non sono certo la base su cui può ripartire l'intero comparto, da cui arriva anche un ricco gettito Iva per le casse pubbliche. Serve una pianificazione di ampio respiro. Il sindacato dal canto suo ha definito “non più rinviabile un piano di rilancio i cui punti cardine devono essere l’ambientalizzazione delle produzioni, delle fabbriche e dei prodotti, la tutela delle lavoratrici, dei lavoratori e dei salari, la riforma degli ammortizzatori sociali e il mantenimento della capacità di ricerca-sviluppo e produzione”
Il finanziamento da 6,3 miliardi con garanzia pubblica concesso a Fca è in dirittura d’arrivo. Il Tesoro ha dato l’ok all’operazione i cui dettagli dovrebbero arrivare la prossima settimana. Intanto l’azienda si è impegnata a 5 miliardi di investimenti aggiuntivi. E nel decreto Rilancio il governo ha puntato 20 milioni su un centro di ricerca per l’innovazione a Torino, oltre ad aumentare il fondo per i veicoli a bassa emissione (100 milioni per il 2020 e 200 per il 2021). Ma le misure messe in campo dall’esecutivo, che punta a sbloccare i pagamenti per circa 10mila fornitori, non placano le preoccupazioni delle imprese dell’automotive davanti al crollo della domanda nazionale. Così l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia) ha chiesto al governo di progettare insieme il futuro delle quattro ruote in Italia.
Secondo l’associazione presieduta da Paolo Scudieri, il denaro che arriverà ad Fca Italy servirà infatti sostanzialmente a sbloccare i pagamenti ai fornitori. Nella migliore delle ipotesi potrà contribuire a mantenere i livelli occupazionali, ma non è certo la base su cui ripartire per un comparto che vale ancora il 6% del prodotto interno lordo e arriva a pesare fino al 10% se si include l’indotto. Concorda con questa visione anche la Fiom che ha domandato un intervento dell’esecutivo coordinato e veloce. “Chiediamo al premier Conte un confronto per raggiungere un accordo che garantisca innovazione ecologica e occupazione”, ha dichiarato Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive in una nota del 4 giugno.
Un tavolo al Ministero dello Sviluppo economico era del resto già stato avviato a giugno dello scorso anno dopo che Fca aveva svelato i suoi piani di fusione, poi sfumati, con Renault. In quella occasione era emerso come Parigi avesse ben chiare le idee sul futuro del settore, puntando a “fare della Francia un paese leader nei veicoli a basse emissioni” entro il 2030. Piano confermato con i nuovi incentivi concessi dopo l’emergenza coronavirus e mentre Fca si prepara alla fusione con Psa. L’Italia invece non aveva varato un piano strategico pluriennale, ancora oggi assente.
Di qui era partito il pressing dell’Anfia che ora torna a battere cassa chiedendo incentivi per il cambio di auto più consistenti e diffusi (includendo i modelli fino a 95 G/KM di Co2) e un sostegno anche per i veicoli commerciali per smaltire gli stock cumulati durante la chiusura obbligata dell’attività. Richiesta prontamente recepita con emendamenti di Pd, Leu e Italia Viva al decreto Rilancio. Ma non è affatto detto che la proposta passi perché la maggioranza è divisa: il Movimento 5 Stelle chiede che gli incentivi siano riservati alle elettriche. “In Italia gli incentivi per le auto pulite sono fra i più bassi d’Europa – è la posizione dell’Anfia – Inoltre mancano anche le infrastrutture per le ricariche elettriche”. C’è insomma un mondo da costruire, come testimoniano anche le barriere all’uso della vettura elettrica nei centri storici italiani con alcuni comuni che chiedono registrazioni preventive per l’accesso alle aree a traffico limitato.
Secondo l’associazione presieduta da Scudieri è necessario intervenire nel più breve tempo possibile con una pianificazione di ampio respiro. Peraltro “in assenza di interventi mirati, una chiusura del mercato auto 2020 con 500.000/600.000 unità in meno rispetto all’anno precedente determinerà un mancato gettito IVA di circa 2,5 miliardi di euro”, scrive in una nota l’associazione. Ecco anche perché la Fiom ha definito “non più rinviabile un intervento da parte del governo, come negli altri Paesi europei, che possa far ripartire il settore attraverso un piano di rilancio i cui punti cardine devono essere l’ambientalizzazione delle produzioni, delle fabbriche e dei prodotti, la tutela delle lavoratrici, dei lavoratori e dei salari, la riforma degli ammortizzatori sociali e il mantenimento della capacità di ricerca-sviluppo e produzione”. In ballo c’è del resto un settore che ha un ruolo importante nella bilancia commerciale, visto che l’automotive italiana esporta oltre il 50% della sua produzione. Ma la coperta è corta e, a breve, il governo dovrà scegliere su quali settori produttivi puntare per rilanciare il Paese.