“Sono ferma da metà febbraio, ma a marzo ho ricevuto due pagamenti per lavori fatti nel 2019. Quindi per me niente indennità, anche se nel frattempo per vivere avevo chiesto un finanziamento che sto ripagando“. La storia di Emiliana Alessandrucci somiglia a quelle di molti altri lavoratori autonomi. Nel decreto Rilancio c’è un paletto che in tanti casi impedisce a chi già prima della pandemia faticava ad arrivare a fine mese di chiedere il bonus da 1000 euro (contro i 600 di marzo e aprile) previsto per maggio. Mentre potrebbe averne diritto un libero professionista che negli ultimi anni abbia sempre guadagnato cifre molto consistenti. Un paradosso visto che sulla carta l’obiettivo era esattamente opposto: concentrare le risorse su chi è stato più danneggiato dal lockdown.
Il problema nasce dall’articolo 84 del decreto, che modifica i requisiti per accedere al bonus. I liberi professionisti iscritti alla gestione separata Inps e i collaboratori coordinati e continuativi che avevano ricevuto i 600 euro a marzo hanno diritto a prenderli automaticamente anche per aprile. Ma per maggio cambia tutto: la cifra sale a mille euro, però “i soldi spettano solo a chi può dimostrare di aver subìto nel secondo bimestre 2020 una riduzione di almeno il 33% del reddito (calcolato come differenza tra ricavi e spese sostenute) rispetto al secondo bimestre 2019″, spiega Gilberto Gelosa, consigliere nazionale dell’Ordine dei commercialisti.
“Il criterio del ricavo mensile per noi freelance non ha senso” – “Quella norma può andar bene per i commercianti, ma applicata ai lavoratori indipendenti non ha senso“, commenta con ilfattoquotidiano.it Anna Soru, presidente dell’associazione di freelance Acta, che chiede al governo di intervenire durante il passaggio parlamentare del decreto. “Come è noto una fattura può essere pagata a 30 o 90 giorni, quindi può essere che per un lavoro fatto a marzo o aprile i soldi arrivino a ottobre. E allo stesso modo ci sono persone che nel marzo o aprile 2020 hanno ricevuto i pagamenti per progetti finiti l’anno scorso“.
“Esclusa perché a marzo e aprile ho incassato per lavori fatti nel 2019” – Proprio quello che è successo a Emiliana Alessandrucci, consulente di organizzazione del lavoro che è anche presidente del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap) a cui aderiscono 200 associazioni con 300mila professionisti iscritti: “Non rientro nei requisiti solo perché ho incassato dei soldi che avrei dovuto prendere nel 2019. Ma durante il lockdown non ho fatturato nulla…”. Intanto ha dovuto accendere un prestito e ci sono le rate da pagare.
Paragoni sbagliati e calcoli complessi – Il requisito che applica agli autonomi in uno schema adatto a chi ha uno stipendio fisso comporta anche altri problemi: per esempio non riconosce il contributo a chi nel marzo e aprile 2019 non abbia ricevuto alcun pagamento: anche se nel secondo bimestre 2020 ha guadagnato pochissimo, la variazione risulterà comunque positiva. A meno che non abbia sostenuto costi importanti, perché – ulteriore grado di complicazione – il confronto va fatto tra “redditi” calcolati sottraendo dagli incassi le spese legate all’attività.
“Ora sono ferma. Con i bonus di marzo e aprile pagherò le tasse” – In più non hanno diritto ai 1000 euro tanti lavoratori per i quali nei prossimi mesi la situazione sarà ancora peggiore. “Io a marzo e aprile non ho avuto un calo perché ho lavorato in base ad accordi precedenti”, racconta Maria Angela Silleni, freelance nel settore dell’editoria libraria. “Ma adesso, finiti quegli incarichi, le nuove uscite sono state bloccate e bisognerà aspettare che il mercato riparta”. Intanto “le scadenze fiscali di giugno non sono state prorogate, per cui i due bonus di 600 euro presi per marzo e aprile se ne andranno per pagare Irpef e saldo Inps“. Mentre Giulio, operatore shiatsu a partita Iva, non ha fatturato nulla a maggio “e a giugno andrà allo stesso modo perché i corsi sono ancora sospesi. In estate come sempre saranno fermi. Se ne parla in autunno…”.
“Da luglio perdo il lavoro. Ma per me niente ammortizzatori” – Peggio andrà per Andrea, che collaborava a partita Iva con uno studio di commercialisti: “Con la riduzione del lavoro hanno deciso di tenere gli assunti e lasciare a casa noi. In aprile ci hanno dato un preavviso di due mesi. Quindi fino a fine giugno fatturerò, da luglio più nulla. Lavoro solo per loro, quindi è come perdere il posto. Ma io, oltre a non prendere i 1000 euro, non avrò diritto a cassa integrazione o altri ammortizzatori”.
“Ci sono margini di intervento in Parlamento”, apre la sottosegretaria al Lavoro Francesca Puglisi. “Dobbiamo trovare il modo per modificare la norma, magari sostituendo quel criterio con un limite reddituale. In modo da evitare casi come quelli accaduti nei mesi precedenti, quando persone con redditi altissimi hanno chiesto i 600 euro”.