Intervistato al Corriere della Sera disse che, dopo l’esperienza della malattia, qualcosa era cambiato e avrebbe voluto fare qualcosa per gli altri. Ecco Fabio Roia, giudice del Tribunale di Milano, che a inizio marzo era stato il primo magistrato del Palazzo di Giustizia a finire in ospedale con la polmonite, è tornato all’ospedale Sacco, dal quale era stato dimesso dopo oltre tre settimane, come primo donatore di plasma iperimmune per la struttura milanese che ha dato il via alle procedure, già in corso a Pavia e Mantova, che saranno utili per le cure di malati Covid. Il magistrato era stato ricoverato insieme alla moglie anche lei giudice e aveva raccontato l’esperienza faticosa di settimane di ricovero che però avevano innescando la volontà di dedicarsi agli altri.
Le donazioni di plasma da parte di pazienti guariti, come racconta l’Ansa, sono iniziate venerdì nell’ospedale milanese. Come ha spiegato Augusto Federici, direttore dell’Unità complessa di ematologia e medicina trasfusionale dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco, c’è già una lista di persone pronte alle donazioni e ne verranno effettuate “da 4 a 10 a settimana”. Da ogni donatore, ha chiarito il professore, si otterranno “tre dosi di plasma” che potranno essere utili “nelle cure di tre malati o di un solo malato grave” che avrà bisogno di tre infusioni. Il caso di Roia suo era stato il primo episodio di infezione accertata al Palazzo di Giustizia milanese, dove nelle settimane successive ne sono emersi almeno una decina. Ci sono stati anche due morti: un carabiniere e una cancelliera. Tanto che di recente lo stesso giudice ha parlato di “scelte infelici” da parte del ministero della Giustizia nelle prime fasi dell’emergenza, perché la “sospensione di tutti i termini” dei procedimenti, arrivata con decreto l’8 marzo, avrebbe dovuto “essere adottata una decina di giorni prima” e così i tribunali si sarebbero svuotati per tempo. Intanto, Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia dell’ospedale di Mantova e pioniere della cura col plasma, ha denunciato che “certa politica” avrebbe cercato di metterlo a tacere. E ancora: “Sono morte 34mila persone – ha aggiunto – ma i nostri risultati ci dicono che avremmo potuto salvarne almeno la metà”. Ora si è partiti con le donazioni anche al Sacco seguendo le procedure “del Centro nazionale sangue e della Regione Lombardia”. Nel caso il plasma raccolto non fosse utilizzato subito per le cure, ha spiegato il professor Federici, potrà essere congelato e si potranno andare ad isolare “le immunoglobuline”. In attesa del vaccino, ha concluso, la cura col plasma iperimmune “potrà dare supporto alle persone infettate”.