Medici senza frontiere, in esclusiva per ilfattoquotidiano.it, ha raccolto le testimonianze del suo personale sanitario ad Aden. Nel Paese, martoriato da guerra e carestia, i casi di Covid-19 aumentano esponenzialmente. I morti - che vanno dai 40 ai 60 anni - sono nove volte in più rispetto al normale, mancano corrente elettrica, ventilatori e ossigeno. Ed è un problema anche gestire i cadaveri
Lavorano senza sosta, facendo tutto il possibile per i pazienti e per dare loro l’ossigeno, il solo che può tenerli in vita. Ma i morti sono tanti, tutti i giorni: da 80 a 90 nelle ultime settimane, contro le 10 prima dell’epidemia. I pazienti nel centro di trattamento per il Covid-19 di Medici Senza Frontiere (Msf) ad Aden, nello Yemen, “arrivano già in condizioni gravi, quando è troppo tardi”, spiega in esclusiva per ilfattoquotidiano.it Thierry Durand, coordinatore del progetto di Msf ad Aden. Un caso su tutti: quello di un uomo, 60 anni, che arriva in terapia intensiva. Tossisce e fatica a respirare. Gli viene dato l’ossigeno, ma quattro ore dopo muore. Il cortile del centro è pieno di file di bombole, 250 sono quelle necessarie ogni giorno per permettere ai pazienti di continuare a vivere. Dal 30 aprile al 24 maggio, il centro ha accolto 228 pazienti, 99 dei quali sono morti. E le vittime sono soprattutto uomini tra i 40 e i 60 anni. E in un Paese colpito non solo dalla guerra e dalla carestia ma anche da una crescita esponenziale di casi di Covid-19, diventa ormai indispensabile l’aiuto di Onu e Paesi donatori.
“I pazienti arrivano da noi troppo tardi” – “Quello che stiamo vedendo nel nostro centro è solo la punta dell’iceberg in termini di numero di persone contagiate e in fin di vita nella città. I pazienti arrivano da noi troppo tardi per essere salvati e sappiamo che molte più persone non vengono affatto e stanno morendo nelle loro case. È una situazione straziante”, spiega Caroline Seguin, coordinatrice di Msf in Yemen. “Le Nazioni Unite e gli Stati donatori devono fare di più e con urgenza, non solo per Aden ma per tutto lo Yemen. Occorre trovare fondi per pagare gli operatori sanitari e fornire loro i dispositivi di protezione necessari perché lavorino in sicurezza. Il paese ha anche bisogno di più macchine per l’ossigeno per aiutare i pazienti a respirare”.
Il centro di trattamento registra un tasso di mortalità equivalente alle unità di terapia intensiva in Europa e negli Stati Uniti, ma quello di Aden non è un ospedale ben attrezzato e integrato con una rete di altri ospedali e servizi a supporto. Questo fa una grande differenza. Msf ha recuperato una parte ristrutturata in fretta di un vecchio ospedale oncologico, ai margini della città. L’intero sistema sanitario è crollato a causa di cinque anni di guerra e gli abitanti sono spesso al buio a causa delle continue interruzioni della corrente elettrica. Questa unità è l’unica struttura finora dedicata al trattamento del Covid-19 per tutto il sud dello Yemen.
“Qui manca tutto, dalle mascherine all’ossigeno” – “Non abbiamo altra scelta che riutilizzare i dispositivi di protezione individuale (DPI) perché non ne abbiamo abbastanza” afferma il dottor Khairil Musa di Msf che lavora nella terapia intensiva. “L’accesso ai test è incredibilmente limitato. Non abbiamo abbastanza ventilatori, abbiamo bisogno di più erogatori di ossigeno e di una catena di fornitura affidabile. Regolatori, tubi, maschere. Tutto questo ci manca spesso. È una sfida enorme”. Somministrare l’ossigeno, continua Musa, sembra semplice, ma i pazienti affetti da Covid-19 ne hanno bisogno di una quantità estremamente elevata ogni minuto. Una sfida enorme in termini di approvvigionamento. “Il fabbisogno di ossigeno è spaventoso” continua Thierry Durand, quando viene interrogato sulle principali difficoltà di fornire ossigeno ai pazienti. “Non c’è ossigeno centralizzato, non c’è ossigeno liquido, siamo comunque ad Aden che dispone di un certo numero di risorse, materiali e personale. Vi lascio immaginare come sia la situazione nei luoghi più remoti dello Yemen”. Musa racconta che insieme ai colleghi controllano i pazienti per controllare i livelli di ossigeno: “A volte sembra stiano bene e reagiscano alla terapia, ma poi un attimo dopo sono morti. Altri ansimano, sono senza fiato e sono quelli che muoiono più rapidamente. Si stancano e smettono di respirare”.
Tanti i morti e anche la gestione dei decessi, che nelle ultime settimane sono fino a nove volte di più rispetto alla normalità, diventa un problema. “Non abbiamo un obitorio nel centro. C’è un imam che viene a recuperare i cadaveri per riportarli alle famiglie, ma non ci sono abbastanza persone per gestire i corpi senza vita”. E le immagini dei droni scattate da giornalisti in altre parti della città mostrano file di tombe scavate di recente. “Il personale sanitario soffre perché non può salvare i propri pazienti. Soffre perché ci sono tanti morti”, conclude Thierry.
Medici senza frontiere lavora in Yemen dal 1989 e dal 2007 è presente ininterrottamente nel paese. Il suo intervento in risposta alla pandemia si estende in oltre 70 paesi tra Europa, Africa, Medio Oriente, Asia, Oceania e Sudamerica. In Italia, gli operatori MSF impegnati nella risposta al Covid-19 per condividere la propria esperienza nella gestione delle epidemie, in particolare in Lombardia, nel Lazio e in Sicilia. Diversi operatori che partono in missione con MSF da settimane sono in prima linea come medici del sistema sanitario nazionale.