Se dovessimo contare tutti gli articoli che i giornali hanno dedicato alla meraviglia delle città vuote durante il lockdown, alla pulizia dell’aria causata dalla pandemia, al risveglio della natura con specie animali di ogni tipo che si sono “riprese i loro spazi” invadendo persino le città dovremmo dedurre che l’idea di una connessione tra ambiente e pandemia i mezzi di informazione l’hanno data. Si è capito in qualche modo, lo hanno capito gli italiani, che la presenza aggressiva dell’essere umano, legata al nostro modo “normale” di vivere, produce conseguenze sull’ambiente.

Si tratta senz’altro di un nesso importante, che ha risvegliato una certa coscienza ecologica delle persone, forse già pronta per essere smossa. Non è un caso che, se si calcolassero le immagini più ricorrenti della pandemia, probabilmente le frequentissime foto di dolci e pane fatti in casa sarebbero superate da quelle di fiori e piante cresciuti in casa, nelle terrazze, nei giardini, un’esplosione di verde e di foto di natura che raccontano di un grande desiderio di tutti noi di tornare a fare una vita più a contatto con la “materia” che ci circonda e ci consente di vivere. Un desiderio reale, concreto, non retorico.

A dimostrazione di questa nuova passione ci sono alcuni dati: il boom di acquisti di biciclette, che fa sperare che i fondi che il governo ha messo a disposizione per comprare bici, monapattini o usare il car sharing non siano i pochi milioni, poco più di cento, indicati. E che non ci sia cioè un click day con la corsa a chiedere il bonus bici e la concreta possibilità che tantissimi restino fuori.

Così non funziona, se c’è un desiderio di mobilità sostenibile è fondamentale che sia sostenuto e incoraggiato. C’è chi ha scritto che il bonus biciclette sarebbe un contentino che il governo ci dà visto che mancano i contributi sostanziosi per vivere. È vero, ci sono ancora settori scoperti dagli aiuti e tantissime persone in condizioni drammatiche, ma è vero anche che non solo sono stati erogati miliardi per aiuti a fondo perduto ma che, ripeto, incentivare la mobilità sostenibile è fondamentale per il nostro benessere e direi la nostra sopravvivenza.

Altri dati che raccontano di un interesse crescente degli italiani verso la natura e l’ambiente sono le prenotazioni turistiche, con un boom della montagna e un calo drastico delle città d’arte. Si è capito che la natura è un vero e proprio bisogno per grandi e piccoli e che non ne possiamo fare a meno. E dunque, se dovessimo fare un bilancio di questa pandemia, possiamo dire che sicuramente ha messo l’ambiente al centro dei nostri interessi.

Tuttavia, ci fermiamo qui. Il bilancio, alla fine, non è poi così ottimistico, perché purtroppo, a causa dei mezzi di informazioni e della politica, schiacciati sulla cronaca della pandemia, non si è fatto un salto ulteriore. Quello che porta dal problema dell’inquinamento – quello legato alla nota canzone di Adriano Celentano, Il ragazzo della via Gluck -, della cementificazione, della pessima qualità dell’aria alla questione della crisi climatica. Che è un tema molto più ampio, complesso e drammatico.

Purtroppo, nel dibattito pubblico di questi mesi, il tema non è stato per nulla toccato. Anzi, gli articoli speranzosi nel caldo per sconfiggere il virus lasciavano chiaramente trapelare l’assoluta non conoscenza del problema dell’aumento delle temperature, e lo stesso per tutti gli articoli legati alla ripartenza, al ritorno alla “normalità”, agli aeroporti finalmente affollati. Tutti chiaramente non consapevoli di quanto il nostro stile di vita precedente la pandemia abbi inciso sulla stessa.

Di crisi climatica, di negoziazioni per il clima, di accordi fra stati per impedire che la temperatura salga di 1,5 o 2 gradi nei prossimi decenni non c’è alcuna consapevolezza tra gli italiani. D’altronde, perché dovrebbero averla, se i giornali non ne parlano e se la politica pure non se ne occupa come questione preminente? Gli italiani hanno seguito in maniera obbediente ciò che veniva loro detto di fare. Ma nessuno gli ha spiegato qual è il problema del cambiamento climatico.

E dunque, in conclusione, potremmo dire che se da un lato finalmente la pandemia ci ha fatto parlare anche di ambiente e ci ha fatto riscoprire quanto amiamo fiori, piante, parchi, trekking e quanto tutto ciò ci dia vita e piacere, dall’altro non è stato fatto quel passaggio fondamentale che avrebbe potuto far capire agli italiani il senso della crisi climatica. Sono abbondati i virologi nei talk show, ma i climatologi sono rimasti al loro posto, non invitati. A loro non è stata data voce.

Eppure solo di questo dovremmo discutere oggi, di come evitare una nuova pandemia, del legame tra pandemia e distruzione ambientale, delle conseguenze del cambiamento climatico sulla nostra salute e di come potremmo almeno in parte mitigarle. Soprattutto, di quale modello di sviluppo è sostenibile, del fatto se esista o meno una crescita realmente verde, o se invece dovremmo, in parte, decrescere. E di come farlo.

Ora speriamo che i giornali facciano un passo in più e che l’ambiente dagli inserti, spesso ottimi, sulla natura e il clima diventi cronaca quotidiana e affronti anche il problema di come dobbiamo vivere per non morire. Siamo stati capaci di fermare una pandemia con razionalità, informazione e azione possiamo fare tantissimo anche sul fronte climatico e ambientale. Purché lo si conosca, purché se ne parli.

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