Era il 5 gennaio, due giorni dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani per mezzo di un drone Usa, quando l’Iran annunciò che, dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare e l’intesa mai trovata con i Paesi europei, avrebbe continuato ad arricchire l’uranio oltre i limiti previsti dal Nuclear Deal del 2015. Oggi, a cinque mesi di distanza, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha reso noto che il regime degli ayatollah dispone di 1.571,6 chilogrammi di uranio arricchito: quasi otto volte oltre il limite stabilito cinque anni fa, ovvero 300 chili.
A rivelarlo è l’Afp citando un rapporto della stessa Aiea che nel documento esprime “seria preoccupazione” per l’incapacità dell’Iran di fornire accesso a due siti che desidera visitare in relazione a possibili materiali e attività non dichiarati.
L’uccisione del generale Soleimani ordinata dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha messo definitivamente la parola ‘fine’ sull’accordo che già stava naufragando dopo il ritiro proprio di Washington, una delle prime decisioni prese dal tycoon dopo essersi insediato alla Casa Bianca, rispettando le promesse fatte in campagna elettorale.
“Il peggior accordo della storia”, lo aveva definito The Donald che, oggi, si trova però a dover affrontare la minaccia di un avversario nell’area mediorientale che sta sviluppando riserve di uranio arricchito che lo avvicinano sempre più all’obiettivo di diventare una potenza nucleare. Con un conseguente innalzamento della tensione in tutta l’area, in particolar modo a Tel Aviv e Riyad.
Già a novembre, vista la rottura dell’accordo, Teheran aveva annunciato la “quarta fase” del disimpegno sul nucleare, con la creazione di nuove centrifughe e la produzione di 5 chili di uranio arricchito al giorno.