Sono altri due i fascicoli che legano l’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, agli imprenditori baresi Gaetano, Giuseppe e Cosimo Mancazzo, tutti finiti ai domiciliari il 19 maggio scorso per le presunte pressioni fatte su un magistrato di Trani affinché mandasse a processo un uomo che questi ultimi avevano accusato – ingiustamente per gli inquirenti – di usura. Ne è convinta la procura di Potenza, guidata da Francesco Curcio, che nell’odierna udienza dinanzi al tribunale del Riesame ha depositato nuovi documenti per certificare l’esistenza di rapporti pregressi tra gli imprenditori e l’ex capo degli inquirenti.

Si tratta altre due indagini che coinvolgono alcuni degli imprenditori. Dalle poche indiscrezioni raccolte da ilfattoquotidiano.it, in particolare è emerso che in uno di questi, uno dei fratelli era iscritto nel registro degli indagati e che, secondo l’accusa, grazie all’interessamento di Capristo la sua posizione sarebbe stata archiviata. Il secondo caso citato dalla procura lucana, invece, sarebbe una sorta di replica del caso che ha portato all’arresto: una denuncia presentata da uno dei Mancazzo nei confronti di un uomo che sarebbe stato rinviato a giudizio e poi assolto nei successivi gradi di giudizio. Ma non è tutto. La procura di Potenza oltre ai documenti processuali relativi a questi due casi, avrebbe inoltre depositato anche una serie di testimonianze che certificherebbero l’esistenza di legami tra gli imprenditori e il giudice. La procura, quindi, avrebbe interrogato soggetti in grado di smentire le dichiarazioni che Capristo aveva rilasciato nell’interrogatorio di garanzia, quando aveva sostenuto di non conoscere i Mancazzo. Non è chiaro, infine, se tra queste testimonianze ce ne siano anche alcune di altri magistrati in servizio alla procura di Trani, dove Capristo era procuratore prima del suo trasferimento a Taranto.

Dinanzi al collegio che dovrà decidere se confermare o meno l’ordinanza firmata dal gip Antonello Amodeo, ha tenuto la sua discussione anche l’avvocato Antonella Pignatari che difende il magistrato. L’avvocato Pignatari ha chiesto l’annullamento del provvedimento sostenendo che non vi siano i gravi indizi di colpevolezza soprattutto alla luce delle dichiarazioni fatte dall’autista di Capristo, l’ispettore Michele Scivittaro che nel suo interrogatorio ha ammesso di aver incontrato la pm di Trani, Silvia Curione, chiedendo di velocizzare la richiesta di rinvio a giudizio del presunto usuraio denunciato dai Mancazzo, ma di aver agito di propria iniziativa e specificando che Capristo era completamente all’oscuro della vicenda. L’avvocato inoltre si è concentrata anche sulle esigenze cautelari che sarebbero venuto meno con la richiesta di pensionamento presentata dal magistrato poco dopo il suo arresto.

Con quest’ultima motivazione, inoltre, l’avvocato Pignatari aveva chiesto al gip Amodeo, al termine dell’interrogatorio di garanzia di Capristo, la revoca dei domiciliari, ma il gip ha confermato i domiciliari accogliendo il parere della procura che aveva spiegato come le dimissioni possano essere revocate nel corso dell’iter che dura anche alcuni mesi e che, soprattutto, le indagini sulla vicenda erano ancora in corso e quindi esisteva il pericolo di inquinamento delle prove che gli inquirenti potentini devono ancora raccogliere. Già nella sua ordinanza, il gip Amodeo aveva motivato la scelta dei domiciliari spiegando che “le indagini sono ancora in corso” e che occorre approfondire “tutte le vicende relative allo Scivittaro escutendo colleghi, cancellieri e personale della Procura di Taranto e della Questura di quel centro”. Il collegio dei giudici del Tribunale del Riesame di Potenza si è riservata la decisione che potrebbe quindi arrivare nei primi giorni della prossima settimana.

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