Ben pochi uomini di cultura si sono avventurati sul terreno delle conseguenze che una grande opera ha sulla vita delle persone. Personalmente, anni fa, nel mio piccolo, affrontai tale problematica e realizzai un servizio per il mensile Alp sulle grandi dighe che furono realizzate sull’arco alpino occidentale e che comportarono il trasferimento di migliaia di persone. Volevo dare il mio contributo alla tesi che l’energia idroelettrica non è mai stata una energia pulita. Ne vennero fuori testimonianze, ricordi toccanti di quelle vite che, in nome di un supposto bene comune, erano state distrutte.
Ma se nell’Italia che conosceva l’industrializzazione e lo sviluppo tali opere potevano trovare una qualche giustificazione, oggi quasi sempre la grande opera comporta enormi ripercussioni e sacrifici non più in nome di un superiore bene comune, ma solo in nome del profitto di chi l’opera la realizza, e, in alcuni casi, la gestisce. È quello che accadrà con la Torino-Lione se mai andrà a compimento ed è quello che sta accadendo con una delle opere più demenziali della storia italiana: la Pedemontana Veneta, di cui già precedentemente mi occupai.
In una regione che già si distingue per il più alto consumo di suolo in Italia una ennesima opera di grande viabilità con oneri in buona parte a carico della collettività si appalesa appunto per quello che è: una marchetta ai costruttori.
Ma rìtorniamo all’incipit, perché una persona che ha voluto indagare cosa accade nella vita delle persone c’è. Quella persona è un regista, si chiama Dimitri Feltrin e ha realizzato un documentario che racchiude tre storie di persone cui la Pedemontana ha cambiato la vita, ritrovandosi ahiloro con le loro aziende o abitazioni lungo il percorso del nastro di asfalto. E il documentario – che è la summa di tre corti – si intitola proprio Asfalto, pur senza questo asfalto (volutamente) mai farlo vedere.
Il regista non si addentra sulle caratteristiche dell’opera, sulla sua presunta necessità, sui danni ad ambiente e territorio, si limita ad ascoltare le voci di queste persone che hanno vissuto gran parte della loro vita lì e adesso devono abbandonare il luogo della vita: ce ne mostra i costi umani.
Non sono neppure persone incazzate, sono solo persone rassegnate e tristi. E questo tocca ancor di più le nostre corde. L’opera di Feltrin è forse unica in tal senso, perché delle grandi opere si sono realizzati filmati “militanti”, ma mai si è dato vita solo alle voci delle vittime in prima persona. E ti viene da pensare che quello che una grande opera ti porta via niente e nessuno te lo potrà mai risarcire. Sì, ti espropriano e ti indennizzano del valore materiale delle cose, ma la tua vita, i tuoi ricordi, questi non hanno un prezzo e sono perduti per sempre.