Beni pubblici – come i laboratori e anche i ricercatori stessi – messi a disposizione di “un interesse privato” che così ha avuto “un’occasione di guadagno”. La riflessione giuridica che sottende alla sentenza del Tar della Lombardia, che ha annullato la controversa intesa tra la Fondazione del Policlinico San Matteo di Pavia e la Diasorin è netta. Quel contratto è “inefficace” perché l’Istituto di ricerca avrebbe dovuto preparare un bando di gara pubblico e permettere ad altre società di metter a punto i tanti necessari test sierologici per comprendere e studiare l’evoluzione dell’epidemia di Sars Cov 2. L’intesa siglata, secondo il Tribunale amministrativo regionale, ha così permesso alla Diasorin, tra l’altro quotata in Borsa, un “indebito vantaggio competitivo … con conseguente alterazione della concorrenza nel mercato”. Ed è stata proprio una concorrente, TechnoGenetics, a innescare la miccia. Un confronto iniziato ormai da un paio di mesi che poi si è trasformato in una battaglia legale vera e proprio a colpi di esposti e denunce. Il Tribunale amministrativo regionale ha anche disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti poiché, si legge nella sentenza a firma del giudice estensore Fabrizio Fornataro, “la Fondazione San Matteo ha impegnato risorse pubbliche, materiali ed immateriali, con modalità illegittime, sottraendole, in parte qua, alla loro destinazione indisponibile”.
Gli esposti alle autorità competenti: “È un aiuto di Stato” – La TechnoGenetics aveva presentato un esposto alla Consob, all’Anac e all’Autorithy della Concorrenza, una copia alla Procura di Pavia, e il ricorso al Tar. La società, joint venture italo-cinese della diagnostica con sede a Lodi, lanciava accuse pesanti: “C’è stato un aiuto di Stato a un soggetto privato” sui progetti dei test del sangue che dovrebbero aiutare a conoscere l’evoluzione della pandemia di coronavirus nel Paese. I test, secondo le stime dell’azienda riportate nell’esposto, avrebbero potuto produrre profitti “di almeno un miliardo di euro”. Nel mirino, l’affidamento diretto della sperimentazione e dei test di massa nella regione alla Diasorin iniziati a fine aprile. Si contestava la legittimità dell’accordo sul progetto sviluppato dalla Spa piemontese con il team del professor Fausto Baldanti del Policlinico di Pavia, una struttura pubblica ospedaliera. Un test di nuova tecnologia per il quale il Policlinico doveva percepire finanziamenti e royalities dell’1%. In seguito agli annunci sulla capacità di questo tipo di test di concedere “la patente di immunità” a chi risulterà aver sviluppato gli anticorpi al virus, il titolo DiaSorin si era impennato in borsa fino al record di giovedì di 158,5 euro. Come del resto oggi ha subito immediatamente un calo dopo la diffusione della notizia.
L’inchiesta del Fatto Quotidiano e il caso Baldanti – La vicenda era stata rivelata da Il Fatto Quotidiano che aveva contestato a Baldanti un potenziale conflitto d’interesse: il professore faceva parte del gruppo di lavoro del Comitato tecnico scientifico del Consiglio superiore della Sanità e di un organismo di lavoro messo in piedi dalla Regione Lombardia, incaricati di studiare la qualità dei test di tutte le aziende, senza aver dato notizia delle royalties Diasorin al San Matteo. Dopo l’inchiesta del Fatto, il professor Baldanti ha rivendicato la correttezza del proprio operato ma ha preferito dimettersi dai gruppi di lavoro. I legali di TechnoGenetics avevano definito l’accordo s-San Matteo “un del tutto inedito partenariato pubblico-privato” accusato di aver messo le conoscenze e il know-how di un’amministrazione pubblica scientifico-ospedaliera a servizio degli interessi di un soggetto privato, la spa piemontese. Che grazie a questo – è la loro tesi – otterrà il brevetto e la possibilità di commercializzare i kit. Secondo gli avvocati di Technogenetics, Francesco Abiosi e Ludovico Bruno, l’azienda pubblica, per mettersi al servizio di un privato, avrebbe dovuto individuarlo attraverso un bando. E siccome non l’ha fatto c’è stata una violazione delle norme sulla libera concorrenza. Di qui la richiesta al San Matteo di annullare in autotutela il provvedimento, altrimenti si sarebbe andato con il Tar.
“Consentito di conseguire un nuovo prodotto che resterà privato”- I giudici amministrativi, presieduti da Domenico Giordano, hanno rilevato l’alterazione della concorrenza poiché,”mediante l’accordo, il Policlinico ha consentito ad un particolare operatore economico, scelto senza il rispetto di alcuna procedura ad evidenza pubblica, ancorché non tipizzata, di conseguire un nuovo prodotto, che rimane nell’esclusiva disponibilità e commerciabilità dell’operatore stesso”. I test sierologici, ossia quelli che rilevano la presenza di anticorpi dopo un’infezione da Covid 19, sono iniziati in Lombardia il 23 aprile. Il San Matteo di Pavia, in particolare, ha effettuato la validazione testando i sieri della Diasorin per testare la validità. Uno dei requisiti richiesti continuamente dal Comitato scientifico era quello dell’attendibilità. Tre l’Istituto di ricerca e cura, in prima linea nella battaglia contro il nuovo coronavirus, e la multinazionale è stato siglato un contratto proprio su questa validazione, un accordo che prevede che la società versi una royalty dell’1% per tutti i test venduti nel mondo (Lombardia esclusa), soldi che, poi, il San Matteo avrebbe usato per la ricerca.
I giudici: “Attività dei ricercatori finalizzata a sviluppare un prototipo” – Secondo il Tribunale di fatto il Policlinico non ha testato e validato un prodotto già finito ma ha aiutato la Diasorin a metterlo a punto: “Emergono a chiare lettere la complessità e la molteplicità delle diverse attività dedotte nell’accordo, che non è diretto alla semplice validazione di un prodotto finito, ma si articola nello sviluppo di un prototipo fornito dalla società, sulla base di una valutazione analitica e clinica, cui potrà seguire un ulteriore studio clinico per determinare le prestazioni diagnostiche conseguibili mediante un kit molecolare da sviluppare e, quindi, non ancora ultimato”, un’attività quella dei ricercatori finalizzata “a conseguire un’invenzione, sulla base di un prototipo fornito dalla società”. Per questo per il Tribunale la Fondazione “ha attribuito direttamente a Diasorin una particolare utilità, di rilevanza economica, che si traduce in un’occasione di guadagno” e “le utilità assegnate sono state utilizzate per la realizzazione di prodotti e kit per i quali esiste uno specifico mercato, nel quale operano sia Diasorin spa” che suoi concorrenti, come Technogenetics. La Fondazione per legge può “avvalersi di altri soggetti per industrializzare i risultati della sua ricerca scientifica, svolta come attività istituzionale”, ma non può porre “la sua struttura e le sue capacità a disposizione di un particolare soggetto privato, per consentirgli di conseguire risultati scientifici che resteranno nell’esclusiva disponibilità del privato, anche per ciò che attiene alla proprietà e alla titolarità dei brevetti”. Il “contenuto complessivo del contratto” tra Diasorin e San Matteo, scrive il Tar, “non ha ad oggetto solo la validazione di un test, ma lo sviluppo dei prodotti presentati da Diasorin”. Il contratto, ribadiscono i giudici, ha ad oggetto “non solo le attività dirette a sviluppare dei prototipi, ma anche attività successive tese all’ottimizzazione delle prestazioni dei prodotti”. Sempre nel contratto vengono indicate “una molteplicità di attività di analisi, di ricerca e di studio, dirette sia a consentire il passaggio dai prototipi forniti dalla società a dei prodotti finiti, sia a realizzare dei kit molecolari e sierologici”. E la durata dell’accordo “è fissata in dieci anni e a tale periodo è commisurata una quota consistente del compenso previsto in favore del Policlinico”. Accordo ora annullato dai giudici.
“Soddisfatto un interesse privato con beni pubblici” – Il Tribunale, ricordando la giurisprudenza costituzionale, sottolinea come “i beni destinati al perseguimento dei fini istituzionali – fini consistenti, riassuntivamente, nelle attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi, oltre che di ricerca scientifica bio-medica – comprendono gli strumenti, le apparecchiature, i laboratori, i materiali impiegati, le conoscenze scientifiche, le tecnologie, le professionalità di cui l’Ente dispone e che deve riservare al raggiungimento dei suoi scopi istituzionali. Si tratta di beni funzionalizzati al servizio pubblico istituzionalmente svolto dalla Fondazione, che, però, nel caso di specie, non vengono utilizzati per questo fine, ma per soddisfare un interesse particolare, di cui Diasorin spa è portatrice, consistente nello sviluppo e nella realizzazione di prodotti e kit di cui Diasorin stessa acquisterà la proprietà esclusiva, conservando il diritto di brevettare le invenzioni realizzate e di procedere alla relativa commercializzazione”. Per i giudici gli accordi tra Policlinico e Diasorin rientrano in un “rapporto concessorio” e per questo la Fondazione San Matteo di Pavia, fondazione pubblica, avrebbe dovuto “individuare la controparte, ossia il concessionario, mediante una procedura ad evidenza pubblica, di cui, però, non vi è traccia nel caso in esame“. Il contratto, si legge nella sentenza, “è stato affidato in violazione dei principi interni e comunitari”, mentre avrebbe dovuto esserci “una procedura coerente con i principi di trasparenza, proporzionalità, pubblicità, imparzialità, parità di trattamento“, principi “del tutto disattesi nel caso di specie”.
Policlinico e Diasorin annunciano appello al Consiglio di Stato – “Faremo appello con urgenza al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza di primo grado di cui chiederemo la sospensiva convinti della bontà dell’operato e che l’attività rientra pienamente in quella istituzionale dell’ente – ha dichiarato all’Ansa Alessandro Venturi, presidente della Fondazione San Matteo di Pavia. Venturi spiega che “il contratto è attivo e, quindi, il San Matteo non ha speso soldi a favore di Diasorin. Viceversa per le prestazioni rese incassa risorse da destinare a favore della ricerca scientifica pubblica”. Il presidente, che ha specificato che “i test vanno avanti a prescindere” in quanto la decisione del Tar è “irrilevante” ai fini delle indagini sierologiche sulla popolazione, ha precisato che le royalties previste in seguito alla validazione del test riguardano le vendite in tutto il mondo, esclusa la Lombardia. “Era un accordo di collaborazione scientifica come se ne fanno mille. Una bella storia di cui andare fieri: proventi per la ricerca pubblica che derivano da vendite fatte in altri Stati del mondo, Paesi importanti con aziende molto attive in questo settore scientifico, Paesi che hanno scelto un test sierologico validato da noi” dice Venturi all’Adnkronos Salute. Anche la Diasorin annuncia ricorso accogliendo “con sorpresa la pronuncia del Tar della Lombardia che, evidentemente, non ha correttamente interpretato la natura dell’accordo intercorso con il San Matteo. La società ribadisce di avere sempre operato nell’ambito della correttezza e del pieno rispetto delle regole e di aver già dato ai propri legali mandato di proporre immediatamente appello avanti il Consiglio di Stato”.