Nessun licenziamento, ripresa delle attività previste dal piano ambientale e introduzione della Valutazione di Impatto Sanitario Preventivo: sono alcune delle richieste avanzate dagli operai dell’ex Ilva di Taranto riunite nel consiglio di fabbrica convocato da Fim, Fiom e Uilm alla vigilia dell'incontro tra governo e sindacati
Nessun licenziamento, ripresa delle attività previste dal piano ambientale e introduzione della Valutazione di Impatto Sanitario Preventivo. Sono alcune delle richieste avanzate dagli operai dell’ex Ilva di Taranto riunite nel consiglio di fabbrica convocato da Fim, Fiom e Uilm. Un incontro nato dopo le notizie sul contenuto del nuovo piano industriale presentato da ArcelorMittal al governo. Le pretese dell’azienda che contano circa 5mila esuberi (tra diretti e lavoratori in forza a Ilva in As che dovevano essere reintegrati entro il 2023) e fondi per quasi 2 miliardi di euro, sono stati definiti da subito “inaccettabili” dalle organizzazioni sindacali che nel consiglio di fabbrica hanno voluto chiarire le posizioni del “no” e mettere nero su bianco le loro richieste.
Su quest’ultimo punto, infatti, Arcelor prevede il rifacimento dell’altoforno 5 solo in epoca successiva al 2025 e solo se le condizioni di mercato o permettevano. Gli operai di Taranto hanno chiesto anche un “provvedimento speciale per Taranto” con la “introduzione di misure specifiche per la tutela dei lavoratori con strumenti idonei affinché nessuno rimanga indietro” e un “maggiore coinvolgimento delle istituzioni locali e delle parti sociali sul fronte degli investimenti previsti dal CIS (Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto, ndr) necessari a far ripartire un’economia diversificata e che dia nuove possibilità di lavoro in un territorio particolarmente provato dal punto di vista occupazionale”.
Ma soprattutto i lavoratori hanno chiesto l’introduzione della Valutazione di Impatto Sanitario Preventivo, cioè lo studio preventivo per comprendere le ricadute sulla salute delle azioni industriali. Un documento invocato più parti, soprattutto a Taranto che per decenni ha sacrificato la salute sull’altare del lavoro. L’idea, fanno sapere i sindacati, è quella “costruire un percorso di mobilitazioni necessario a respingere il piano industriale presentato dalla multinazionale con cui, ancora una volta, prova a ridisegnare prospettive differenti rispetto a quanto sottoscritto in sede ministeriale lo scorso 6 settembre 2018”.
E i lavoratori non hanno risparmiato bordate al governo denunciando che “in questi mesi abbiamo assistito a continui annunci del governo in base all’accordo del 4 marzo 2020, tra la gestione commissariale e ArcelorMittal, in cui il sindacato è stato completamente estromesso” per ritrovarsi lo scorso 5 giugno “inspiegabilmente”, secondo gli operai, alla possibilità concessa ai nuovi padroni dell’acciaio di “presentare un ulteriore piano industriale che rinvia al 2025 le innovazioni tecnologiche insieme al piano di risanamento ambientale”.
Per i lavoratori, al momento, l’unica certezza di quel documento è rappresentata dai licenziamenti degli operai, sia di Arcelor che di Ilva in As, oltre alle “pesantissime ricadute sul piano occupazionale nel bacino degli appalti”. Per Fim, Fiom e Uilm, quindi, è “inaccettabile” anche l’atteggiamento del governo “che continua a trattare con ArcelorMittal, una controparte che ha dato dimostrazione di essere un soggetto inaffidabile e che non rispetta gli impegni sottoscritti continuando a rinviare gli investimenti sulle innovazioni tecnologiche e non garantendo la manutenzione degli impianti”.
Una posizione netta e distante anni luce dalle richieste di Arcelor che difficilmente il governo potrà modificare. E il parere dei sindacati è vincolante per l’accettazione del nuovo piano industriale. Alla vigilia dell’incontro tra governo e sindacati, insomma, le idee appaiono chiare mentre il futuro dello stabilimento tarantino diventa sempre più incerto.