Aveva fatto della montagna la sua vita. È stato protagonista in venticinque spedizioni sulle cime dell’Himalaya ma l’ultima scalata contro il Covid-19 non è riuscita. Ezio Berti era un grande nome dell’alpinismo veneto, sopratutto di quello veronese. È morto lo scorso 22 aprile all’ospedale a Villafranca, dove era stato ricoverato dopo essere stato per oltre un mese al presidio di Borgo Roma. Il coronavirus ha colpito tutta la sua famiglia. Un mese prima, il 15 marzo, era scomparsa anche la moglie Gemma, mentre il figlio Remo è rimasto intubato per due settimane in terapia intensiva prima di riprendersi.
Nato a Cologna Veneta 80 anni fa, Berti si era trasferito a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona, una trentina di anni fa. Qui aveva fondato, nel 1997, il Gruppo Amici della Montagna insieme ad alcuni compagni. Inventore della Camminalonga (la marcia notturna dalla piazza del paese alla cima del Carega), Berti ha vissuto le sue prime esperienze in montagna in Carnia negli anni Cinquanta. Oltre alle vette asiatiche dell’Himalaya, l’alpinista veneto ha partecipato anche a spedizioni in America del Nord e del Sud (in particolare in Canada e Patagonia). Nell’ottobre 2001 tentò l’ascesa alla cima himalayana del Cho Oyu, sesta montagna al mondo con i suoi 8.201 metri. L’impresa fu fermata a causa del maltempo. È del 2005 invece l’escursione sull’Annapurna, massiccio di 8.091 metri. L’ultima volta sul massiccio asiatico poco dopo Natale del 2019 per un trekking a bassa quota. Nel 2012 presentò un video della durata di un’ora e mezza con il quale ripercorreva le tappe più importanti delle escursioni compiute in Asia.
La morte di Ezio Berti ha colpito profondamente tutto il mondo dell’alpinismo veneto. “È con molto dolore che comunico che il grande cuore di Ezio Berti non ha retto nella sua strenua lotta contro questo maledetto virus”, ha commentato con cordoglio il Gruppo Alpino Scaligero Verona. Il Cai Verona ha voluto invece ricordarlo sul proprio sito come un uomo tutto “famiglia, cime e una sola ‘amante’: la fotografia. Un ‘virus’ di cui tanti alpinisti sono portatori più che sani. Ezio aveva in sé due istinti paralleli: l’impulso a portare le persone in montagna e portare la montagna alle persone”.