Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

Il colpo di testa non è forte, non è angolato, non è nemmeno improvviso. Nery Pumpido non deve fare altro che allungare le mani e bloccare il pallone. Eppure il portiere che quattro anni prima aveva accompagnato l’Argentina sul tetto del mondo si inceppa all’improvviso. Il suo intervento è goffo, pachidermico, grottesco. La sfera, che per l’occasione si chiama Etrusco, rasenta i suoi guantoni e il suo ginocchio senza trovare attrito sufficiente per fermare la sua corsa. Nery Pumpido è a terra, con il corpo sprofondato nell’erba verde di San Siro e la faccia proprio sulla linea di porta.

Una visuale privilegiata per osservare quel pallone che rotola stancamente in porta. A pochi metri da lui Omam Biyik corre verso la bandierina del calcio d’angolo. Ha le braccia alzate e le mani che gli coprono il viso. Poi prende fra le dita la maglia del Camerun e la porta alle labbra. Neanche lui si rende conto di cosa ha fatto il quel pomeriggio dell’8 giugno del 1990. Perché solo qualche secondo prima è asceso al cielo nell’area dell’Argentina. Un dio nero pronto a predicare la redenzione di un continente intero. Omam Biyik ha seguito il campanile disegnato da Makanaki ed è saltato più in alto di tutti. I suoi piedi all’altezza delle spalle di Nestor Sensini. I suoi muscoli tesi per lo sforzo. Poi ha impattato il pallone di testa. E per una volta gli ultimi sono diventati davvero i primi.

Grazie a quel gol il Camerun, che chiude la gara in nove, batte a sorpresa i campioni del Mondo nella giornata inaugurale di Italia 90. E lo fa fra gli applausi di San Siro, che per tutta la partita ha subissato di fischi Diego Armando Maradona. A fine partita Omam Biyik non è più un ragazzo sconosciuto appena acquistato dai francesi del Rennes, seconda divisione francese. Perché dopo quel gol è diventato un santino per un popolo intero. A fine partita si presenta davanti alle telecamere con un sorriso vandalizzato dalla mancanza di un incisivo. L’ha perso durante una partita e se n’è fatto una ragione. A chi gli domanda del gol che ha appena realizzato risponde: “Ho guardato il portiere e ho messo la palla sulla sinistra”. Punto.

Di lui si sa solo che ha 24 anni e che prima di iniziare a giocare aveva fatto il contadino. D’altra parte a Pouma, un puntino sulla carta geografica al centro della nazione, anche i sogni possono diventare un lusso. “Ho iniziato a giocare nel mio villaggio – racconta il giorno dopo – i miei genitori mi davano il pallone se andavo bene a scuola. Altrimenti me lo nascondevano”. Da Pouma a Laval, estrema periferia del calcio francese. Oltralpe Omam Biyik trova il gol ma perde un ginocchio. Conosce il bisturi e la riabilitazione. Poi riprende da dove aveva iniziato. Fino a quella rete all’Argentina che lo trasforma nel volto da copertina di una Nazionale che fatica a farsi prendere sul serio.

D’altra parte l’arrivo del Camerun nel ritiro mondiale di Selva di Fasano, in provincia di Brindisi, è stato piuttosto travagliato. La Federcalcio africana è l’unica a non aver comunicato il tempo utile alla Fifa la lista dei 22 giocatori convocati per il Mondiale. Così ora rischia di essere sanzionata. D’altra parte solo per stabilire i componenti della delegazione sono state necessarie tre revisioni all’elenco. E alla fine, come riporta il Corriere della Sera sono stati inclusi “cinque presidenti, altri quattro allenatori, un dietologo che pesa 140 chili e un medico severissimo sulle susine, mai più di una nel piatto, ma che lascia abbondare in spaghetti”. Non che il viaggio sia andato meglio, visto che una parte delle tute e delle divise di gioco dei leoni indomabili è stata rubata durante il viaggio da Parigi a Bari. Anche il trasferimento a Milano è stato piuttosto problematico. E stavolta per colpa del Giro d’Italia.

Perché per accreditare la squadra al centro milanese del Mondiale i vertici della Federazione africana hanno scelto proprio il giorno del passaggio della corsa da Varese. Così durante il ritorno sono rimasti imbottigliati nel traffico e hanno dovuto dire addio ad allenamenti e cena. Alla guida della squadra c’è Valerij Nepomniachi, allenatore russo che fino a quel momento aveva un curriculum difficile da reperire. Dice di aver allenato le giovanili del Turkmenistan e di avere una profonda ammirazione per Lobanowski. Peccato che il Colonnello non abbia nessuna idea di chi sia il suo collega. I giocatori del Camerun non si getterebbero nel fuoco per Nepomniachi, anzi, faticano già a sopportarlo. Perché il cittì ha deciso di trapiantare una disciplina quasi militare all’interno della squadra. Allenamenti all’alba, coprifuoco notturno, silenzio totale durante gli spostamenti in pullman. E poi non parla una parola di francese. Comunicare diventa quasi impossibile. Anzi, superfluo, visto che qualcuno dice che a buttare giù la formazione sia addirittura il presidente della Repubblica Paul Biya.

Sarebbe stato lui, ad esempio, a chiedere l’inserimento di Roger Milla nella lista dei convocati. Anche se l’attaccante, 38 anni appena compiuti, era finito al Saint-Pierroise, squadra dell’isola di Riunione, dipartimento e regione d’oltremare della Francia nell’Oceano indiano. I due sono legati da una forte amicizia. Quando è morta la mamma di Milla, qualche anno prima, l’attaccante era impegnato con la Nazionale. Solo che la Federcalcio ha lasciato sola la punta, che si è trovata a pagare le spese dell’ospedale e dei funerali. Un motivo sufficiente per fargli dire addio ai leoni indomabili. E per convincerlo a vestire ancora la maglia verde è stato necessario l’intervento in persona di Paul Biya. Così ora Bell, il portiere-leader della squadra, racconta ai giornalisti: “Non sapevamo neppure dove fosse finito Milla e adesso è qui con noi. Questo dimostra che nel Camerun tutto è possibile”.

Ma è un’altra frase a mettere nei guai il portiere. “Sarà dura, molto dura – dice alla vigilia della sfida contro l’Argentina – Non sono convinto che la squadra sia stata ben preparata”. Biya e Nepomniachi non gradiscono e contro i campioni del Mondo affidano la porta a Thomas N’Kono. Il successo contro l’Albiceleste nella prima giornata è arrivato grazie a un regalo di Pumpido, così nessuno è ancora pronto a scommettere sul Camerun. Anzi, la Romania, che all’esordio aveva battuto 2-0 l’Unione Sovietica (doppietta di Lacatus), arriva al match del 14 giugno da favorita. Un pareggio andrebbe bene a tutte e due le squadre ed eliminerebbe l’URRS. E visto che fino al 50’ di emozioni se ne vedono davvero poche, qualcuno vocifera di un possibile accordo fra le due nazionali. Solo che poi, al 14’ della ripresa, Nepomniachi spedisce in campo Roger Albert Miller, meglio noto come Roger Milla (che poi sarebbe anche il suo nome corretto visto che un impiegato dell’anagrafe locale aveva sbagliato l’atto di nascita).

L’attaccante che aspettava il prepensionamento sull’isola di Runione segna due volte. Prima al 76’, dopo aver spintonato vistosamente Andone in area di rigore, poi all’86’, dopo aver intercettato un pallone vagante. Un gol pesantissimo, un gol che rende inutile la rete di Balint a 2’ dalla fine. E mentre Milla balla con la bandierina del calcio d’angolo, il Camerun si qualifica matematicamente al turno successivo. L’ultima sfida contro l’Unione Sovietica è una formalità. L’attaccante prova a sfruttare al massimo il suo momento. A 38 anni si trova un agente, dice di sognare un ingaggio in Italia o negli Stati Uniti, afferma che vorrebbe comprarsi una Mercedes visto che al momento gira con una Peugeot piuttosto malconcia. Qualcuno nel ritiro degli africani decide di ringraziare la Puglia con una partitella nello Stadio del Fasano.

I leoni indomabili schierano 5 nazionali. Non basta. I locali si impongono per 2-1. Una sconfitta indolore, come quella per 4-0 rimediata qualche giorno dopo dall’URSS. Poco male. Agli ottavi il Camerun affronta la Colombia a Napoli. Sono le due squadre rivelazione del torneo, ma a dominare è solo la noia. Almeno per 105’. Al primo minuto del secondo tempo supplementare Milla prende palla, entra in area e trafigge Higuita. Poi, dopo 180’’, il portiere con i ricci prova a dribblare la punta sulla trequarti difensiva. Milla non abbocca alla finta e dopo aver rubato palla a Higuita segna il 2-0 che chiude la partita (inutile il gol di Redin a 5’ dalla fine). Altri due balletti con la bandierina, un altro traguardo storico per il Camerun che ai quarti se la deve vedere contro l’Inghilterra.

Si gioca a Napoli, il 1° luglio. I leoni indomabili alloggiano un un albergo a Caserta. E devono fare i conti con il ricevimenti in contemporanea di 4 matrimoni diversi. Robson annuncia di volersi coprire, Nepomniachi, nonostante i 4 squalificati, sembra più spavaldo. “Un match fra Davide e Golia? Sì – dice in conferenza stampa – ma chi è Davide e chi è Golia?”. Il campo gli darà la risposta. Al 25’ un colpo di testa di David Platt porta in vantaggio la squadra di Sua Maestà. Ma è un incontro da montagne russe. Al 16’ della ripresa Gascoigne falcia in area Milla. Kunde pareggia dal dischetto, poi dopo 4 giri di lancette Ekeke porta in vantaggio gli africani. Sembra una favola, diventa un incubo. Perché Lineker viene steso in area prima da Kunde a 7’ e poi da N’Kono ai supplementari. L’attaccante segna entrambi i penalty e scrive la parola fine sulla storia più bella dei Mondiali. Quella del Camerun.

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