Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)
8 giugno 1990: esattamente trent’anni fa a San Siro iniziavano i Mondiali di calcio di Italia ’90, un mese di notti magiche, sogni infranti, spese folli. C’è una frase, che ilfattoquotidiano.it è andato a ripescare negli archivi della Camera dei deputati, che descrive alla perfezione quella stagione indimenticabile, nel bene e nel male. “Oggi vengono messi in cantiere lavori che, probabilmente, nulla hanno a che fare con i campionati in questione. Ho visto la mascotte dei mondiali di calcio perfino in certe aree del raccordo anulare dove erano in costruzione nuovi impianti per la distribuzione della benzina!”. Alla partita inaugurale mancavano poche settimane e a parlare, in audizione a Montecitorio, era Luca Cordero di Montezemolo, direttore generale del Comitato organizzatore, manager rampante già allora bravissimo a raccogliere gli onori e schivare gli oneri di un’organizzazione che ormai veniva pubblicamente riconosciuta come fallimentare. Con la scusa della Coppa del Mondo di calcio, a cavallo tra la fine degli Anni Ottanta e Novanta, l’Italia avviò una sfilza infinita di investimenti, lavori, cantieri che coinvolsero i principali stadi del Paese e non solo. Sono passati tre decenni, non ne rimane quasi nulla.
Quel mondiale figlio dell’Italia di Craxi – 7.230 miliardi di lire, di cui oltre 6mila di soldi pubblici: tanto costò all’Italia l’organizzazione di quel mondiale, secondo una stima precisa comunicata dal governo solo dopo molti anni. Una cifra spropositata, fuori da ogni logica, persino quella dell’Italia degli Anni ’80 e di Craxi (fu lui a volere la manifestazione e a firmare la lettera di garanzie nell’84 da presidente del Consiglio), in cui nessuno sembrava preoccuparsi del debito pubblico galoppante. Figuriamoci di qualche spicciolo per il torneo più bello del pianeta. Di recente, qualcuno si è anche divertito a fare il calcolo in euro: 3,74 miliardi, che rivalutati secondo l’indice Istat oggi sarebbero più di sette. Valute diverse, epoche diverse: anche senza queste operazioni, ce n’era abbastanza per renderlo il Mondiale più costoso di sempre. Bisognerà aspettare le follie di Brasile 2014 (che hanno contribuito a mandare in crisi il Paese) o il gigantismo di Putin e di Russia 2018 per battere quel record.
Il trucco della separazione dei conti – Nel calderone ci finì di tutto. I 7mila miliardi comprendono non solo i costi organizzativi e degli impianti, anche tutte le spese che furono sostenute a vario titolo per la manifestazione, su cui Montezemolo in audizione alla Camera declinava ogni responsabilità. Almeno su quel punto, non aveva tutti i torti. Quello delle perdite del Comitato è un falso storico, smentito di recente anche da Franco Carraro, all’epoca dei fatti presidente Figc (e quindi del comitato, prima di lasciare per buttarsi in politica): nella sua biografia ha raccontato che il “Col” si basò su un contributo iniziale della Federcalcio e sulle sovvenzioni private delle principali aziende del Paese (dalla Olivetti alla Fiat, passando per Alitalia), e che chiuse formalmente in attivo.
La colpa dunque non fu (solo) del Comitato, anche perché non si occupò praticamente di nulla, né degli stadi, né tantomeno delle opere pubbliche. È il solito trucchetto della separazione fra il conto dell’evento in quanto tale (di competenza del Comitato, privato e quasi sempre in utile) e quello delle opere, che spesso sono solo accessorie e vengono caricate su un’Agenzia (pubblica, o direttamente sullo Stato). Lo scudo dietro cui si difendono tutti gli organizzatori. Da sempre, però, i grandi eventi, i Mondiali, le Olimpiadi, sono il cavallo di troia con cui far passare spese faraoniche e infrastrutture che poco c’entrano con l’evento. Probabilmente non è nemmeno colpa dello sport, ma è la storia di quasi tutte le manifestazioni. Anche di Italia ‘90. Lo dimostrano alcune follie divenute simbolo di quello spreco: la famosa stazione di Roma-Farneto, costata 15 miliardi di lire, utilizzata solo una volta, poi abbandonata e occupata per anni da gruppi di estrema destra; oppure l’Hotel Mundial tra Milano e Ponte Lambro, un ecomostro da 10 miliardi di lire, mai inagurato, abbattuto nel 2012. La lista è lunga.
Da Bari a Torino, gli stadi monumento dello spreco – L’organizzazione fu un autentico disastro, a partire dalla mascotte Ciao, quel pupazzetto stilizzato dal nome banale che ancora oggi resiste su qualche vecchio rudere o cartellone. Al danno dello sperpero si aggiunse la beffa dei soliti, proverbiali ritardi all’italiana: l’assegnazione c’era stata nell’84, ma il decreto decisivo per l’attuazione dei lavori fu varato solo nel marzo dell’87. La consegna doveva avvenire a fine ’89: nessuna delle opere fu ultimata entro quel termine, e il ritardo accumulato segnò negativamente l’inizio della manifestazione, con una corsa contro il tempo imbarazzante. Il capolavoro, però, fu raggiunto proprio su ciò che avrebbe dovuto rappresentare il torneo e costituire la sua eredità: gli stadi. Solo per la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi, la spesa fu di 1.248 miliardi di lire (quasi 650 milioni di euro al cambio dell’epoca), l’84% in più del budget stimato al momento dell’assegnazione, secondo la relazione dell’allora ministro Carmelo Conte. Tra ritardi, errori di progettazione o costruzione, i lavori andarono male praticamente ovunque.
A San Siro, la “Scala del calcio” ridotta a sede quasi marginale del torneo, fu costruito il terzo anello che per anni ha creato problemi al manto erboso. Nella Capitale, già allora i piani di un nuovo stadio furono inghiottiti dalle sabbie mobili della burocrazia romana: così fu riammodernato l’Olimpico alla modica cifra di 225 miliardi di lire. Le costruzioni ex novo furono invece un piccolo manuale di come non si fanno gli stadi. A Bari nacque il San Nicola, gioiello architettonico firmato dal grande Renzo Piano ma cattedrale nel deserto se ce n’è una: costruita nella periferia, anzi proprio nel nulla, di una città meridionale che ha saputo spesso riempirlo ma mai valorizzarlo, oggi l’astronave è scalcagnata e continua a rappresentare soprattutto un problema per il Comune. Infine il Delle Alpi di Torino, che è sempre stato una sciagura per la sua città e le sue squadre: costato oltre 200 miliardi di lire, con il più alto tasso di rincaro (+214% rispetto al preventivo), è stato abbattuto nel 2009.
I ricordi di un’estate italiana – Così l’Italia arrivò a spendere, anzi a bruciare, 6mila miliardi di lire di soldi pubblici. Per nulla. Il lascito di quella manifestazione è inesistente sul piano storico, economico, sportivo. Grande entusiasmo, fiumi di denaro pubblico, anche qualche opera preziosa: a Bari ad esempio ringraziano per la tangenziale, diversi vecchi impianti (dall’Olimpico al San Paolo) si sono retti per anni su quei lavori di ristrutturazione, al Sant’Elia di Cagliari invece non sono bastati per evitare un rapido decadimento dopo pochi anni e la definitiva chiusura nel 2017. Si perse l’occasione di dotare il Paese di una vera infrastruttura sportiva (era troppo presto, i primi stadi di nuova generazione sarebbero nati solo un decennio dopo), e la Serie A all’epoca non aveva bisogno di rilancio, sembrava non aver bisogno di nulla. Italia ’90 doveva essere il Mondiale che avrebbe fatto grande il Paese ed il suo calcio. Col senno di poi, si può dire che non è riuscito a fare né una cosa, né l’altra: gli investimenti abbiamo visto come sono andati, il sogno mondiale si infranse ai rigori contro l’Argentina. Di quel mese stupendo alla fine restano solo i ricordi di un’estate italiana. Con quello che ci sono costati, teniamoceli stretti.