La Corte dei Conti ha aperto un altro fascicolo sulla gestione dell'emergenza coronavirus da parte della Regione in mano alla Lega. Nel mirino l’acquisto del lotto da 15mila test sierologici rapidi avvenuto a fine marzo tramite un affidamento diretto, nonostante la professoressa Mencacci ne avesse consigliati solo 5mila. La specificità e la sensibilità dei test risulterà poi più bassa di quella indicata. Il titolare dell'azienda è ritratto in una foto dell'ottobre scorso al fianco della futura governatrice
Prima l’ospedale da campo di Bastia Umbria, ora i test sierologici. La Corte dei Conti dell’Umbria ha aperto un altro fascicolo, affidato alla Guardia di Finanza, sulla gestione della “fase 1” della giunta leghista di Donatella Tesei. Dopo la richiesta di chiarimenti sulla costruzione dell’ospedale da 30 posti di terapia intensiva grazie ai 3 milioni donati da Banca d’Italia, a fine maggio la procuratrice Rosa Francaviglia ha delegato la Guardia di Finanza a svolgere l’indagine sui test rapidi: nei giorni scorsi i militari hanno chiesto alla giunta regionale la documentazione sull’acquisto di 30mila test sierologici, 15mila rapidi pungidito e 15mila molecolari.
In particolare la Corte dei Conti vuole vederci chiaro sull’acquisto del lotto da 15mila test pungidito dalla Vim spa di Città di Castello e prodotti dalla Screen Italia srl, avvenuto a fine marzo tramite un affidamento diretto, in deroga al codice degli appalti grazie all’emergenza coronavirus. La Guardia di Finanza di Perugia ha chiesto alla Regione Umbria la documentazione relativa alla procedura utilizzata per l’acquisto, al prezzo pagato per i test e al loro livello di specificità e sensibilità. La questione, che nei giorni scorsi è stata oggetto anche di una dura polemica politica tra la giunta e le opposizioni in consiglio regionale, è finita anche in Parlamento con il commissario umbro del Pd Walter Verini che ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute Roberto Speranza parlando di “un’opaca vicenda”.
L’acquisto dei 15mila test – Tutto nasce con uno scambio di mail del 18 marzo, di cui ilfattoquotidiano.it è in possesso, in cui il capo di gabinetto di Tesei, Federico Ricci, sollecita l’acquisto dei test all’area della Protezione Civile regionale “nel più breve tempo possibile” perché viene considerata una merce “irreperibile e indispensabile per la gestione della pandemia”. Eppure il giorno successivo la professoressa Antonella Mencacci della Struttura di Microbiologia dell’Ospedale di Perugia prova i pungidito su due pazienti sintomatici da 10 giorni e positivi al tampone. Il risultato è chiaro: un (falso) negativo e un positivo. “La negatività del test non esclude in alcun modo la diagnosi di Covid-19 – scrive Mencacci nella relazione – Anzi un tale approccio al test può risultare addirittura pericoloso, inducendo una sottostima dei casi sospetti”. Quindi, conclude la professoressa: “In alcun modo il test potrà essere usato per lo screening di contatti asintomatici o sanitari esposti”. Poi, al termine della relazione, consiglia alla Regione di acquistare 5mila test sierologici pungidito e 15mila test sierologici molecolari, considerati molto più affidabili.
Ma la giunta procede lo stesso con l’acquisto, abbondando sui “pungidito”: un lotto da 15mila test acquistati a 16 euro più Iva, con uno sconto rispetto ai 27 euro richiesti inizialmente dalla Vim. Totale: 290mila euro. Una volta acquistati la dottoressa Mencacci ne “testa” altri 1.180 che però forniscono una specificità e una sensibilità molto diversa da quella indicata dal bugiardino del prodotto per gli anticorpi Igg: 78% contro il 98% di specificità e 72% contro 100% di sensibilità. Un’affidabilità molto più bassa. La giunta decide di usare comunque i test per monitorare i sanitari e i cittadini della zona rossa di Giove. Dopo il primo lotto, Tesei scrive una lettera ai sindacati per annunciare un nuovo acquisto da 125mila kit. Non sono mai stati comprati.
Il fascicolo della Corte dei Conti – La procuratrice della Corte dei Conti umbra Rosa Francaviglia così ha aperto un fascicolo sul caso per un’ipotesi di danno erariale, ancora tutta da dimostrare. La Guardia di Finanza ha chiesto alla Regione, tramite comunicazione scritta, tutto il carteggio tra la ditta di Città di Castello e la giunta, la documentazione per capire il valore scientifico dei test e anche quello relativo alla trattativa con la Vim sul prezzo delle “saponette”. Nelle scorse settimane sempre la Corte dei Conti dell’Umbria aveva aperto un altro fascicolo sul nuovo ospedale da campo nel tendone di Umbriafiere, a Bastia Umbra (Perugia), che sarà pronto il prossimo 30 giugno quando potrebbe non servire più: in questo caso la procuratrice Francaviglia vuole capire se ci sia stato uno spreco di soldi pubblici.
Le polemiche politiche – La questione dei test pungidito è arrivata in consiglio regionale al Comitato di Controllo ma la giunta al momento non ha chiarito i motivi dell’acquisto e se ci siano legami tra la Vim e la giunta Tesei. In un’intervista a La Nazione di venerdì scorso, l’assessore alla Sanità Luca Coletto ha replicato alle accuse: “A me pare si voglia creare un casus belli da parte di alcuni politici – ha detto – Sono convinto si farà chiarezza su tutto. E che non emergerà nulla. Conoscendo come sono andate le cose, non mi pare nessuno abbia fatto qualcosa di strano. Sul fatto poi che si debba far chiarezza, non c’è alcun dubbio”. Ma l’opposizione non ci sta: “Nonostante le nostre richieste, la Lega non ha fatto chiarezza sulla vicenda” replica il capogruppo Pd, Tommaso Bori.