I due Paesi dell'America Latina, ora focolaio della pandemia, sono riusciti a contenere il contagio grazie alla collaborazione dei cittadini e a sistemi sanitari integrati tra pubblico e privato che non hanno mai lasciato soli i pazienti
Anche se il nuovo focolaio della pandemia di Covid-19 nel mondo è ora l’America Latina, ci sono due paesi in questo continente che sono riusciti a contenere il virus con successo, senza imporre una quarantena obbligatoria: Uruguay e Costa Rica. Entrambi hanno puntato sul senso civico dei propri cittadini, che spontaneamente hanno ridotto le proprie uscite e adottato il distanziamento sociale, e hanno tratto giovamento dall’aver costruito negli ultimi anni una medicina del territorio, con i medici di famiglia mandati a casa dei malati a fargli il tampone e ad assisterli, evitando di farli andare in massa negli ospedali. Una strategia che ha permesso all’Uruguay, già da alcune settimane, di riaprire alcune attività e consentire il ritorno a scuola degli studenti.
In Uruguay niente quarantena obbligatoria – Qui, da quando è stata dichiarata l’emergenza sanitaria il 13 marzo (meno di due settimane dopo l’insediamento del neopresidente Luis Lacalle Pou) fino al 28 maggio, sono stati registrati 811 casi e 22 morti. Considerando che la popolazione del paese è di 3,5 milioni di abitanti, il tasso di mortalità è stato di 0,6 morti per 100mila abitanti, contro i 12,2 del Brasile, 4,5 del Cile, 1,1 dell’Argentina e 0,2 del Paraguay, che però è ricorso alla quarantena obbligatoria. Ora il paese è sostanzialmente nella Fase 2, in cui si stanno preparando e applicando protocolli per un ritorno progressivo alla ‘nuova normalità’”. Riaperte le scuole nelle aree rurali e stanno riprendendo, in forma volontaria e progressiva, le lezioni in tutto il paese, con la capitale Montevideo e le università per ultimi. Ad aprile è tornato al lavoro il settore edile, a maggio il commercio e gli uffici pubblici. Le famiglie e gli amici già si riuniscono, ma si raccomanda sempre l’uso delle mascherine, la distanza sociale e si sconsiglia il lavoro in presenza di persone con fattori di rischio per la salute.
Come altri paesi confinanti, l’Uruguay ha chiuso le frontiere, sospeso voli, lezioni, messe ed eventi di massa, ma senza mai decretare la quarantena obbligatoria. “Chiunque proponga l’isolamento sociale generale deve essere disposto ad applicare le pene per il reato. Qualcuno è davvero disposto a portare davanti ad un giudice una persona che esce per guadagnarsi i soldi per la giornata?”, ha dichiarato all’inizio dell’epidemia Lacalle Pou. La strategia del suo governo è stata appellarsi al senso di responsabilità dei cittadini, che in oltre il 90 per cento dei casi ha accettato la raccomandazione di rimanere a casa, pur non essendo obbligatorio.
Una delle prime misure prese dal governo, e appoggiata dall’opposizione, è stata la creazione del Fondo Coronavirus, finanziato principalmente con il taglio del 20 per cento agli stipendi di premier, ministri, deputati e altri impiegati pubblicati che guadagnano più di 1800 dollari al mese, oltre alla la richiesta di fondi al Banco interamericano di sviluppo e alla Corporazione andina per il progresso. Potendo contare su queste linee di credito ad approvazione rapida e condizioni favorevoli, l’Uruguay non è dovuto dipendere dai titoli di Stato, più altalenanti. Altro fattore che ha aiutato, secondo il ministro della Salute Daniel Salinas, è stato il sistema di salute universale, dove pubblico e privato sono integrati: “Abbiamo una forte presenza di medici di famiglia, che danno assistenza domiciliare, e un sistema di emergenza pre-ospedaliero in tutto il paese. Abbiamo fatto fare i tamponi per i casi sospetti direttamente a casa, tanto che rispetto ad Argentina, Brasile e Paraguay la quantità di test per milione di abitante in Uruguay è tripla”.
Costa Rica: i medici su WhatsApp coi pazienti – Anche il Costa Rica, dove il primo caso di Covid-19 è stato scoperto il 6 marzo, si è mostrato ‘virtuoso’ nella gestione dell’epidemia. Finora sono rimaste contagiate 1.084 persone, e ne sono morte 10. Anche qui chi è risultato positivo al coronavirus è stato curato a casa, e la gente non si è mai sentita abbandonata, perché i medici andavano a giorni alterni a visitare i pazienti, tenendosi in contatto con loro tramite WhatsApp. Uno dei punti di forza del sistema sanitario pubblico costaricense sono le 1000 cliniche dell’Ebais (Equipo Basico de Atencion Integral en Salud), che ricordano un po’ il progetto, mai decollato pienamente in Italia, delle Case della Salute. Ci lavorano medici, infermieri, assistenti tecnici e farmaceutici, e proprio grazie a queste strutture sono stati seguiti e rilevati i casi di Covid-19. Tanto che nei primi due mesi solo 16 persone, su 400 malate, sono state ricoverate.
Quando viene identificato un possibile caso, scatta la vigilanza attiva sui sintomi fino alla conferma. Se il paziente si aggrava, viene ricoverato. Dopo le prime decine di casi, sono state sospese riunioni, lezioni scolastiche, attività turistiche e sociali e sono state chiuse le frontiere, promuovendo il lavoro da casa, il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale. Regole rispettate dalla maggioranza dei costaricensi, anche se, come ha ricordato il ministro della Salute, Daniel Salas, il ritorno alla vita di prima non sarà a breve. “La maggior parte della popolazione non è stata esposta al virus e non lo ha preso – conclude – e in poco tempo potremmo avere un aumento dei casi e dei contagi anche intenso. Camminiamo sulle uova”.