Manca ancora l'intesa sulla data in cui recuperare il voto delle amministrative, regionali e referendum costituzionale slittati per il coronavirus. Il dem Bonaccini: "Sono un po' arrabbiato. Si dice che la scuola è indispensabile e poi rischiamo di andare a scuola ad ottobre". Il leghista Zaia: "Farle così tardi sarà un mega pasticcio". Intanto Fratelli d'Italia si schiera per la richiesta opposto e chiede che il ritorno alle urne sia ritardato ancora. Nella notte il centrodestra tenta di far mancare il numero legale, raggiunto per soli due voti
Non c’è intesa sulla data dell’election day, ovvero il ritorno alle urne per recuperare il voto di Regionali, amministrative e referendum costituzionale slittati a causa dell’emergenza coronavirus. Se per il governo il weekend blindato è quello del 20-21 settembre, per le Regioni è troppo tardi e si rischia di compromettere l’inizio dell’anno scolastico. Il tema è oggetto del decreto Elezioni, in discussione in queste ore alla Camera. E proprio in Aula sta facendo ostruzionismo Fratelli d’Italia, con una richiesta opposta: far slittare la data a ottobre o almeno al 27 settembre. E il centrodestra ha tentato di far mancare il numero legale che, dopo una verifica richiesta dall’opposizione, è stato raggiunto per soli due voti, con 241 deputati che hanno espresso la propria preferenza. Il numero legale (239 voti) è stato raggiunto non solo grazie ai 221 deputati della maggioranza, bensì anche al computo di 20 deputati dell’opposizioni che hanno chiesto la verifica del numero legale stesso, che è stato quindi superato per soli due voti.
La lettera della conferenza delle Regioni perché sia anticipato il voto – Tornare alle urne il 20 settembre è una soluzione inaccettabile secondo la conferenza delle Regioni. Il presidente Pd Stefano Bonaccini e il vice del centrodestra Giovanni Toti hanno firmato una lettera indirizzata al governo per chiedere che l’election day sia anticipato: “Le Regioni interessate utilizzeranno la prima domenica utile del mese di settembre”, si legge. Nell’epistola – inviata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai ministri Francesco Boccia, Luciana Lamorgese e Federico di Incà – criticano la posizione del governo e del Parlamento, perché a loro giudizio “non ha tenuto in alcun conto le indicazioni formulate dalla Conferenza delle Regioni, assunte in piena coerenza con quanto indicato dal Comitato Tecnico Scientifico”. Bonaccini e Toti, confermando la posizione della Conferenza delle Regioni “precedentemente assunta in merito alla finestre elettorali”, annunciano quindi “l’intenzione delle Regioni interessate di utilizzare la prima domenica utile del mese di settembre per l’indizione delle elezioni regionali, anche al fine di garantire il regolare avvio dell’anno scolastico e di limitare l’eventuale nuovo rischio epidemiologico”.
Poco dopo Bonaccini, intervistato a Tagadà su La7, ha commentato: “Sono un po’ arrabbiato sulla data delle elezioni regionali. Ci sono sei regioni al voto che coinvolgono più di 20 milioni di abitanti, più di un terzo del Paese, in più vanno al voto molti comuni. Come Regioni, tutte insieme, e non è un problema di colore politico, avevamo detto al Governo che bisognava votare, almeno entro la metà di settembre per evitare che la scuola parta troppo tardi”. E ha concluso: “Accetteremo quello che succede, trovo un po’ strano che si dica che la scuola è indispensabile e poi rischiamo di andare a scuola ad ottobre. Lo dico a tutte le forze politiche”.
Sul punto è d’accordo anche il leghista Luca Zaia: “Fare così tardi le elezioni sarà un mega pasticcio”. Lo ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, aggiungendo: “Dico questo, perché significa chiudere le scuole subito dopo il suo inizio, senza considerare il tema della sanificazione. Anche perché, ad esempio a Venezia e Castelfranco, è possibile il ballottaggio. Mi sembra un pasticcio non dettato dalla fretta, ma dalla voglia di non voler andare a votare. Chiedo quindi pubblicamente quando si andrà a votare. E chiedo che ce lo dica, magari, il Presidente del Consiglio in persona”.
L’ostruzionismo di Fratelli d’Italia che chiede lo slittamento delle urne – Non si riesce a trovare un’intesa neanche in Parlamento, dove per tutto il giorno la maggioranza e Fratelli d’Italia si sono scontrati sulla data dell’election day. Il partito di Giorgia Meloni insiste nel chiedere che si torni alle urne il 27 settembre e non il 20 come proposto dal governo. Una richiesta che la maggioranza non ha accolto e in segno di protesta, Fdi ha deciso di presentare centinaia di emendamenti e intervenire in massa su ognuno.
Una delle proposte di mediazione era arrivata dal deputato Pd Piero Fassino, ma non ha trovato l’accordo della maggioranza. “Se il problema, condivisibile, è che la presentazione delle liste cade vicino a Ferragosto allora basta anticipare la data di presentazione delle liste al 31 luglio. Basta un emendamento del relatore e abbiamo risolto il problema”, aveva dichiarato. Ma a differenza di quanto detto da Fdi, Fassino non ha proposto lo slittamento dell’election day: “Io non ho proposto una mediazione, anzi ho detto che il 20 era già una mediazione” anche perché il secondo turno nei Comuni e nella Regione Toscana “farebbe concludere il percorso elettorale oltre metà ottobre”.
Alla Camera insomma, l’accordo sembra molto lontano. Da questa mattina, dopo la polemica innescata, ancora da Fdi con Giovanni Donzelli, sulla manifestazione di solidarietà ieri sera di Laura Boldrini e altri esponenti Pd che si sono inginocchiati in memoria di George Floyd, l’illustrazione e votazione degli emendamenti ha visto solo i deputati di Fratelli d’Italia sulla scena: i deputati e le deputate Fdi si sono alternati ai microfoni per contestare un provvedimento che a loro giudizio metterebbe a repentaglio la stagione turistica già compromessa e la ripresa dell’anno scolastico.