Crollo (-36,8%) delle attivazioni di nuovi contratti di lavoro nel mese di marzo, con un impatto particolarmente negativo su quelli a tempo determinato e sulle lavoratrici donne e giovani, più spesso attive nei settori bloccati dal lockdown. Se i dati Istat diffusi il 3 giugno hanno dato una prima fotografia del calo dello stock degli occupati a causa delle misure di contenimento del virus, il ministero del Lavoro nella nota sulle comunicazioni obbligatorie fornisce i dati sulla dinamica del mercato. In questo caso vengono contati appunto i contratti, non i lavoratori.
Nel primo trimestre 2020 sono state registrate 2,5 milioni di attivazioni, più 155mila trasformazioni a tempo indeterminato di contratti prima precari. Rispetto al primo trimestre 2019 il volume di contratti attivati è calato e del 10,4%: -12% per le donne e -9,1% per gli uomini. Ma il calo è attribuibile quasi del tutto alla variazione negativa di marzo: -36,8% per effetto delle misure restrittive che hanno fermato tutte le attività tranne quelle essenziali. In particolare i contratti a termine attivati sono stati il 41,9% in meno e le trasformazioni di contratti precari in rapporti stabili il 25,5% in meno. Al contrario per i nuovi contratti a tempo indeterminato poco è cambiato rispetto al trend dei mesi precedenti: sono calati del 7,2%, “nella media del trimestre”.
In tutte le aree territoriali, ma soprattutto al Sud, è stato rilevato che le attivazioni sono calate in misura superiore per la componente femminile: -38,8% nel mese di marzo contro -35,3% per gli uomini. Se si osserva l’andamento dell’intero trimestre, il decremento per gli uomini riguarda soprattutto gli under 45 (mentre aumentano le attivazioni per gli over 55) e per le donne il calo è concentrato nella fascia più giovane, quella tra 25 e 34 anni, mentre è lieve per le over 45.
La differenza di genere nell’impatto del lockdown può essere spiegata con la maggiore presenza di donne tra le occupate nei settori economici più colpiti. Per esempio il comparto alberghiero e della ristorazione, che nel primo trimestre ha rappresentato mediamente il 19% del settore dei servizi, ha risentito in misura maggiore della crisi e a marzo ha visto calare le attivazioni del 72,4%. Segue il comparto Altri Servizi pubblici sociali e personali con un crollo delle attivazioni del 63,7%. Dinamica opposta e di segno contrario per le attivazioni nell’ambito delle Attività svolte da famiglie e convivenze: +55,5% di attivazioni a marzo. Il ministero ipotizza che sia “in parte il risultato delle misure di contenimento dettate dall’emergenza sanitaria che, vincolando la mobilità personale alla necessità di giustificare e documentare gli spostamenti, hanno fatto emergere rapporti di lavoro fino ad allora non contrattualizzati“.
Le attivazioni nel settore Industria, che rappresentano il 16,2% del totale, a marzo sono calate del 35,1% nel settore delle Costruzioni e del 25% nell’industria in senso stretto, che comunque ha registrato diminuzioni in tutto il trimestre. Di contro, il settore dell’Agricoltura fa registrare una crescita di 24mila attivazioni nel trimestre e un calo del -7,4% a marzo.
Al tempo stesso sono calate, per effetto dello stop di marzo, anche le cessazioni di contratti: se a gennaio e febbraio erano cresciute rispettivamente di +7,4% e +11,6%, a marzo sono state il 17,1% in meno. I rapporti di lavoro cessati diminuiscono in tutte le ripartizioni territoriali tranne che al Sud (+1,2%) dove la crescita è determinata dall’aumento della componente maschile (+4,4%) a fronte di un calo di quella femminile (-3,1%). Il 76,8% delle cessazioni è concentrato nel settore dei Servizi, che registra un decremento pari a -2,4% (-39mila cessazioni), a fronte dell’incremento riscontrato nel settore dell’Agricoltura (+8,7%, pari a 14 mila) e nel settore Industriale, dove interessa sia le costruzioni (+4,5%) sia l’industria in senso stretto (+0,9%).