Tre su tre. Dopo i primi due fascicoli sull’ospedale da campo di Bastia Umbria e l’acquisto di 15mila test pungidito, la Corte dei Conti dell’Umbria ha aperto un’altra inchiesta sul terzo pilastro della gestione dell’emergenza covid-19 da parte della giunta leghista di Donatella Tesei: l’accordo tra Regione e sanità privata che a metà aprile ha permesso di spostare le cure extra-covid dagli ospedali pubblici dedicati solo all’emergenza sanitaria alle cliniche private. Nei giorni scorsi i Nas, a cui è stata delegata l’indagine, hanno acquisito atti nella sede della Regione Umbria e in quella dell’Azienda ospedaliera di Perugia.
Nel mirino della Procuratrice della Corte dei Conti, Rosa Francaviglia, è finita la delibera 277 del 16 aprile scorso e l’accordo quadro tra la giunta regionale e due associazioni (la Aiop e la Aris Umbria) che raggruppano alcune cliniche private per ripristinare l’attività chirurgica sospesa con lo scoppio della pandemia. Questa pratica è stata messa in campo anche in altre regioni d’Italia e poggiava sul decreto legge del 17 marzo secondo cui le strutture private, su richiesta delle regioni, potevano mettono a disposizione “il personale sanitario in servizio, nonché i locali e le attrezzature presenti nelle suddette strutture”.
L’obiettivo della giunta regionale era quello di appoggiarsi ai privati per far sì che i pazienti no-covid potessero continuare le cure. L’assessore Luca Coletto aveva illustrato il nuovo accordo motivandolo con la necessità di mettere a disposizione i posti letto e “trasferire e trattare” i pazienti che avevano bisogno di interventi di chirurgia non procrastinabile, assistenza medica e riabilitativa non differibile. Per gli interventi di chirurgia le Asl umbre hanno messo a disposizione i propri medici. Secondo l’intesa, la remunerazione nei casi di interventi chirurgici è stata tagliata del 20% perché il personale appartiene alle strutture pubbliche mentre per gli altri casi la tariffa è rimasta quella piena.
Nel mirino dei giudici contabili sono finiti proprio i contratti firmati con le associazioni che gestiscono le quattro cliniche (in particolare il “prezzario” degli interventi), le prestazioni fornite dai medici delle strutture pubbliche e anche la durata dell’accordo che dovrebbe terminare con la fine dello stato di emergenza, ovvero il 31 gennaio 2021. Della questione si occuperà mercoledì la giunta regionale per capire se andare avanti lo stesso con l’accordo, nonostante l’indagine.
La Procuratrice della Corte dei Conti umbra nelle scorse settimane aveva già aperto due fascicoli sulla gestione dell’emergenza: il primo riguardava l’ospedale da campo di Bastia Umbria (Perugia) da 30 posti di terapia intensiva messo in piedi grazie ai 3 milioni donati da Banca d’Italia e che il prossimo 30 giugno potrebbe non servire più; il secondo invece è stato aperto sull’acquisto di 30mila test rapidi, metà dei quali acquistati con affidamento diretto dalla Vim spa senza prima averli testati e risultati poi meno affidabili del previsto.
Per questo, la nuova inchiesta ha fatto scoppiare la polemica politica: “Dopo l’ospedale da campo e i test sierologici, questa è la terza indagine in tre mesi della magistratura contabile sull’operato della Giunta Tesei: un traguardo invidiabile – dice a ilfattoquotidiano.it il capogruppo Pd in regione, Tommaso Bori –. Come promesso l’amministrazione leghista imita il modello lombardo, però più sui temi giudiziari che su quelli sanitari”. Idea condivisa anche dal presidente del Comitato di controllo del M5S, Thomas De Luca: “Dopo test rapidi e ospedale da campo, l’ennesima inchiesta che riguarda la gestione del potere della Lega in Umbria e che dimostra come i nostri dubbi non siamo strumentalizzazioni politiche ma legittime pretese di trasparenza – dice –. Il pubblico resta al palo mentre la Regione fa accordi con il privato e le aziende ospedaliere non ripartono nella totale assenza di riorganizzazione”.
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