“Inopportuna una legge contro l’omofobia. I problemi più gravi dell’Italia sono altri. Il Paese è totalmente inceppato. Ma il dialogo tra la Cei e il governo Conte continua”. Ne è convinto il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, che a ilfattoquotidiano.it commenta in esclusiva la dura nota della presidenza dell’episcopato della Penisola sulle proposte di legge contro i reati di omotransfobia.

Eccellenza, per la Cei se venissero approvate queste proposte di legge si “rischierebbe di aprire a derive liberticide”. Perché?
In questo momento ci sono cinque proposte di cinque partiti politici diversi che sono all’esame della Commissione Giustizia della Camera. Naturalmente noi queste proposte ce le siamo lette, ci siamo consultati con i nostri esperti secondo il nostro modo di vedere. E ci sembra che, pur volendo tutelare un principio con il quale siamo prettamente d’accordo, molte di queste proposte vadano anche oltre una ragionevole e condivisibile tutela della persona e dei propri orientamenti. Cioè si vada a colpire proprio l’intenzione, l’opinione, l’idea o la proposta educativa che i genitori o altre entità educative possano e debbano fare senza assolutamente pregiudicare o addirittura escludere. In questo senso si limiterebbero alcuni diritti fondamentali tra cui la libertà di educazione. Si andrebbero a punire le intenzioni e le scelte educative che sono garantite dalla nostra Costituzione.

Per la Cei “sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione”. Non è un’affermazione forte?
Non è così? La mia contro domanda è: nelle dichiarazioni e nell’esplicazioni di alcune di queste proposte non è stato detto esplicitamente così? Di carcerare eventualmente. Poi magari non si porta in carcere il padre ma, se il padre o la madre esprimono un’opinione che nella famiglia ci vogliono un uomo e una donna che facciano il padre e la madre già questo è reato. E lo esprimono ai figli. È quello che è stato dichiarato esplicitamente da alcuni dei proponenti.

Nella nota chiedete di applicare le disposizioni già in vigore. Allora perché ci sono state queste proposte di legge?
Ci sono delle persone, già dalla precedente legislatura, che hanno determinate idee, se non a volte supportate da ideologie, e le intendono portare avanti. Capisco che in una società democratica ognuno può e deve esprimere le sue idee. Ben altra cosa è quando si dovrà legiferare in quanto la legge deve essere coerente coi principi costituzionali. A noi questo processo non sembra in tutto e per tutto lineare.

In tempo di pandemia era opportuno affrontare questo tema?
Mi sembra del tutto inopportuno tirare fuori questo tipo di proposte. Mi sembra che i problemi molto più gravi, che coinvolgono veramente tutta la società trasversalmente, siano ben altri. Parlamento e governo al posto di calendarizzare queste proposte di legge a tutti i costi, ritenendole prioritarie ed essenziali, dovrebbero, invece, far girare l’Italia che è totalmente inceppata. È da tempo che ho auspicato quello che oggi Conte ha tirato fuori come stati generali dell’economia. Ho proposto che ci fosse un processo, e non certo di una settimana o di dieci giorni, di ripensamento dell’ordinamento amministrativo della Nazione che coinvolgesse le varie parti, non solo quelle sociali, sindacati e imprenditori. Io penso che ci voglia qualcosa di più e a più ampio raggio. Coinvolgere le tante componenti, compresa quella religiosa, ma non solo. Immagino il mondo dello sport, il terzo settore, il volontariato, oltre che ovviamente l’impresa, il mondo intellettuale, quello universitario perché qui si tratta di ripensare l’Italia. Perché l’apparato è evidentemente inceppato, catastrofico e che fa, non dico innervosire, ma imbestialire la gran parte degli italiani. E crea soltanto conflittualità sociale continua. Quando, invece, c’è bisogno di unità nazionale. Lo diciamo tutti dopo grandi catastrofi come quella che stiamo vivendo. E per realizzare l’unità nazionale bisogna sedersi a ragionare, pensare, avere il coraggio di abbattere o comunque modificare incrostazione terribili, dalla burocrazia al malaffare, alla corruzione. Tutti dicono che regna sovrana e che è aumentata dalla prima alla seconda Repubblica, ma mi pare che i tentativi per contrastarla stiano andando tutti a vuoto.

La Cei dice che “non servono polemiche o scomuniche reciproche”. In che senso?
In altri periodi della storia del nostro Paese, dagli anni Settanta in poi, sono avvenute una serie di battaglie e appunto di scomuniche reciproche, di trincee che anche noi cattolici abbiamo fatto. Ci sembra qui molto più ragionevole, di buon senso evitare tutto ciò e rendersi conto di cose un po’ più elementari.

Qual è la temperatura del rapporto tra la Cei e il governo Conte dopo settimane di tensione?
Qui non vedo impegnato il governo. Ci sono partiti e alcuni uomini dei partiti. Peraltro trasversalmente i partiti sono in parte d’accordo e in parte divisi. Cioè all’interno dei propri schieramenti non mi sembra che tutti i partiti siano compatti nell’aderire o meno a questa o a quella proposta. Mi pare ci siano trasversalità nel condividere ora l’una, ora l’altra proposta o nell’avversarle. E mi pare che l’esecutivo non ne abbia fatte. Io escluderei assolutamente il discorso tra la Cei e il governo Conte. Se devo dire la temperatura dei nostri rapporti direi 36,5 gradi, ovvero quella sana. Mi sembra che noi stiamo su diversi fronti, ma dialogando. Lo si faceva più di una volta al giorno durante tutto il lockdown, anche in quei dieci giorni di tensione. Ci sono state sicuramente delle cose che non hanno funzionato e che ciascuno deve dichiarare dal proprio punto di vista.

E per il protocollo delle messe firmato dalla Cei e dal governo? È passato già un mese. Ci saranno cambiamenti?
Ci sono verifiche periodiche e reciproche tra la Cei e il governo sugli indicatori del contagio per capire in che misura si possono allargare o stringere le maglie. In parti del Paese stiamo soffrendo un po’ di più. Io parlo della mia Sicilia dove i numeri sono abbastanza buoni. Però comprendo anche l’attenzione di tutti, del governo Conte per primo. Finora mi sembra che anche quel consulente di Trump tanto detestato, Anthony Fauci, giura per certo che la seconda ondata del virus verrà fra non molto. Come Chiesa italiana siamo molto preoccupati perché ci sono le attività estive dei ragazzi che in parte stano fallendo proprio perché i paletti sono troppi rispetto a quelli a cui eravamo abituati prima. Per cui moltissimi parroci non ce la fanno ad avviare gli oratori estivi. Il governo dice che nel gruppetto di ragazzi che si possono radunare per giocare si deve sempre tenere un metro di distanza. Il parroco mi dice: “Ma io come faccio a far tenere sempre un metro di distanza a un bambino di otto anni mentre è impegnato coi giochi estivi?”. Evidentemente sono delle norme di puro tavolino, di pura giusta analisi sanitaria. Ci amareggia moltissimo il colmo che i ragazzi escono per strada e fanno esattamente tutto quello che vogliono senza mascherina e ovviamente nessuno dice niente. Ma se tu oratorio, parrocchia ti permetti di organizzare dei giochi educativi hai settemila paletti da dovere osservare. È lo strabismo che rischia di rasentare l’ipocrisia. Provo un grande dolore perché staremo otto mesi lontano dai nostri ragazzi con gravissime ripercussioni educative. È un sorta di vicolo cieco per noi vescovi. Cercheremo di studiare qualcosa a distanza, ma il contraccolpo è notevole. E questo avrà una ripercussione non solo dal punto di vista della Chiesa cattolica, ma su tutta la nazione e sulla società.

Twitter: @FrancescoGrana

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