Secondo la Dda di Napoli a partire dal 2003, ma in particolare per le elezioni dal 2007 in poi, il parlamentare di Forza Italia ha concordato con esponenti del clan Puca "la formazione di liste elettorali dei candidati alle cariche elettive". Un'azione portata avanti "finanziando in tutto o in parte... la compravendita dei voti". Un collaboratore di giustizia racconta come truccavano le elezioni: "Ai soggetti contattati davamo 50 euro mentre il galoppino rendeva 10 euro". Il parlamentare nega tutto: "Esterefatto"
“Interlocutore” e “interfaccia” di un clan. Queste due parole inserite nel capo di imputazione di Luigi Cesaro, prima deputato e poi senatore di Forza Italia, indagato insieme ai suoi tre fratelli per concorso esterno della camorra, sono sono l’inizio di una lunga, intricata storia di “commistione” tra un potente esponente politico e la criminalità organizzata attiva e “prepotente” nel territorio di San’Antimo, in provincia di Napoli. Una storia che oggi, dopo lunghissime indagini dei carabinieri del Ros e il racconto riscontrato di tre collaboratori di giustizia, ha portato il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Maria Luisa Miranda, a firmare 56 misure cautelari. A partire dal 2003, ma in particolare per le elezioni dal 2007 in poi, l’esponente berlusconiano – sul quale già pende una richiesta di arresto per corruzione – secondo la Dda di Napoli ha concordato con esponenti del clan Puca “la formazione di liste elettorali dei candidati alle cariche elettive“, un’azione portata avanti “finanziando in tutto o in parte… la compravendita dei voti“. Ed è nel racconto di un collaboratore di giustizia che vediamo, come in un film, il politico Cesaro consegnare 10mila euro per comprare a 50 euro alla volta la preferenza dei cittadini per candidati graditi. Ma non solo. Secondo le accuse dell’Antimafia Cesaro ha anche favorito “l’attribuzione degli incarichi di governo” locale agli uomini scelti dalla camorra, piazzando dirigenti negli uffici che più potevano essere utili come l’ufficio tecnico del comune, un punto nevralgico per gli affari dei boss. In cambio il politico ha ottenuto, secondo gli inquirenti, l’appoggio elettorale del clan Puca e dei clan Verde e Ranucci.
Il procuratore di Napoli Melillo: “Condizionamenti mafiosi sono stati sistematici, massivi e prolungati” – Non è solo un condizionamento a suon di banconote per le elezioni del 2012 e del 2017 quello dei clan. Ma anche il tentativo di imporre, a risultato elettorale sgradito, le dimissioni di alcuni consiglieri comunali. E poi far cadere la giunta del sindaco Pd Aurelio Russo.
Il primo cittadino rimarrà in carica dal giugno 2017 al luglio 2019. Poi tra dimissioni e accuse d’infiltrazione, il comune viene commissariato. Nel marzo scorso viene sciolto dal Consiglio dei ministri. “Queste indagini confermano che i condizionamenti mafiosi in generale e illeciti a SantAntimo sono stati sistematici, massivi e prolungati nel tempo, si potrebbe dire persino ultradecennali – ha spiegato il procuratore capo di Napoli Giovanni Melillo – I fatti ricostruiti sono oltremodo complessi e delicati e riguardano la complessiva operatività di tre pericolose organizzazioni criminali. Dopo 30 anni, il quadro indiziario che le indagini hanno consentito di ricostruire dimostra che queste organizzazioni hanno fatto uno straordinario salto di qualità e messo da parte la conflittualità interna, proiettate alla condivisione degli affari. I tre clan, per quanto autonomi come strutture, sono coesi dal punto di vista delle strategie di accumulazione patrimoniale, tanto che addirittura l’indagine ha dimostrato che c’è una cassa comune chiamata ‘cappello’, dove confluiscono i proventi illeciti. E prevenire alla radice ogni rischio di incomprensione”.
Il gip Miranda: “Una desolante (oltre che preoccupante) realtà dei fatti” – L’indagine, come spiega il giudice nell’introduzione delle 1498 pagine con cui ha ordinato gli arresti, nasce proprio dagli accertamenti nel 2013 dei fratelli dell’attuale senatore sul piano di insediamento produttivo (Pip) del Comune di Marano per cui Aniello e Raffaele Cesaro erano stati arrestati. È questa inchiesta che fa emergere quello che il giudice definisce “una desolante (oltre che preoccupante) realtà dei fatti” ovvero “di uno storico rapporto tra la famiglia Cesaro e il clan Puca” con investimenti imprenditoriali in società occulte del clan e individuati nel centro diagnostico Igea di San’Antimo e il centro commerciale Il Molino, per cui è stato disposto il sequestro. Un “rapporto, neanche particolarmente dissimulato in alcuni frangenti” che “si è consolidato nel tempo tramite l’inquinamento della vita politica del comune di San’Antimo e il controllo dell’amministrazione comunale… per indirizzare l’ente verso i propri illeciti interessi”. Cuore di questo inquinamento l’ufficio tecnico con una serie di “clientele” con cui è stato possibile assegnare appalti pubblici, a ditte riferibili ai Puca, rilasciare autorizzazioni e concessioni edilizie. Per il giudice il protagonista di questa parte dell’inchiesta è Francesco Di Lorenzo, detto Pio, classe 1969, già consigliere comunale, aiutato da due carabinieri che sono stati colpiti da misure cautelari. Il magistrato si interroga sulla esatta configurazione giuridica, ma osserva che: “Ciò che è certo, però, ed è purtroppo emerso a chiare lettere, è il comune di Sant’Antimo è da anni afflitto da un inquietante mercimonio tale da far venire meno uno dei principi cardine sui cui si fonda la nostra democrazia, ovvero quello della libera consultazione elettorale”.
Il collaboratore: “Ricompensato con 35mila euro perché era andata bene” – È però nel racconto del collaboratore Ferdinando Puca, già condannato per l’omicidio di Francesco Verde e a conoscenza di tutti gli affari del clan, che il mercimonio di cui parla il giudice diventa reale e sembra sentirsi l’odore dei soldi. Puca inizia il suo racconto parlando del padre dei Cesaro che si sarebbe adoperato per far “scappare Raffaele Cutolo dal manicomio di Aversa”. Poi iniziò, secondo il pentito, il rapporto tra i fratelli Cesaro e Pasquale Puca, di cui i primi divennero i prestanome. È questo collaboratore di giustizia che racconta di essere stato convocato nel 2011/2012 a casa di Luigi Cesaro: “Mi chiese di appoggiare la campagna elettorale di una persona….in quell’occasione mi diede 10mila euro e mi disse specificatamente come dovevo fare per manipolare la campagna elettorale…”. Puca racconta di averlo già fatto. L’esponente di Forza Italia, continua, “mi disse che dovevo comprare le schede elettorali.. per effettuare l’acquisto, avremmo poi dovuto verificare se qualcuno vendeva due volte le schede elettorali così alterando il numero, l’avremmo dovuto picchiare ed avremmo dovuto controllare il giorno delle elezioni, tramite una persona fuori del seggio che i soggetti contattati ai quali davamo 50 euro a persona mentre il galoppino rendeva 10 euro, dovevamo poi controllare la corrispondenza tra i votanti da noi pagati e i voti effettivamente presi. Tanto facevano anche i Cesari in quanto avevano persone loro direttamente nei seggi…”.
Il collaboratore risponde a una domanda dei pm che “tali modalità erano state concordate con Luigi Cesaro, le dico assolutamente sì in quanto è proprio per questo il motivo per il quale i politici si rivolgono alla camorra”. La “campagna elettorale andò bene” e per questo, racconta Puca fu ricompensato con 35mila euro da parte di Antimo e Luigi Cesaro. Dai racconti di altri collaboratori è emerso che il “patto” con il clan Puca risaliva al 2007 e che nel dicembre 2008 Pasquale Puca detto o’ minorenne incontrò il politico che voleva candidarsi alla presidenza della Provincia di Napoli. Un incontro con i quattro fratelli Cesaro in cui l’esponente del clan “pretendeva che nelle liste elettorali fossero inseriti dei soggetti da lui indicati e quindi graditi. Non ho mai sentito gridare così ad alta voce”. Non si era arrivati a un accordo. Poco dopo Puca venne arrestato e il clan pensò che i Cesaro avessero esercitato “pressioni” su qualcuno. Chi? Quel nome nelle carte dell’inchiesta è stato omissato.
Il senatore Cesaro: “Esterefatto” – “Sono esterrefatto nell’apprendere da notizie di stampa il mio presunto coinvolgimento in pratiche di raccolta del consenso non regolari e addirittura oggetto di ipotizzato accordo con ambienti riconducibili a consorterie criminali. Nel corso della mia lunga e diversificata esperienza politica ed istituzionale mi sono più volte cimentato in campagne elettorali, da quelle europee a quelle nazionali, provinciali e comunali: sempre il consenso sulla mia persona è stato raccolto in modo assolutamente trasparente ed i suffragi ricevuti sono stati frutto esclusivamente del mio impegno a sostegno delle nostre comunità e della mia nota disponibilità nei confronti dei cittadini scrive in una nota Luigi Cesaro – Sono perciò convinto che l’approfondimento dei fatti e l’attenta valutazione delle circostanze in questione permetteranno alla verità di emergere e, come già accaduto nelle precedenti contestazioni che mio malgrado mi hanno coinvolto, i fatti si incaricheranno dì dimostrare la mia assoluta estraneità a qualsiasi addebito. Ed è perciò che con animo assolutamente sereno affronterò anche questa ulteriore prova”.