I negozi dei marchi Zara, Pull&Bear, Stradivarius, Bershka, Oysho, Zara Home, Massimo Dutti e Uterque scenderanno 7.469 a quota a circa 6.700, visto che sono comunque previste altre 450 aperture. Dovrebbe calare le saracinesche i punti vendita più piccoli, dopo il boom degli acquisti online durante il lockdown
Contrazione delle vendite nei negozi e accelerazione dell’e-commerce: gli effetti della pandemia hanno spinto il colosso del fast fashion Indetex a chiudere 1.200 negozi in tutto il mondo. L’azienda a cui fanno capo i marchi Zara, Pull&Bear, Stradivarius, Bershka, Oysho, Zara Home, Massimo Dutti e Uterque ha deciso per un riassetto deciso per equilibrare i conti nel post-Covid spostando le vendite dal retail al digitale, cresciuto durante il lockdown mentre erano chiusi circa il 90% degli store.
I negozi scenderanno quindi da 7.469 a quota a circa 6.700, visto che sono comunque previste altre 450 aperture con un saldo netto di circa 800 negozi fisici in meno. La strategia dovrebbe essere quella di abbassare le saracinesche dei punti vendita più piccoli puntando sui flagship e gli store più grandi, dove è possibile anche ritirare la merce acquistata online.
Come riporta Il Sole 24ore, il gruppo fondato negli anni Sessanta da Amancio Ortega ha registrato un incremento di vendite nel canale digitale – che lo scorso anno valevano circa 4 miliardi sui 28,2 di ricavi – del 50% nel primo trimestre rispetto al 2019 e ha fatto registrare addirittura il +95% nel mese di aprile. La pandemia ha quindi accelerato uno degli obiettivi di lungo termine del gruppo, anche in ragione degli alti costi di affitto dei negozi dove il flusso di clientela si sarebbe ridotto anche dopo le riaperture.
La perdita netta nel primo trimestre è stata di 409 milioni con un fatturato crollato a 3,3 miliardi contro i 5,9 del primo trimestre dello scorso anno. Durante il mese di maggio le vendite sono calate del 51% su base annua, con un parziale recupero (-34%) nella prima settimana di giugno. Inditex prevede che le vendite online rappresenteranno il 25% del suo giro d’affari nel giro di due anni contro il 14% del 2019.
Prima di Zara, nelle scorse settimane già altri colossi del fast fashion avevano annunciato la decisione di dover chiudere alcuni punti vendita. Tra questi H&M, che ha deciso di rinunciare a sette store solo in Italia, tra questi gli storici negozi di via Torino e corso Buenos Aires a Milano. A pesare sono stati soprattutto gli affitti richiesti per i locali che si trovano nel cuore del distretto dello shopping milanese.
Ma tutto questo riapre anche il dibattito sul futuro della moda e in particolare proprio del fast fashion: la pandemia ha costretto le aziende a un brusco stop che ha spinto a una riflessione sui ritmi serrati tenuti finora. Ad aprire il dibattito è stato Giorgio Armani con una lettera aperta agli addetti ai lavori del settore in cui spiegava il suo punto di vista sulla necessità di rallentare i ritmi per ridare spazio all’eccellenza del Made in Italy evitando la sua svalutazione.