Negli ultimi dieci anni, la carne di pollo e tacchino è diventata la prima fonte di proteine sulla tavola degli italiani, sfiorando i 20 kg pro capite all’anno (+10% rispetto al 2010). Soltanto nel 2019 sono stati macellati 511 milioni di polli. Per sostenere una produzione di questa entità resta inevitabile lo sfruttamento di questi animali: il 99,8% dei polli in Italia viene allevato in maniera intensiva.
Essere Animali ha documentato per la prima volta in Italia l’intero ciclo di allevamento del pollo, grazie al lavoro di un investigatore infiltrato che è stato assunto per un mese in una grande azienda del Piemonte, proprietaria di diversi allevamenti e fornitore di Aia, il principale produttore di carne avicola in Italia.
Le immagini, diffuse dal Tg1 in prima serata, sono state viste da milioni di persone e mostrano le sofferenze patite dai polli, dal momento in cui raggiungono l’allevamento a un solo giorno di vita, fino a quando vengono caricati per il trasporto al macello. Durante le sei settimane di allevamento, i polli vengono stipati in capannoni che arrivano a contenere fino a 30.000 esemplari, 20 in un metro quadrato, senza poter mai vedere la luce del sole. In questo breve periodo vengono nutriti in continuazione con mangimi iperproteici e con della sabbia di fiume che serve ad integrare l’apporto di calcio.
I pulcini devono convivere con malformazioni, problemi respiratori, neurologici, cardiaci e di deambulazione. La lettiera su cui giacciono non viene mai cambiata, anche quando è ormai carica dell’ammoniaca proveniente dalle loro deiezioni e questo provoca dolorose dermatiti e perdita delle penne. Dopo qualche settimana, il petto dei polli è talmente pesante da impedirgli di muoversi. Come se non fosse già abbastanza, gli animali devono far fronte anche alle violenze e alle negligenze degli operatori, che dimostrano di non essere adeguatamente formati, o di non seguire, la normativa sul benessere animale, come previsto dalla legge.
La mortalità dentro le strutture arriva a toccare i 20 polli al giorno, ma per garantire la sopravvivenza del maggior numero di animali, questi allevamenti ricorrono a un uso massiccio e costante di antibiotici. La somministrazione avviene per trattare in modo preventivo tutti gli animali in maniera indistinta, ovvero prima che questi presentino segni clinici di una malattia.
L’utilizzo indiscriminato di antibiotici è tanto allarmante quanto pericoloso, perché contribuisce al fenomeno dell’antibiotico resistenza, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una minaccia per la salute globale.
Come afferma Simone Montuschi, presidente di Essere Animali, quello che abbiamo documentato è “un vero e proprio abuso dell’utilizzo di antibiotici, vietato nell’Unione europea a partire dal gennaio 2022 e considerato tra le principali cause del fenomeno dell’antibiotico resistenza, ovvero la capacità di alcuni batteri di sopravvivere e moltiplicarsi nonostante la presenza di uno o più antibiotici. Un grave problema per la salute umana, poiché rende più difficile la cura delle malattie infettive”.
Senza antibiotici efficaci, infatti, sarebbe impossibile realizzare anche le più semplici cure odontoiatriche senza incorrere in una infezione anche grave. Per non parlare del trapianto di organi, la chemioterapia o la terapia intensiva. Tutte cure che diamo per scontate, ma a cui molto presto potremmo dover rinunciare.
La resistenza agli antibiotici sta già avendo un impatto sulle nostre vite: ogni anno causa oltre 10.000 morti solo in Italia, 33.000 in Europa. Il nostro Paese è primo in Ue per morti legate alla resistenza a questi farmaci e il secondo per utilizzo di antibiotici in zootecnia; il consumo nei nostri allevamenti è di tre volte tanto quello dei francesi e addirittura cinque volte quello dei britannici.
Nonostante i rischi e l’incombente divieto nell’Ue dell’uso profilattico di questi farmaci, la somministrazione di antibiotici negli allevamenti intensivi in Italia rimane di routine: le condizioni igienico-sanitarie e la selezione genetica a cui sono sottoposti i polli non fanno che favorire il proliferare di batteri e virus, rendendo impossibile l’abbandono di questa pratica. Come spiega il Dr. Busani del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore della Sanità: “In un allevamento avicolo, i polli sono tutti uguali. La base genetica è estremamente limitata e negli allevamenti ci sono animali tutti della stessa età e dello stesso sesso. Di conseguenza un agente patogeno che entra lì è praticamente a Disneyland, perché trova popolazioni tutte uguali dove è facilissimo per lui diffondersi”.
Di tutti gli antibiotici utilizzati in Italia, il 70% è impiegato non per la cura delle persone, ma negli allevamenti. Eppure molti di noi reputano che l’Italia sia un’eccellenza nel campo alimentare, guardiamo con orrore alle pratiche di allevamento di altri Paesi e ci preoccupiamo di mangiare prodotti made in Italy perché sicuri che questi siano di più alta qualità rispetto ad altri. Purtroppo, questa etichetta, come anche quelle dop o doc, non garantiscono necessariamente che gli animali non siano cresciuti in strutture dalle condizioni pessime e che il loro mangime non sia stato mischiato con antibiotici sin dalla nascita.
Per questo motivo Essere Animali ha lanciato una petizione per una riforma delle leggi sulla protezione degli animali indirizzata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e a vari ministri, tra cui il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Teresa Bellanova. Alcuni punti del processo di riforma legislativo che noi proponiamo includono:
– l’instaurazione di un sistema di controllo negli allevamenti, durante il trasporto e nelle fasi di macellazione più efficace di quello adottato sinora;
– la riformulazione delle densità di allevamento, concedendo agli animali più spazio per muoversi, anche all’aperto, e con la presenza di arricchimenti ambientali;
– il divieto di ogni mutilazione così come l’uccisione dei pulcini maschi, perfettamente sani ma considerati non produttivi dall’industria zootecnica;
– la fine ai sussidi pubblici al settore zootecnico;
– l’inasprimento delle pene per il maltrattamento degli animali e per le altre violazioni delle normative di protezione, prevedendo nei casi più gravi la revoca delle autorizzazioni e l’interdizione dall’attività.
È arrivato il momento di cambiare, gli allevamenti intensivi non dovranno più essere un problema di salute pubblica: firma la petizione anche tu.