Se c’è una cosa che ho imparato in questo decennio di lavori accademici su orientamento sessuale e identità di genere è che il repertorio al quale attingono i politici italiani per opporsi a una maggiore protezione giuridica delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex (Lgbti) è antico quanto quello impiegato dalla Cei. Si tratta della solita tiritera di luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi che però oggi, in un contesto globale di violenza polarizzata contro le minoranze di ogni tipo (anche sessuali), assume una veste nuova e più pericolosa, soprattutto perché abilmente travestita, è il caso di dirlo, da sofisticata argomentazione giuridica.
Ci siamo già passati. La Camera ha già discusso (e rigettato), prima nel 2009 e poi nel 2011, una serie di disegni di legge che estendevano all’orientamento sessuale e all’identità di genere degli strumenti già previsti dalla Legge Mancino-Reale del 1975, la quale punisce i reati e i discorsi d’odio fondati su caratteristiche personali quali la nazionalità, l’origine etnica e la confessione religiosa.
In entrambi i casi, i soliti pasdaran cattolici del centrodestra avevano sostenuto – con successo, visti i risultati – che la nuova legge avrebbe equiparato l’omosessualità a “pedofilia, zoofilia, sadismo, necrofilia, masochismo, eccetera”, assimilando dunque gli omosessuali a criminali seriali. Nel 2013, complice un Partito Democratico che sembrava – e sembra ancora oggi – non meno lontano dalle legittime richieste della comunità Lgbti di quanto lo sia l’attuale centrodestra, un nuovo disegno di legge veniva approvato in Senato, ma con un cavillo che trasformava la relativa norma in un monstrum grammaticale ancora prima che giuridico, rendendola inapplicabile.
Oggi la critica avanzata contro il disegno di legge presentato da Alessandro Zan in discussione alla Camera sembra molto più sofisticata che in passato. Il ritornello è quello della pretesa natura liberticida del ddl, che imbavaglierebbe chiunque sostenesse che la famiglia è formata da una mamma e un papà, che i gay sono malati, che “meglio fascista che frocio” e così via, introducendo un reato di opinione. Secondo la Cei, inoltre, le tutele esisterebbero già e sarebbe dunque sufficiente, dicono, “promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona”.
Voglio essere chiaro su un punto: la libertà di espressione è un pilastro della democrazia ed essa ricomprende sotto la sua ala anche pensieri e parole che non ci piacciono o ci fanno ribrezzo. E la comunità Lgbti è perfettamente consapevole dell’importanza di questa libertà, che sin dagli anni ’60 le ha consentito – seppur con una lentezza esecrabile – di acquisire una voce nel dibattito pubblico e nell’agone politico di molti Paesi, tra cui l’Italia. Ma è falso sostenere che questa legge priverebbe i cittadini della loro libertà di espressione, così come è falso dire che le tutele esistono già. Si tratta di semplificazioni dannose che aprono voragini nella già precaria vulnerabilità delle persone Lgbti – e non solo.
Da una parte, la Legge Mancino-Reale che si vorrebbe estendere alle persone Lgbti già prevede – e da almeno 45 anni! – protezione in relazione alla nazionalità, all’etnia e alla religione. Perché la CEI non solleva la stessa obiezione con riguardo a queste caratteristiche? Mi si risponderà: perché mentre la Chiesa disapprova il razzismo, essa considera l’omosessualità un “disordine morale”.
Benissimo. Però è pure vero che la libertà di espressione è di tutti, mica solo della Chiesa e dei cattolici, e del resto l’unica tendenza liberticida visibile è quella della libertà delle persone Lgbti, che è sempre l’ultima ad essere considerata. Che siano solo le vittime di discriminazione e violenza a preoccuparsene fa francamente orrore. Ed è ironico che sia proprio la Chiesa a tirare fuori il tema della libertà educativa quando l’unica educazione che essa riconosce è ovviamente quella conforme ai propri valori.
Le varie norme penali risalenti all’impianto fascista del nostro codice penale che puniscono il vilipendio alla religione o le espressioni blasfeme non sono forse pure quelle delle leggi liberticide? Sembra che l’argomentazione della Cei protegga solo la libertà della Cei.
Dall’altra parte, esiste un’abbondante letteratura in materia di bilanciamento tra lotta all’omotransfobia e libertà di espressione, che viene sia dai repertori della giurisprudenza (nazionale e della Corte di Strasburgo) sia dai dibattiti a livello sovranazionale. Basta studiarsela. Da anni il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo sollecitano gli Stati (inclusa l’Italia) a dotarsi di un impianto normativo idoneo a prevenire i crimini e i discorsi d’odio di stampo omotransfobico. Senza contare che ben 28 Paesi europei hanno oggi leggi simili, e non sono certo dittature.
Come ha chiarito l’avvocato Antonio Rotelli nella sua audizione in Commissione Giustizia, “nessuna proposta di legge ha mai chiesto un’estensione del divieto di propaganda di idee all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Pertanto, sbagliano coloro che sostengono che la loro approvazione vieterebbe in Italia la possibilità di esprimere un’idea o un parere, per esempio, contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso o la genitorialità delle persone omosessuali. L’espressione di tali pensieri continuerà a essere legittima e libera, condivisibile o meno che sia, ma va detto che lo sarebbe anche nel caso non previsto di estensione della fattispecie di propagande di idee. Con riferimento, invece, alla fattispecie dell’istigazione alla discriminazione o alla violenza, il tema del rapporto con la libertà di espressione si atteggia in maniera completamente distinta, ed è stato già affrontato e risolto dalla giurisprudenza più volte”.
I nostri parlamentari sono pagati fin troppo per aderire a tesi tanto semplicistiche quanto quelle avanzate dalla Cei. Che usino la loro libertà per informarsi e studiare!
Quando questi interlocutori così politicamente abili e giuridicamente sofisticati metteranno al centro del dibattito la vera questione cruciale (proteggere le persone Lgbti dalla discriminazione e dalla violenza), solo allora potremo discutere di eventuali bilanciamenti. Per ora, il dibattito è tutto sbilanciato a vantaggio di chi queste discriminazioni e violenze fa semplicemente finta di non vederle e, così facendo, ne è complice.