È del 14 aprile scorso l’esposto che la nostra associazione Antigone ha depositato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere contro agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere della cittadina per tortura e percosse, nonché contro medici operanti nello stesso istituto per omissione di referto, falso e favoreggiamento. Lo stesso carcere in relazione al quale si apprende oggi che 44 agenti sono indagati per tortura per i presunti pestaggi del 6 di aprile.
Più volte negli scorsi mesi ci sono state denunciate presunte violenze ai danni di detenuti da parte di esponenti della polizia penitenziaria, violenze che sarebbero avvenute in alcune carceri italiane nei giorni successivi le rivolte scoppiate durante l’emergenza sanitaria. Gli abusi sarebbero cominciati quando la calma era oramai tornata negli istituti coinvolti e niente dunque avrebbero avuto a che fare con il tentativo di fermare le proteste.
Chi telefonava o scriveva all’associazione Antigone per riportarci la testimonianza di un parente detenuto con il quale aveva appena comunicato raccontava di vere e proprie ritorsioni, gravi abusi ai danni di persone in quel momento inermi e in certi casi anziane, che avrebbero voluto assumere il ruolo di punizioni nei confronti di chi aveva preso parte ai disordini.
I nostri avvocati chiedevano di parlare al telefono con tutti i parenti che si facevano tramite di denunce tanto gravi. Ascoltavano, prendevano note, valutavano. Quando i racconti erano molteplici e coincidenti anche nei dettagli pur provenendo da fonti differenti, mandavano in Procura le carte come è giusto che sia. I primi giorni di aprile inviammo una mail all’allora Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Francesco Basentini per informarlo di due esposti che avevamo depositato fino a quel momento (altri ne seguiranno).
Il primo riguardava le presunte torture avvenute nel primo reparto del carcere milanese di Opera, quando alcuni agenti avrebbero fatto irruzione nelle celle di vari detenuti – alcuni dei quali non sarebbero stati neanche coinvolti nelle rivolte precedenti e alcuni dei quali sarebbero stati malati o anziani – e li avrebbero colpiti con i manganelli sulle braccia, sulle mascelle e su altre parti del corpo, immobilizzandone alcuni e percuotendoli, dando loro dei calci nei testicoli. Un agente avrebbe riferito a un avvocato che “era solo volato qualche ceffone”.
Il secondo esposto era relativo a presunte violenze nel carcere di Melfi, dove alcuni detenuti sarebbero stati denudati e picchiati (anche con manganelli), insultati, messi in isolamento, trasferiti in altri istituti con lunghi spostamenti durante i quali era loro impedito di andare in bagno, costretti a firmare fogli nei quali dichiaravano di essere accidentalmente caduti.
Gli episodi di Santa Maria Capua Vetere sarebbero successivi a questi e risalirebbero al giorno seguente quello di una battitura delle sbarre con la quale alcuni detenuti volevano chiedere tutele sanitarie dopo la diffusione della notizia di una persona positiva al Covid-19. Il nostro esposto per la supposta ritorsione violenta da parte della polizia penitenziaria in tenuta antisommossa nei confronti di alcuni detenuti del reparto Nilo – circa 400 agenti avrebbero fatto ingresso nel reparto con volto coperto da caschi e guanti alle mani – è datato 14 aprile, mentre del 16 aprile è la nuova mail con la quale torniamo a informare Basentini.
Fin dalle prime ore delle rivolte di marzo Antigone, attraverso un video-messaggio del proprio presidente pubblicato sulla pagina Facebook dell’associazione, ha chiesto alle persone detenute di interrompere immediatamente ogni forma di violenza, che mai può essere uno strumento di richiesta o di risoluzione dei conflitti. Se ci opponiamo alla violenza della protesta, ci opponiamo anche a quella messa in atto da istituzioni pubbliche che dovrebbero rappresentare lo Stato di tutti noi.
Da più parti abbiamo tentato di far sapere delle denunce che ci avevano raggiunto. Si è parlato molto delle rivolte di marzo, con il loro carico di tragedia, e delle tre detenzioni domiciliari di detenuti in 41-bis. Non sembravano invece fare notizia brutali pestaggi ai danni di persone detenute.
Grazie al lavoro della magistratura le indagini faranno la loro strada ed emergerà quanto è accaduto, di qualsiasi cosa si tratti. Che si sia contestato il reato di tortura – inserito nell’ordinamento italiano solamente nel luglio 2017, nonostante le annose sollecitazioni da parte degli organismi internazionali sui diritti umani – fa sperare che almeno non possa essere la prescrizione la via per chiudere la faccenda.
L’emergenza sanitaria che ancora stiamo vivendo non deve farci abbassare la guardia rispetto alla necessità di conoscere la verità e di isolare gli eventuali colpevoli violenti.