Se parla Paul McCartney, qualcosa cambia.
Se parla Paul McCartney e dice che è veramente scandaloso che coloro che hanno pagato un biglietto per un suo show non possano riavere i soldi, qualcosa cambia.
Se parla Paul McCartney e dice di essere fortemente in disaccordo con quello che il governo italiano e Assomusica hanno fatto, perché ai fan degli altri Paesi europei è stato offerto il rimborso completo, qualcosa cambia.
Se parla Paul McCartney a nessuno importa se lo faccia perché spinto da giorni di richieste e polemiche di chi ha comprato i biglietti per i suoi due live previsti per questa estate 2020, annullati causa pandemia.
Se parla Paul McCartney perché sa che la parte dove sedersi è quella dei fan, qualcosa cambia.
Se parla Paul McCartney poco conta che la sua agenzia live italiana dica che Sir Paul già sapeva del meccanismo di rimborso previsto tramite voucher, scelto per dare ossigeno a imprese entrate in gravissima crisi di liquidità. Qualcosa cambia.
Perché se parla Paul McCartney, a sera interviene Franceschini e dà per “evidente” qualcosa che “evidente” non era: “È evidente – dice – che la ratio della norma è che il voucher valga solo per un concerto dello stesso artista e che se questo non si terrà lo spettatore avrà diritto al rimborso. Il Parlamento credo potrà intervenire in conversione per togliere ogni dubbio interpretativo sulla norma”.
Se parla Paul McCartney, qualcosa cambia. O sembra cambiare. Perché a dare ossigeno a quelle agenzie live in difficoltà possono essere altre fonti d’aria (fondo per ristorare gli organizzatori?) e non quella di imbrigliare il consumatore con un voucher spendibile per “un altro concerto”. Come se un concerto di Paul McCartney si potesse barattare con un’altra cosa. Come se non fosse stata prevedibile l’inca**atura dei fan. È forse l’ultimo “non intercambiabile”, Paul (scelta delle parole non casuale così la finiamo con la storia del morto). Chi vuole vedere un concerto di McCartney vuole vedere l’ex Beatle. In linea di massima, anche chi compra il biglietto per un concerto di Cremonini vuole vedere Cremonini e non Ferro, così come chi si vede volentieri Ariana Grande non va in brodo di giuggiole se gli dicono “ti tocca Dua Lipa”. Col Macca è questo, all’infinito. È un po’ come i Rolling Stones ma pure di più. Perché Mick and friends sono sempre in giro, come se dai tour prendessero anni di vita. Paul no. E Paul ha cambiato la storia della musica.
Se parla Paul McCartney, quindi, tutti in riga. Ed è bene che gli artisti provino a prendere esempio. Parlare. Non con le solite pergamene di frasi fatte. Provare ad andare sul concreto in un momento di così grande difficoltà per il settore è un dovere, cercando però di non gabbare i fan. Che venga dal cuore o meno poco importa. Muovere il culo, conta quello. Poi zitti, però. Poi si canta.
Perché se parla Paul McCartney, qualcosa cambia. Ma se canta, è “dogma”. E c’è da augurarsi che torni a fare presto solo quello, senza occuparsi d’attualità. Vorrà dire che siamo tornati a “quando le cose andavano bene”. E a vedere Paul sul palco. Il Papa della musica. Se uno va a San Pietro, chi è che vuole vedere affacciarsi? D’altra parte, ultimamente, pare che la chiesa se la passi peggio dei Beatles a livello di immagine e appeal. E John l’aveva beffardamente previsto.