Il presidente dell'Emilia-Romagna, intervistato durante il webinar del Sole 24 ore, ha ricostruito quanto avvenuto nella sera tra il 15 e 16 marzo e ribadito come fu la Regione a chiedere ulteriori misure restrittive per fronteggiare la pandemia. Il caso viene messo in contrapposizione con quanto avvenuto nella Bergamasca, dove si decise di non agire. A tal proposito nelle prossime ore sarà sentito come persona informata sui fatti il premier Conte. Ecco la cronologia di quei giorni
In Emilia-Romagna, a Medicina, “la zona rossa l’abbiamo fatta di notte, è stata una decisione politica difficile, e poi abbiamo informato il governo che ci ha consentito di poterla fare”. Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, intervistato durante il webinar “Fuori dall’emergenza sanitaria” del Sole 24 ore, ha ricostruito gli eventi che hanno portato all’istituzione della zona rossa nel paese di Medicina, in provincia di Bologna. Le decisione venne annunciato il 15 marzo.
Bonaccini ha anche ricordato altri due provvedimenti restrittivi, presi dalla Regione, che risalgono alle settimane del picco dell’emergenza coronavirus: “A metà marzo”, ha detto, “abbiamo chiesto noi al governo di istituire due province, Rimini e Piacenza, per intero come zone arancioni, quasi rosse, con le restrizioni più pesanti nella mia Regione, e Medicina zona rossa, perché gli epidemiologi mi mostrarono dati drammatici. Così facendo abbiamo salvato gran parte del contagio che poteva diffondersi nella città metropolitana di Bologna”.
Il caso di Medicina e dell’Emilia-Romagna viene più volte citato in contrapposizione con quanto avvenuto invece in Lombardia e in particolare nei paesi di Nembro e Alzano Lombardo, dove la zona rossa, nonostante i dati allarmanti, non venne istituita. Sul caso e in generale sulla gestione dell’emergenza nella Val Seriana, indaga la procura di Bergamo e venerdì 12 giugno saranno sentite come persone informate sui fatti il premier Giuseppe Conte e poi i ministri della Salute Roberto Speranza e dell’Interno Luciana Lamorgese. Dopo aver ricostruito quel che accadde nei giorni tra il 3 e il 7 marzo scorsi, servendosi anche di tutta la documentazione e i carteggi raccolti tra l’istituto Superiore di Sanità, Il governo centrale e quello regionale, i pm dovrebbero stabilire se si sia trattato di atti da incasellare in scelte politiche o se ci siano o meno responsabilità penali, quale sia l’ipotesi di reato, e in capo a chi.
ALZANO E NEMBRO, LA CRONOLOGIA – A questo proposito, le ricostruzioni delle dichiarazioni pubbliche rendono l’idea di cosa è successo nelle settimane incriminate. La serie inizia il 27 febbraio, quando l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera dice che si stava “guardando con attenzione alla zona di Alzano Lombardo” anche se “al momento”, disse, “non c’è nessuna ipotesi di introdurre nuove zone rosse”. L’ipotesi si fa concreta il 3 marzo. “Abbiamo chiesto all’Istituto Superiore di Sanità di fare valutazioni e suggerire a noi e al governo le migliori strategie”, disse l’assessore in conferenza stampa. E proprio il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico dice che sarebbe stata necessaria la chiusura della zona. Da qui la richiesta di approfondimenti da parte del premier Conte per sapere se sarebbe bastata o se andasse chiusa tutta la Lombardia.
Due giorni dopo, il 5 marzo, Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore della Sanità risponde che la zona rossa ad Alzano e Nembro va fatta. A testimoniare che si sta più che pensando di delimitare l’area ci sono le segnalazioni degli abitanti della zona sull’arrivo dell’esercito e delle forze dell’ordine. Il 5 marzo è Gallera ad annunciare che dopo la richiesta degli “esperti dell’istituto Superiore di Sanità” la Regione ha dato “l’assenso ma ora il governo deve fare le sue valutazioni“. Ed è sempre lui a sbottare il giorno dopo “l’Iss aveva formulato una richiesta precisa al governo. Se questa risposta fosse arrivata tre giorni fa avrebbe evitato di lasciare nell’incertezza i cittadini”.
L’incertezza finisce l’8 marzo quando un decreto della Presidenza del Consiglio, che entra in vigore il 9, decide la chiusura di tutta la Lombardia e di 14 province. Non in modalità “zona rossa”, ma in una versione meno restrittiva, che fu ribattezzata “zona arancione”. Da lì scoppia la polemica sulla mancata istituzione della zona rossa nella media Val Seriana. Il 2 aprile il governatore Attilio Fontana, in risposta alla lettera di alcuni sindaci, fra cui quello di Bergamo Giorgio Gori, sulla gestione dell’emergenza spiega che “una volta accertato che anche le zone di Alzano Lombardo e Nembro”, nel Bergamasco, “si configuravano come cluster, abbiamo chiesto invano al governo”. “Mi è stato chiesto se il governatore della Lombardia poteva assumere ordinanze più restrittive e abbiamo risposto che non abbiamo impedito di farlo – ha puntualizzato il 6 aprile il premier Giuseppe Conte -, lo hanno fatto altri governatori. l’istituzione di nuove Zone Rosse comprendenti quei Comuni”. Adesso la questione è sul tavolo dei pm di Bergamo che su questo hanno già ascoltato Fontana e Gallera e domani sentiranno il presidente del Consiglio.