Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti a Oates, Whitehead e Kelley

di Davide Turrini

La dodicenne Violet è un “rat”. Un ratto, un topo, uno, anzi una, che spiffera informazioni cruciali che portano all’arresto di un’altra persona. Un traditore, tendenzialmente. Una merda di sicuro. Soprattutto se questo avviene in un contesto familiare con rigide gerarchie patriarcali e di genere. My life as a rat (in italiano: Ho fatto la spiaLa Nave di Teseo), è il centesimo o centocinquesimo – oramai il conto non si riesce più a tenere – romanzo dell’81enne Joyce Carol Oates. Una vibrante e inquieta odissea di una donna, prima bimba, poi adolescente, poi adulta, inclinata sul piano di un trascendente fuori posto, inchiodata ad una involontaria ed insistente espiazione morale, attraversata sottopelle da tre condizioni di inferiorità socio-culturale nell’America – stato di New York – di fine XX secolo: il colore della pelle, l’essere donna, la schiavitù economica. Tre capitoli, tre atti teatrali, tre movimenti verso una liberazione individuale impossibile (“Mantenermi in vita. Evitare di annegare. Questa era la sfida”), impostati sul flusso inesauribile, articolato, pulsante di una prima persona singolare che scorre sferzante, singhiozzante, impaurita, oltre gli argini di una scontata descrittività. Violet ha la colpa di scorgere due dei suoi tanti fratelli maschi tornare a casa, una notte, con il paraurti dell’auto piegato, intenti a lavare i loro vestiti e una mazza da baseball intrisi di sangue. Quando si scoprirà che la notte precedente è stato brutalmente ucciso un ragazzo afroamericano senza motivo, e che il cerchio si chiude attorno ai suoi vili fratelli, Violet non potrà far fede alla promessa di silenzio, andando incontro alle ire del duro padre e della servile madre. Allontanata a 150 chilometri da casa presso una zia, Violet subirà violenza sessuale da un professore di matematica pedofilo seriale. Ancora una volta, l’ultimo gradino della vita la vedrà crescere e affrontare la sua condizione proletaria d’origine, studentessa lavoratrice, cameriera schiava nelle case dei ricchi, finalmente amata, ma ancora “donna” inteso come sinonimo di inferiorità di genere. Oates ha la capacità di far risuonare con forza, in uno sgorgante romanzo fiume, contraddizioni e ossessioni di una società putrescente, classista, razzista, malata, disseminando tracce mirabili, accese, vitali, di un disinvolto sottotesto individuale al femminile in tutto il suo naturale prorompere sessuale che diventa stigma di una colpa antica, inestirpabile, eterna. Voto: 8

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