La task force guidata da Vittorio Colao ha prodotto un lungo elenco d’interventi, divisi in sei ambiti principali: Impresa e lavoro; Infrastrutture e ambiente; Turismo, Arte e Cultura; Pubblica Amministrazione; Istruzione, Ricerca e Competenze; Individui e Famiglie. Innanzitutto due osservazioni preliminari: tutte le azioni proposte non hanno alcun grado di priorità e dovrebbero essere sostenute da incalcolabili risorse pubbliche: stabilire un ordine sarebbe stato utile anche per contenere la spesa e diluirla nel tempo (spostando il debito pubblico in avanti).

Inoltre, in un contesto in cui sembra prendere sempre più quota a livello scientifico la correlazione tra la diffusione della pandemia e l’inquinamento atmosferico, ci si sarebbe aspettati una maggiore attenzione alle tematiche dell’energia e dell’ambiente. La transizione energetica non può essere realizzata soltanto mediante il potenziamento di interventi di efficienza energetica, ma presuppone un intervento deciso anche sullo sfruttamento delle fonti rinnovabili ‘tradizionali’ (sole, acqua e vento) sia per la produzione dell’energia elettrica che del calore e la conseguente (necessaria) politica di incentivazione che elimini finalmente i sussidi alle fonti tradizionali a beneficio delle fonti rinnovabili.

Venendo ai capitoli tematici, alla lettura di quello su “Infrastrutture e ambiente, volano del rilancio” sembra di fare un tuffo nel passato, in una riedizione di vecchi piani e programmi sempre dichiarati ma mai realizzati se non in minima parte, a macchia di leopardo e a costi tripli rispetto alle infrastrutture di altri Paesi, ad esempio l’Alta Velocità ferroviaria.

“Finanziare la riconversione sostenibile delle infrastrutture di trasporti e logistica, nell’ambito del Trasporto pubblico locale, Trasporto privato e Ciclabilità” è un titolo che può sollecitare la sensibilità degli ambientalisti, ma presto si scopre che di ambientalista non c’è molto. Sorprende inoltre che le sempre valide raccomandazioni della Banca d’Italia e dell’ex governatore Mario Draghi non siano state recepite: le infrastrutture non sono tutte utili in quanto tali e vanno precedute da una analisi costi-benefici per valutarne la redditività, il moltiplicatore occupazionale e l’innalzamento delle prestazioni delle reti o dei punti di rete (nel caso di aeroporti, porti o centri intermodali).

Se è positiva l’idea di “Incentivare il rinnovo del parco mezzi del Trasporto Pubblico Locale verso mezzi a basso impatto” e “Incentivare il rinnovo dei mezzi pesanti privati con soluzioni meno inquinanti”, appare sorprendente che Colao – pur vivendo a Londra – non si sia accorto che il servizio è offerto da cinque operatori diversi: non da uno solo, spesso inefficiente e monopolista come nel caso delle nostre città.

Il primo problema da affrontare è quindi l’efficienza delle aziende di trasporto. Colao dovrebbe sapere che la regolazione pubblica è stata il motore dell’innovazione gestionale in tutta Europa, dove il trasporto pubblico locale è cresciuto affidando i servizi tramite gara e istituendo vere Autority dei trasporti – non condizionate dagli interessi degli operatori già presenti sul mercato – con compiti di integrazione e progettazione dei servizi: il contrario di quelle italiane di cui sono costellate le Regioni.

Il capitolo “Pianificare investimenti a favore della Ciclabilità, incentivando la creazione dell’infrastruttura ciclistica e incoraggiandone l’utilizzo” si aggiunge al lungo elenco dei “pii desideri” e non sembra per nulla prospettare una pianificazione che faccia veramente i conti con le risorse disponibili e con le autonomie locali a cui spetta la decisione finale sulle ciclabili.

“Aumentare le risorse previste per la riconversione delle flotte pubbliche verso mezzi a basso impatto. Si consiglia la definizione di una direttiva nazionale (con ad es cabine di consultazione gestite dai prefetti) per evitare la proliferazione a livello locale”: peccato ci sia già una regia nazionale (della Consip), grazie alla quale l’ultimo acquisto di autobus è costato il 20% in più rispetto alle singole capacità di acquisto delle aziende, suscitando anche una protesta delle imprese private.

“Promuovere il trasporto sostenibile e le relative infrastrutture come ad esempio le stazioni di ricarica elettrica, anche private). Incentivare il rinnovo dei mezzi commerciali privati (ad es navi, furgoni, camion) con tecnologie alternative meno inquinanti”: lo Stato dovrebbe quindi pagare nuovi furgoncini meno inquinanti anche ad Amazon o alle grandi compagnie di navigazione? Non sarebbe meglio emanare delle rigide traiettorie normative che definiscono un arco di tempo entro cui ridurre le emissioni dei mezzi di trasporto?

“Prevedere incentivi per facilitare la conversione della filiera degli idrocarburi per uso trasporti verso i biocarburanti attraverso la chiusura e bonifica dei punti vendita”: la conversione ecologica dovrebbe invece essere pagata prevalentemente dalle compagnie petrolifere operanti nel nostro Paese, utilizzando quote dei loro profitti e dovrebbe essere vietata l’apertura di nuovi distributori di cui l’Italia abbonda (sono il doppio di quelli francesi).

Spostandoci all’ambito “Porti e Ferrovie”, leggiamo: “Predisporre un piano ‘intermodale’ su scala nazionale per la logistica merci, con focus sull’ammodernamento dei porti e sull’espansione della rete ferroviaria per il trasporto merci”. In questi settori i piani si sprecano e le risorse pubbliche anche. I dati di contesto forniti dicono che l’Italia è al 17° posto per competitività delle infrastrutture di trasporto. A parità di reti o di punti di rete la produttività delle nostre infrastrutture è nettamente più bassa di quelle europee: segno di una gestione poco efficiente. Il punto non è aumentare la capacità delle infrastrutture ma gestire al meglio quelle che già ci sono. Infatti i troppi aeroporti (ben 36) portano ad una produttività media di 4,4 milioni di passeggeri anno in Italia contro i 15 milioni della Gran Bretagna e i 13 milioni della Germania. Sui 17 mila km di rete ferroviaria ogni abitante percorre 715 km l’anno mentre in Francia ogni abitante ne percorre il doppio (1.405). Per non parlare delle centinaia di porti italiani che da soli sviluppano un traffico pari a quello di Rotterdam.

“Definire un piano strategico dei poli logistici intermodali, inclusivo dei poli strategici del Sud Italia – Sbloccare la realizzazione di infrastrutture logistiche già approvate, ma mai iniziate o fortemente rallentate (ad es., Terzo Valico dei Giovi – Corridoio Genova-Rotterdam)”: il terzo valico è stato fermato dalla magistratura. Ma il team Colao come spiega che i container in arrivo dall’Asia a Rotterdam debbano poi tornare in treno a Genova? O i container ci arrivano direttamente perché il porto è competitivo, e allora serve un potenziamento ferroviario per il nord Italia e per l’Europa, oppure il terzo valico non serve a molto.

“Misure per il potenziamento dei porti e dei loro collegamenti terrestri”: i nostri porti, schiacciati tra il mare e città caotiche (e magari dalle colline) dove trovano gli spazi per il potenziamento dei loro collegamenti terrestri? Tali investimenti avrebbero, se mai fossero possibili, costi stratosferici. Meglio sarebbe concentrarsi anche in questo settore su pochi porti strategici e verificarne la produttività a valle degli investimenti, cosa fastidiosissima per i decisori politici.

“Estendere i corridoi ferroviari merci europei, attivati e in corso di attivazione, sino all’interno dei porti gateway internazionali”: questo costoso intervento è pienamente condivisibile, ma non può che risultare vano se l’operatore quasi monopolistico Mercitalia (gruppo FS) grazie alla sua inefficienza mantiene tariffe e prezzi che sono superiori del 30% a quelli dei Tir, con tempi di consegna nettamente superiori.

Se gli investimenti si orienteranno solo alle infrastrutture fisiche, poi, diventerà impossibile conseguire l’obiettivo di “Promuovere e incentivare le iniziative già completate di digitalizzazione dei porti (ad es., sdoganamento in mare, fascicolo elettronico, fast corridor) da parte della Agenzia delle Dogane”. La spesa pubblica dovrebbe essere orientata alla informatizzazione delle reti e dei punti di rete non a nuove colate di cemento. Così come ci si sarebbe aspettati la proposta di una bella sforbiciata a porti e aeroporti inutili e costosi ma che fanno consenso.

Il futuro dei trasporti delineato dal Piano Colao, invece, è senza concorrenza (il superamento degli affidamenti diretti causa del disseto delle aziende non viene neppure menzionato) e con tanta spesa pubblica improduttiva. Per concludere, il risultato di tanto sforzo è un documento dai titoli accattivanti, ma che propone un meccanismo di spesa che resta sempre lo stesso: irresponsabile.

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