Maradona, Careca, Carnevale: un gran bell’attacco quello del Napoli del 1988-89. In grado di farne 5 alla Juve a Torino e 4 al Milan di Sacchi al San Paolo nella gara successiva e di portare la Coppa Uefa sotto l’ombra del Vesuvio. Cosa ci faceva con questi campioni Raffaele Di Fusco, storico secondo portiere azzurro (con una parentesi al Toro) dagli scudetti alla retrocessione? Eppure 31 anni fa era lì, maglia numero 14 addosso, a cercare di emulare i suoi ben più titolati colleghi.
È una lunga storia. Era il Napoli di Diego e di Bianchi: due anni prima era arrivato uno storico scudetto, il primo della storia azzurra, nella stagione precedente il successo non era stato bissato per via della sanguinosa sconfitta in casa contro il Milan di Sacchi. Dopo quella gara, l’ammutinamento dei senatori azzurri contro Bianchi: Garella, Bagni, Giordano, De Napoli, Ferrara, Francini e ovviamente Diego, nulla che non volesse Diego poteva accadere in quello spogliatoio.
Ferlaino però scelse il mister, vendendo 4 capi-rivolta: Garella, Bagni, Giordano e Moreno Ferrario. Sacrificabili per età, diversamente da De Napoli, Ferrara e Francini. Di Maradona inutile parlarne: venderlo, pur volendo, è come firmare per una rivoluzione. Con rapporto di forza “chi firma vs resto del mondo”. Dal mercato arrivano Corradini, Alemao, Crippa, Fusi e Neri: l’obiettivo è tornare campioni d’Italia, ma è la stagione sbagliata. Perché il Napoli di Bianchi fa pure bene, chiudendo il girone d’andata secondo a un punto dalla capolista. Che però è l’Inter di Trapattoni ed è uno schiacciasassi. In compenso arriva la vittoria in Coppa Uefa: un trofeo internazionale in bacheca è un enorme traguardo per Maradona e compagni.
Dopo la vittoria di Stoccarda, al Napoli rimane la finale di Coppa Italia. Le 6 partite di campionato sono praticamente inutili, perché l’Inter è a 7 punti di vantaggio dagli azzurri secondi e nell’epoca dei due punti a vittoria è evidente che la squadra del Trap e di Pellegrini sia già virtualmente campione d’Italia. Succederà prima dell’11 giugno, giorno in cui il Napoli deve giocare ad Ascoli, contro l’ex Bruno Giordano.
Maradona non c’è, Tapie gli ha promesso mari e monti a Marsiglia, lui a Napoli si sente schiavo, in particolare di se stesso, e fa le bizze. Non c’è neppure Carnevale, la lista degli infortunati è lunga e Bianchi è in rotta anche con la società: la 10 di Diego finisce sulle spalle di un ragazzino napoletano, Bucciarelli, in panchina vanno 3 soli calciatori, Ciccio Romano che pure è infortunato, un ragazzino leccese di nome Portaluri e Raffaele Di Fusco, ma non da secondo portiere, da attaccante.
“Di Fusco è più forte degli attaccanti della Primavera”, sarebbe la motivazione ufficiale di Bianchi. In molti vedono una polemica del mister nei confronti dalla società. In gara naturalmente prevalgono le motivazioni dell’Ascoli che deve salvarsi e passa prima con Cvetikovic e poi con Giordano su rigore, ma a 10 minuti dalla fine si fa male pure Careca: Ciccio Romano è in panca per onor di firma e quindi entra Di Fusco. Tifosi increduli, calciatori pure: il portiere dell’Ascoli, il compianto Pazzagli, vedendo il collega arrivare in area lancerà il pallone fuori per capire cosa stesse succedendo.
Prezioso il suggerimento di Giordano ai suoi, di marcare strettissimo l’ex compagno, visto che sul successivo calcio d’angolo il buon Di Fusco impegnerà Pazzagli con un bel colpo di testa da calcio d’angolo. E la foto di Di Fusco che esce dal campo a fine gara abbracciando Pazzagli e ridacchiando con lui resta un ricordo indelebile di quella giornata. E chissà, imitando Enrique, quello che sostiene di aver fatto l’assist a Diego per il gol del secolo contro l’Inghilterra ( “Gran gol, ma col passaggio che gli ho fatto se non la buttava dentro era da ammazzarlo”), Di Fusco avrebbe potuto dire che con Diego alla battuta di quel calcio d’angolo, lui, in quella partita, avrebbe pure fatto gol.