La procuratrice capo di Bergamo, Maria Cristina Rota, smentisce di aver attribuito la responsabilità della mancata istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo al governo. “No. Avevo dichiarato che dalle dichiarazioni che avevamo in atto c’era quella in quel momento. Oggi non ho altro da aggiungere”, ha risposto la pm ai cronisti uscendo da Palazzo Chigi, dove oggi ha ascoltato come persone informate sui fatti – e quindi come semplici testimoni – il premier Giuseppe Conte e i ministri Luciana Lamorgese e Roberto Speranza. “Ho voluto chiarire tutti i passaggi nei minimi dettagli”, ha spiegato il premier dopo l’audizione. Che, ha raccontato la pm Rota, “si sono svolte in un clima di massima distensione e di massima collaborazione istituzionale”. “Ora – ha aggiunto la procuratrice – noi ce ne andiamo, grati delle dichiarazioni che abbiamo avuto, a completare il nostro lavoro”.

La risposta della pm arriva a due giorni di distanza da quella dichiarazione, in cui aveva spiegato che “agli atti” che risultavano in quel momento in possesso della procura “ci risulta una decisione governativa” quella di non istituire le zone rosse. Una frase utilizzata oggi da Matteo Salvini per attaccare Conte e il governo: “Non commento con parole mie ma con quelle del pm di Bergamo: spettava al governo creare le zone rosse, la Regione Lombardia non aveva alcuna responsabilità”, ha detto il leader della Lega. Il senatore del M5s Elio Lannutti su Twitter ha invece attaccato la procuratrice: “Sbaglio, o si tratta della stessa pm che ha già emesso sentenza assolutoria in Tv per Fontana?“, ha scritto il pentastellato, secondo il quale “se ci fosse un Csm, sarebbe già intervenuto“.

L’audizione del premier Conte a Palazzo Chigi è durata circa tre ore. La capa della procura di Bergamo è entrata nella seda del governo pochi minuti prima delle dieci, accompagnata da tre sostituti: Paolo Mandurino, Silvia Marchina e Fabrizio Gaverini. I pm hanno sentito poi la ministra dell’Interno Lamorgese, per circa un’ora, e subito dopo il titolare del dicastero della Salute Speranza. “Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza, dal capo dell’Oms al sindaco del più piccolo Paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte. È la bellezza della democrazia. È giusto che sia così. Da parte mia ci sarà sempre massima disponibilità nei confronti di chi sta indagando”, scrive in un post su Facebook il ministro Speranza.

Già dalla prossima settimana gli inquirenti dovranno fare il punto della situazione e valutare se si sia trattato di un atto politico o amministrativo ed eventualmente configurare un reato e i presunti responsabili. Sulla questione in più occasioni c’è stato un rimpallo di responsabilità fra la Regione Lombardia e l’esecutivo, che ha rimarcato come la giunta Fontana avrebbe comunque potuto chiudere l’area. Gli inquirenti, in base a tutte le testimonianze raccolte, comprese quelle del presidente della Lombardia Attilio Fontana, dell’assessore al Welfare Giulio Gallera, e di Marco Bonometti, alla guida della Confindustria lombarda, dovranno quindi stabilire innanzitutto se il mancato isolamento dei due Comuni all’ingresso della Val Seriana, nonostante gli ‘alert’ del presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, e la trasformazione di tutta la Lombardia in zona rossa operativa dal 9 marzo scorso, sia stato un atto politico discrezionale o di mera amministrazione che come tale possa portare a responsabilità penali. Fatta questa valutazione, il pool di pm coordinati da Rota dovrà eventualmente stabilire in capo a chi siano le responsabilità e ipotizzare un reato. Reato che potrebbe essere epidemia colposa omissiva o ancora omissione di atti di ufficio. Altra scelta che i pm dovranno fare, ma in un secondo momento, è se proseguire l’inchiesta o trasferire gli atti ad altra procura.

“Rifarei tutto perché ho agito in scienza e coscienza” – Ieri alcuni cronisti hanno chiesto all’inquilino di Palazzo Chigi se per caso temesse di uscire da indagato dall’incontro con i pm. “Non lo temo affatto – aveva risposto Conte – Sono assolutamente disponibile per informare doverosamente il pm su tutte le circostanze di mia conoscenza”. Ma se tornasse indietro il premier ordinerebbe la zona rossa per quei comuni diventati simbolo dell’epidemia? “No, perché ho agito in scienza e coscienza”. Le audizioni di Conte, Lamorgese e Speranza servono a ricostruire i giorni d’indecisione all’inizio di marzo: c’erano i morti che continuavano ad aumentare, c’era l’ospedale di Bergamo già sotto pressione e poi quelle le bare portate via dall’esercito. Eppure l’ordinanza di isolare l’area tra Nembro e Alzano nella Bergamasca, come era avvenuto per i comuni del Lodigiano, non è mai arrivata, nonostante i militari dell’esercito fossero pronti a bloccare le vie di accesso ai due centri. La mancata istituzione della zona rossa è stato oggetto di polemiche, ma è diventata anche un fascicolo di inchiesta. Avrebbe potuta ordinarla il governo, ma pure il governatore Attilio Fontana, emulando il suo collega Stefano Bonaccini. “A Medicina, la zona rossa l’abbiamo fatta di notte, è stata una decisione politica difficile, e poi abbiamo informato il governo che ci ha consentito di poterla fare”, ha raccontato ieri il governatore dell’Emilia-Romagna.

L’inchiesta – In Lombardia non andò così. E dunque chi decise di non chiudere Nembro e Alzano, 24mila abitanti, 400 aziende, 3.700 dipendenti e 680 milioni di euro all’anno di fatturato? E lo fece per negligenza, per scelta politica o perché le pressioni della lobby imprenditoriale erano troppo forti? Dopo aver ricostruito quel che accadde nei giorni tra il 3 e il 7 marzo, servendosi anche di tutta la documentazione e i carteggi raccolti tra l’istituto Superiore di Sanità, il governo centrale e quello regionale, i pm dovrebbero stabilire se si sia trattato di atti da incasellare in scelte politiche o se ci siano o meno responsabilità penali, quale sia l’ipotesi di reato, e in capo a chi.

La ricostruzione dal 27 febbraio al 3 marzo – A questo proposito, le ricostruzioni delle dichiarazioni pubbliche rendono l’idea di cosa è successo nelle settimane incriminate. La serie inizia il 27 febbraio, quando l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera dice che si stava “guardando con attenzione alla zona di Alzano Lombardo” anche se “al momento”, disse, “non c’è nessuna ipotesi di introdurre nuove zone rosse”. L’ipotesi si fa concreta il 3 marzo. “Abbiamo chiesto all’Istituto Superiore di Sanità di fare valutazioni e suggerire a noi e al governo le migliori strategie”, disse l’assessore in conferenza stampa. E proprio il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico dice che sarebbe stata necessaria la chiusura della zona. Da qui la richiesta di approfondimenti da parte del premier Conte per sapere se sarebbe bastata o se andasse chiusa tutta la Lombardia.

Brusaferro e l’esercito: il 5 marzo – Due giorni dopo, il 5 marzo, Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore della Sanità – già interrogato dai pm di Bergamo – risponde che la zona rossa ad Alzano e Nembro va fatta. A testimoniare che si sta più che pensando di delimitare l’area ci sono le segnalazioni degli abitanti della zona sull’arrivo dell’esercito e delle forze dell’ordine. Il 5 marzo è Gallera ad annunciare che dopo la richiesta degli “esperti dell’istituto Superiore di Sanità” la Regione ha dato “l’assenso ma ora il governo deve fare le sue valutazioni“. Ed è sempre lui a sbottare il giorno dopo: “l’Iss aveva formulato una richiesta precisa al governo. Se questa risposta fosse arrivata tre giorni fa avrebbe evitato di lasciare nell’incertezza i cittadini”.

Niente zona rossa: 8 marzo – L’incertezza finisce l’8 marzo quando un decreto della Presidenza del Consiglio, che entra in vigore il 9, decide la chiusura di tutta la Lombardia e di 14 province. Non in modalità “zona rossa”, ma in una versione meno restrittiva, che fu ribattezzata “zona arancione. Da lì scoppia la polemica sulla mancata istituzione della zona rossa nella media Val Seriana. Il 2 aprile il governatore Attilio Fontana, in risposta alla lettera di alcuni sindaci, fra cui quello di Bergamo Giorgio Gori, sulla gestione dell’emergenza spiega che “una volta accertato che anche le zone di Alzano Lombardo e Nembro”, nel Bergamasco, “si configuravano come cluster, abbiamo chiesto invano al governo”. “Mi è stato chiesto se il governatore della Lombardia poteva assumere ordinanze più restrittive e abbiamo risposto che non abbiamo impedito di farlo – ha puntualizzato il 6 aprile il premier Conte -, lo hanno fatto altri governatori. l’istituzione di nuove Zone Rosse comprendenti quei Comuni”. Adesso la questione è sul tavolo dei pm di Bergamo che su questo hanno già ascoltato Fontana e Gallera. Oggi è toccato a Conte.

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