Si chiamava Ben Ali Mohamed, detto Bayfall, aveva 37 anni. È rimasto ucciso in un rogo, il quarto dall’inizio dell’anno nel ghetto di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia, uno dei tanti piccoli inferni che costellano le campagne italiane, dove sopravvivono ammassati in condizioni indegne esseri umani extracomunitari senza i quali non arriverebbe la frutta e la verdura sulle nostre tavole.

Le cause dell’incendio non sono ancora note, quel che è noto da fin troppo tempo invece, nell’indifferenza delle autorità e dei cittadini, è che in Italia è tollerato qualcosa che non mi sembra eccessivo definire “schiavismo”, dozzine di inchieste, denunce, proteste dei sindacati, hanno accertato che il sistema agroalimentare si regge sul lavoro sfiancante e senza diritti di centinaia di extracomunitari, per lo più senza documenti in regola, che si dannano l’anima per 3/4 euro all’ora costretti a subire soprusi e angherie di ogni tipo dai caporali.

Mi accodo allo sdegno di Aboubakar Soumahoro che giustamente ha osservato che il governo è indifferente al dolore di esseri umani trattati peggio di merce usa e getta. È stato ucciso dalla miseria Bayfall, da quel morso allo stomaco che ti spinge a rischiare la tua vita per tentare la fortuna in un Paese straniero che ti avevano descritto come civile e avanzato e che invece offre ai suoi lavoratori baracche di fortuna senza acqua né luce né gas e li lascia alla mercé di un sistema consolidato, con al suo vertice i grandi nomi dell’agroalimentare, che li divora come pedine di un gioco più grande di loro.

Da avvocata mi chiedo come sia possibile che questo scempio vada avanti da anni sotto gli occhi di tutti, e l’unica risposta che riesco a darmi è che fa comodo a troppi, compresi quelli che sono rappresentanti della legge e sarebbero tenuti a farla rispettare. Per questo sono e sarò sempre al fianco di chi, come Aboubakar, non si arrende e continua testardamente a chiedere dignità e giustizia.

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