Un uomo e una donna di gran bell’aspetto, completamente nudi, attraversano il vialetto e suonano alla porta di una casa. Ad aprire una signora in accappatoio, che non si scompone più di tanto del costume adamitico degli avventori, quanto del fatto che i due chiedano del figlio. “Salve, suo figlio Matt ci sta guardando in Internet, su ogni device che avete a casa. Siamo attori di film per adulti, ma Matt è ancora un ragazzino, e forse non ha chiara la differenza tra il porno online e le relazioni reali”.

Il video, prodotto a cura del governo neozelandese è un ottimo esempio di buona pratica istituzionale per sensibilizzare in primo luogo la famiglia, e in generale le persone adulte di riferimento, a prendere finalmente parola con figli e figlie sulla sessualità.

Nel video viene rimarcata una verità assoluta eppure rimossa nel discorso pubblico, sia educativo che culturale, che già nel 2014, nel suo Ted dal titolo Why it’s time for porn to change (Perché è ora che il porno cambi) l’attivista femminista e regista Erika Lust enunciava forte e chiaro: oggi i giovanissimi di entrambi i sessi apprendono la sessualità attraverso i canali online che rendono disponibile ogni tipo di pornografia in modo gratuito e immediato.

Una prova molto concreta e inquietante di questo fatto l’ho avuta ponendo una domanda su come influisca la pornografia nella loro esperienza di vita a oltre 1500 studenti di cinque istituti superiori italiani, risposte riportate poi nel libro Crescere uomini. Le risposte dei ragazzi su sessualità, pornografia, sessismo. Dalle loro risposte si apprende che questi materiali, se visti da adolescenti, o peggio ancora nell’età infantile, rischiano di azzerare la differenza tra pornografia e sessualità, creando una pericolosa confusione, come spiegarono Chyng Sun e Robert Wosnitzer nel documentario The price of pleasure: pornografy, sexuality and relationship, realizzato nel 2008.

Nell’incipit del cortometraggio, un viaggio impressionante e dolorosamente puntuale nel mercato della produzione dell’intrattenimento globale per adulti, che svela le profonde interconnessioni tra questo traffico, la politica e il potere di orientamento culturale sulla sessualità, spicca una considerazione: “C’è chi dice che criticare la pornografia è essere contro il sesso. Come dire che siccome critico il Mac Donald allora sono contro il cibo. La domanda che ci dobbiamo porre è: in che modo la pornografia influisce sulle relazioni tra i generi, sulla nostra stessa identità sessuale, sui comportamenti sessuali tra le persone?”.

Il documentario, che difficilmente in Italia potrebbe essere proposto a scuola (e che invece sarebbe importantissimo da mostrare al mondo adolescente, visto che con i cellulari i nostri figli e le nostre figlie possono accedere a qualunque forma di pornografia sin dalle elementari), si dilunga molto anche su un aspetto non secondario.

Parliamo del volume economico enorme di questa industria, che è appunto una industria, perfettamente legittimata anche da insospettabili fonti, tra cui le serissime reti televisive di livello mondiale, moralisteggianti in prima serata e nei dibattiti mentre poi contribuiscono, con pacchetti di azioni, alla produzione per il mercato “notturno”.

Per non parlare della potente lobby dell’industria dell’adult entertainment che negli ultimi decenni ha influenzato e spostato il voto, per esempio negli Usa, tanto quanto la lobby delle armi. Sempre in The price of pleausure apprendiamo che uno dei più famosi produttori di materiale porno per adulti (la cui storia familiare è stata raccontata in diverse puntate da una serie tv arrivata anche in Italia) è riuscito a fare modificare una legge statunitense nella quale il divieto di commercio di materiale pedopornografico è stato “alleggerito”, dopo le pressioni della lobby che si è presentata con un pacchetto di voti non indifferente da offrire in cambio.

Grazie alla negoziazione con alcuni esponenti politici è sì ancora vietato usare minori nei film pornografici: ma dal 2010, se i corpi delle bambine e dei bambini non sono veri, cioè se si usano degli avatar realizzati a computer per scene sessuali con minori, allora non è reato e il materiale può essere prodotto e circolare.

Il governo neozelandese, non a caso presieduto da una giovane politica, Jacinda Ardern, molto attiva sui temi dei diritti delle donne, ha lanciato la campagna informativa Keep It Real per responsabilizzare il mondo adulto su bullismo, hate speech e porno online, pensando anche a video “leggeri” ma efficaci come quello con i due attori nudi.

Chissà che, a proposito di legami stretti e inquietanti tra sesso e mercato, la Arden non abbia il coraggio di mettere mano alla brutta legge che nel 2003 ha liberalizzato la prostituzione, facendo un altro passo avanti verso la responsabilità collettiva nei confronti di una reale parità ed equità tra i sessi e una cultura nonviolenta delle relazioni tra i corpi.

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