“Mi sembra che sia l’esatto opposto, da almeno due o tre settimane abbiamo avuto forti pressioni da parte dei gestori delle strutture affinché si riaprissero i ricoveri”. Ernesto Palummeri, l’ex primario dell’ospedale Galliera di Genova in pensione che è stato richiamato in servizio dall’Azienda ligure sanitaria (Alisa) per gestire l’emergenza Covid dentro le Rsa, respinge le accuse al mittente. Non è Alisa a spingere le strutture per anziani a far ripartire i ricoveri fermi da mesi, ma sono stati gli stessi gestori a premere per riaprire ai nuovi ospiti, mentre i parenti degli attuali residenti resteranno fuori ancora un po’. O meglio, chi entrerà da qui a fine mese lo farà non per delibera regionale, come invece avvenuto per i ricoveri con la deliberazione del 21 maggio scorso, ma alla luce di un protocollo definito dalla struttura stessa sotto la propria responsabilità. La dialettica, insomma, è tutto ed è molto sottile in questa fase della pandemia in Liguria, la regione più vecchia d’Italia che come tale ha pagato un conto molto salato per il Covid, se si pensa che a fine aprile un tampone positivo su due veniva da una Residenza sanitaria assistenziale per anziani.
“Non mi risulta che Alisa abbia questo gran desiderio di far ripartire i ricoveri, anzi. Comunque è per certi versi comprensibile, perché queste aziende hanno perso parecchi posti con conseguenze immaginabili sui loro conti. Abbiamo quasi duemila posti vuoti in Liguria nel settore anziani, questo anche dal punto di vista del bilancio per le strutture ha un peso. D’altro canto, c’è la richiesta dei familiari di avere risposta alle richieste di ricovero, perché ci sono delle situazioni che obiettivamente sono oltre il limite e i tempi di attesa si sono prolungati per tre mesi…”
Non è paradossale che ci si preoccupi del fatturato delle strutture, mentre ci sono anziani sopravvissuti al virus che non vedono i loro cari da mesi?
No, la mia impostazione è che l’apertura avvenga nella massima sicurezza possibile. Chiaramente i nuovi ingressi non sono riattivati per venire incontro alle esigenze di bilancio delle strutture, che per altro fanno vivere anche più di diecimila operatori con il relativo indotto familiare. Abbiamo quotidianamente contatti con famiglie che sono in difficoltà nella gestione di persone che prima del coronavirus erano in stato di imminente ricovero che è rimasto tale. E poi il ricovero è molto più semplice dal punto di vista della sicurezza, perché una persona che deve entrare segue un percorso che mette in buona parte al riparo da sorprese. Per quanto riguarda invece i familiari, la situazione è un po’ più a rischio, perché le Rsa sono il terminale dell’infezione e tutto quello che viene dall’esterno rischia di infettare la comunità.
Ma qualcuno ha già iniziato ad aprire ai parenti, com’è possibile?
Le strutture residenziali sono molto differenziate le une dalle altre. Alcune sono in condizione di non riuscire a mettere in sicurezza l’aspetto delle visite con locali appositi o spazi esterni e su questo è difficile poter intervenire. Altre strutture invece hanno la possibilità di farlo. Perciò non c’è un divieto assoluto, ma ci rifacciamo a quanto contenuto nell’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che demanda alla singola struttura, al singolo direttore sanitario, l’eventuale decisione di poter far vedere o meno in sicurezza i parenti ai pazienti. Sempre rispettando tutte le norme, con un numero limitato di accessi, prendendo appuntamento in modo che non ci siano accavallamenti. Alcune strutture hanno già mandato ad Alisa un modello di comportamento riguardo alle visite e hanno iniziato o stanno iniziando, ad aprire in sicurezza ai parenti. Quindi la norma cautelativa per il momento blocca gli accessi, però in certe situazioni, laddove possibile e il direttore sanitario ritiene di poter procedere, si procede.
Qual è la differenza tra un parente e un nuovo ospite?
La modalità d’ingresso in Rsa oggi è tra le più sicure. Non entrano pazienti positivi, entrano pazienti che hanno fatto un tampone negativo nelle precedenti 48 ore, che fanno una settimana di isolamento e alla fine di questa settimana fanno un tampone che deve essere negativo. Altrimenti questa persona dovrà andare in una struttura covid. Questa modalità garantisce molto, ma non può essere adottata per i parenti che devono visitare i loro cari: vorrebbe dire mettere in isolamento l’ospite ogni volta che riceve una visita. Ormai siamo arrivati a una svolta e potremmo rischiare di perdere tutto per non aver saputo aspettare altri dieci giorni. Non c’è nessuna animosità.
Come fate ad avere l’esito di un tampone in 48 ore, quando il tempo di attesa medio per avere il referto è di una settimana?
Oggi la situazione è complessivamente migliorata, perché i tempi di risposta del tampone si sono notevolmente contratti: generalmente entro le 48 ore riusciamo ad avere l’esito. Comunque adesso sono disponibili i nuovi test rapidi, l’esame antigenico, che danno la risposta in pochi minuti. Sicuramente verranno usati in pronto soccorso, ma pensavamo di usarli anche nelle strutture residenziali.