Sulla morte del 26enne, ucciso il 13 agosto 1999 nella caserma Gamerra di Pisa, sta procedendo anche la magistratura militare che ha chiesto il processo per tre ex caporali. Anche la procura ordinaria li accusa di omicidio. Sotto inchiesta anche l'ex generale e un ex ufficiale. Il pm: "Livello di conoscenza dell’episodio immediato anche nella struttura di comando, comportò una serie di reazioni e di organizzazioni di cose che furono messe in atto"
Emanuele Scieri cadde dalla torre di asciugatura dei paracadute perché venne spinto mentre fuggiva. Un volo di dieci metri che ne avrebbe provocato la morte e, quando il suo cadavere venne ritrovato, tre giorni dopo, l’allora catena di comando della caserma Gamerra di Pisa si attivò per precofenzionare una tesi difensiva di fronte alle indagini sul decesso del giovane allievo paracadutista della Folgore. A quasi 21 anni di distanza, è questa la ricostruzione sulla morte del 26enne, avvenuta il 13 agosto 1999, fornita dalla procura di Pisa al termine dell’inchiesta che vede indagati 5 tra militari ed ex militari che all’epoca erano tutti in servizio nella caserma pisana.
Le persone sono accusa – Oltre ad Alessandro Panella, già caporale dell’Esercito in congedo, Luigi Zabara, già caporale dell’Esercito in congedo, e Andrea Antico, caporal maggiore capo scelto dell’Esercito in servizio, tutti accusati di omicidio volontario in concorso aggravato motivi abbietti e futili, i magistrati hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini anche al generale Enrico Celentano, da tempo in pensione, al quale è stato contestato di aver reso false dichiarazioni al pm, e a una quinta persona, l’ex ufficiale Salvatore Romondia, 73 anni, il quale un’ora dopo il ritrovamento del cadavere chiamò Panella.
“La catena di comando sapeva” – “Abbiamo elementi che sul piano indiziario ci danno dimostrazione del fatto che il livello di conoscenza dell’episodio relativo alla morte di Scieri fu abbastanza immediato”, ha spiegato il procuratore capo di Pisa, Alessandro Crini, anche da parte della “struttura di comando” e “comportò una serie di reazioni e di organizzazioni di cose che furono messe in atto”. In altri termini: “Le cosiddette coperture”. La telefonata “risulta dai tabulati”, ha puntualizzato Crini ed è stata effettuata “un’ora dopo il ritrovamento del cadavere, il 16 agosto, e compare tra decine di altre chiamate indirizzate a vari comandi”. Quella, invece, “della durata di 4 minuti, è destinata all’abitazione romana della famiglia Panella e assume, per noi, una rilevanza significativa”.
“In caserma clima incandescente” – Crini ha anche spiegato che l’inchiesta ha cercato “di ricostruire contesto e antefatto” portando alla scoperta di “una situazione molto incandescente dentro” la caserma e “apprendiamo che già in quei giorni c’era stato avvicendamento ai vertici proprio per queste tensioni che esistevano”. Sulla morte di Scieri sta procedendo anche la magistratura militare che ai primi di giugno chiesto il rinvio a giudizio per i due ex caporali e per Antico, oggi ancora in divisa, accusati di violenza a inferiore mediante omicidio pluriaggravato in concorso: il 17 luglio fissata l’udienza preliminare. Alessandro Panella fu anche arrestato nell’estate 2018 in esecuzione di una misura cautelare perché gli inquirenti temevano potesse scappare negli Usa dove da tempo viveva.
La nuova inchiesta – Il caso era stato archiviato come suicidio ma l’impulso alle nuove indagini è stato dato dalla commissione parlamentare di inchiesta che nel dicembre 2017 concluse i lavori trasmettendo gli atti alla procura di Pisa, che ha sviluppato la nuova inchiesta con il pm Sisto Restuccia. La svolta è arrivata grazie alla nuova perizia svolta dalla professoressa Cristina Cattaneo, ordinario di Medicina Legale all’università degli studi di Milano e direttore del Labanof – Laboratorio di antropologia e odontologia forense – sui resti riesumati del 26enne parà siracusano. Quello compiuto dalla dottoressa Cattaneo è stato definito dagli investigatori un lavoro di “autentica archeologia forense”, perché il perito è andato a caccia di nuove lesioni (rispetto a quelle già evidenziate da precedenti esami autoptici) a sostegno del copione accusatorio secondo il quale i tre ex caporali Antico, Panella e Zabara volevano punirlo perché stava telefonando. Per questo, sostiene la procura, lo percossero, lo costrinsero a salire su una torre da cui lo fecero cadere.
La ricostruzione – A Scieri “prima fu ordinato di svestirsi parzialmente poi fu percosso” e quando si rivestì per sfuggire alle violenze “tentò di salire sulla scala della torretta” arrampicandosi “dalla parte esterna”. Sarebbe stato inseguito da Panella, “passato da dentro”, che lo avrebbe “continuato a colpire: lo testimoniano le lesioni a mani e corpo di Scieri, che gli fanno perdere la presa e precipitare da 10 metri”, è la ricostruzione della procura. Nonostante diversi colleghi riferirono che il giovane era tornato in caserma, Scieri viene dato per non rientrato: a quell’ora probabilmente era già morto o agonizzante. Il cadavere è rimasto ai piedi della scala della torre di asciugatura dei paracadute – posto solitamente frequentato dagli ‘anziani’ della caserma – per tre giorni. Il suo corpo venne ritrovato solo il 16 agosto.
I pm: “Capar ha collaborato” – Nell’estate del 2018 c’era stata la prima svolta nelle indagini, con l’arresto di Alessandro Panella, caporale e capocamerata a cui era stato assegnato Scieri e vennero iscritti nel registro degli indagati anche Andrea Antico e Luigi Zabara. La nuova pista seguita dagli inquirenti era quella del nonnismo: stando alla commissione di inchiesta parlamentare, istituita nel 2016 e conclusa a dicembre 2017, nella caserma “avvenivano gravi atti di violenza, non riconducibili a semplice goliardia”. Secondo l’accusa, la sera del 13 agosto del 1999 i tre indagati dopo aver fatto spogliare e dopo aver picchiato Scieri, ‘scoperto’ mentre era al telefono, lo avrebbero obbligato a salire sulla torre di asciugatura e poi avrebbero fatto pressione con gli scarponi sulle nocche delle dita. Di qui la caduta a terra della recluta e la fuga dei caporali. “In questi due anni di lavoro l’attuale catena di comando del Capar”, il centro addestramento paracadutisimo che ha sede alla caserma Gamerra di Pisa, “ha dato piena collaborazione al nostro lavoro”, ha detto il procuratore capo di Pisa.