Martedì mattina l'ex assessore di Milano e cronista di Mediaset avrà modo di fornire la sua versione dei fatti davanti alla gip Lidia Castellucci, che poi dovrà decidere sulla convalida dell’arresto e sulla misura cautelare in carcere richiesta dal pm Donata Costa. Il verbale della donna che lo accusa: "Mi ha minacciato di fare quanto mi stava ordinando altrimenti ci sarebbero state conseguenze peggiori. Ho sperato nella fine dell'incubo"
“Paolo ha abbassato la saracinesca del garage, con noi due soli all’interno. Lì ho avuto per la prima volta sentore che le reali intenzioni di Paolo fossero malevole o ingannevoli”. In altre parole, la sensazione “di sentirmi in trappola”. Il racconto è circostanziato, preciso, puntuale. Una ricostruzione credibile, secondo investigatori e procura di Milano, quella fornita dalla donna 56enne che accusa Paolo Massari, ex assessore all’Ambiente del Comune di Milano e giornalista di Mediaset, di averla picchiata e violentata sabato sera nella sua abitazione in zona Porta Venezia. Martedì mattina Massari avrà modo di fornire la sua versione dei fatti davanti alla gip Lidia Castellucci, che poi dovrà decidere sulla convalida dell’arresto con l’accusa di violenza sessuale e sulla misura cautelare in carcere richiesta dal pm Donata Costa.
Stando alle indagini, Massari sabato sera si è dato appuntamento con la donna, un’amica di vecchia data che aveva frequentato il suo stesso liceo. Lei gli avrebbe chiesto aiuto e consigli per via del delicato momento professionale che stava attraversando a causa dell’epidemia di coronavirus. I due dopo un aperitivo hanno deciso di andare a cena. A quel punto, secondo la ricostruzione della polizia, il giornalista ha proposto alla donna di lasciare lo scooter nel suo box per poi andare al ristorante. Una volta arrivati nel garage, dal quale si accede direttamente al suo loft seminterrato, lui avrebbe cambiato registro.
“Ipotizzavo ci saremmo diretti a cena in qualche locale della zona”, ha messo a verbale la donna come riporta La Repubblica. Invece, ricorda, “Paolo ha abbassato la saracinesca del garage, con noi due soli all’interno”. In quel momento, aggiunge, “ho avuto per la prima volta sentore che le reali intenzioni di Paolo fossero malevole o ingannevoli”. A quel punto sarebbero iniziate le avances, “alzando la voce, intimandomi e non più chiedendomi di avvicinarmi a lui, infine minacciandomi di fare quanto mi stava ordinando altrimenti per me ci sarebbero state conseguenze peggiori”. Ovvero: “Mi avrebbe aggredito e costretta mio malgrado”.
La donna ha ripercorso anche come si era arrivati all’appuntamento. Il contatto con Massari che, alla sua richiesta di aiuto per il business in crisi a causa del lockdown, avrebbe risposto “spesso spostando il discorso in ambito sessuale e ipotizzando incontri a sfondo sadomaso”. Sembrava finita lì e in un secondo momento, il tono sarebbe cambiato. Fino all’invito a prendere un aperitivo in un noto locale lungo la circonvallazione, senza alcuna allusione. Un drink, due chiacchiere e quindi l’invito al cambio di mezzo. Posteggiare lo scooter in garage e andare a cena in automobile.
Arrivati nel loft, si sarebbe consumata la violenza. “Mi ha strattonato e schiaffeggiato, poi mi ha scaraventato sul divano”. La vittima racconta: “Sempre più terrorizzata, ho capito che ormai Paolo era ingestibile”. Sarebbero seguite altre botte e la violenza: “Ho sperato nella fine dell’incubo. Paolo mi ha intimato di rivestirmi per andare a cena”. A quel punto, sfruttando un momento di distrazione, la donna è riuscita a fuggire e, senza abiti, è stata soccorsa per strada dalle volanti allertate da una coppia di fidanzati che avevano sentito le sue urla appena è arrivata davanti al portone del palazzo. Al Centro Violenze Sessuali della Mangiagalli è stata visitata e ha avuto anche il supporto di uno psicologo. Sconvolta ha denunciato tutto e poco dopo il giornalista, all’interno della cui abitazione la Scientifica ha ritrovato tracce di sangue, è stato arrestato e portato nel carcere di San Vittore.
Massari nel 2010 venne costretto a lasciare il suo incarico a Palazzo Marino in seguito a due lettere inviate all’allora sindaco Letizia Moratti in cui una funzionaria del consolato norvegese e un impiegata denunciavano di aver subito molestie (ma non sporsero mai querela e quindi non venne aperta alcuna indagine), nonostante lui avesse ripetuto di non essere “un molestatore sessuale”.