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di Silvia Grasso

I salotti televisivi di Barbara D’Urso, ormai è noto, non mancano mai della rappresentazione dell’orrore. A suon di “siamo una testata giornalistica”, fanno un servizio pubblico patinato tra mezze verità e informazioni sapientemente pilotate (e alcuni potrebbero osservare che, in questo, non si differenziano poi da altre tv o testate giornalistiche), ma la verità potrebbe essere contenuta in una battuta del film Cado dalle Nubi di Checco Zalone – mi perdonerete, considerando il tema, la citazione colta – “Funziona perché è tremendamente mediocre”. E mediocri, ammettiamolo, sono spesso i contenuti proposti soprattutto perché hanno (tutti) la pretesa di denunciare ingiustizie e criticità della nostra società con una mancanza imbarazzante di approfondimento e preparazione politica.

Ma il problema non è nemmeno Barbara D’urso che è una stacanovista invidiabile ed è senza dubbio una professionista nel suo lavoro. Il problema è quando si supera la linea sottile della satira e intrattenimento, dello spettacolo e delle dinamiche televisive, delle narrazioni di storie, delle interviste e sorprese costruite a tavolino. Il problema è quando ci si allontana dalla recente pena d’amore di Albano&Romina o l’ultima follia di Morgan, e si invita Matteo Salvini a fare campagna elettorale in uno spazio chiamato “Uno contro tutti”: lui da un lato, i tutti dall’altro. Chi sono i tutti?

Che Matteo Salvini sia bravissimo a fare monologhi e che mal tolleri un vero e proprio contraddittorio e confronto politico è cosa nota (e anche comune ormai ad altre figure politiche italiane). Questo ha anche molto a che fare con quella preparazione culturale che nel nostro paese scarseggia ampiamente: del resto, per fronteggiare un contraddittorio bisogna esserne capaci.

Ma che adesso lo faccia davanti a una simpatica Orietta Berti o a un Riccardo Fogli e Fausto Leali che rivendicano il diritto di tornare a cantare e suonare (e ce lo auguriamo tutti perché è evidente che la loro attitudine principale non sia parlare, tanto meno di politica) è un dato considerevole che ci indica la deriva pericolosa verso cui, ormai, ci siamo diretti. E mentre Elenoire Casalegno suggeriva all’ex ministro di parlare con i giovani ventenni lontani dalla (sua) politica e lui rispondeva che ci parla su Tik Tok (qualcuno dica a Matteo Salvini che i ventenni non usano Tik Tok), Costantino della Gherardesca cercava di limitare i danni portando il dibattito sui contenuti reali, per quanto possibile per lo spazio concesso.

La verità è, cara Elenoire, che i ventenni sono interessati eccome alla politica ma non a quel tipo di politica. E questo è certamente un merito delle nuove generazioni, non certo una colpa.

Insomma, nell’ultima puntata andata in onda domenica sera, abbiamo assistito ad uno spettacolo che non si può definire soltanto mediocre; di più: diseducativo, intollerabile. Nel suo essere anormale è, in realtà, un consueto spaccato televisivo a cui ormai ci siamo assuefatti. Ma tra mediocrità e orrore, una frase pronunciata dalla conduttrice mi è suonata particolarmente sgradevole: “L’ondata antirazzista di questi giorni è too much”. Non perderò tempo a ricordare i gravissimi fatti accaduti in queste settimane, ma mi limito a osservare che no, cara Barbara D’urso, l’ondata antirazzista non sarà mai too much. Non lo sarà nemmeno l’ondata antifascista e anti-omofoba. Non sarà mai troppo perché in gioco ci sono le vite delle persone, la dignità, i diritti umani imprescindibili, il nostro futuro e la storia. Si può discutere sulle modalità – nelle sedi adeguate – ma ripetiamolo ancora una volta: l’antirazzismo non sarà mai troppo.

È una frase pericolosamente brutta persino all’interno di un contenitore di intrattenimento, tra soubrette e saltimbanchi.

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