Prosegue il lavoro dell'Antimafia sul caos che si è scatenato nelle carceri durante l'emergenza coronavirus. Giulio Romano, direttore del Trattamento detenuti del Dap, definisce una "svista" la mancata risposta del suo ufficio al tribunale del Riesame che chiedeva penitenziari idonei ad ospitare la mente economica dei Casalesi: "E' stato accertato un errore nell’indicazione della posta elettronica del dipendente del Tribunale di Sassari, imputabile all’ufficio e al personale della direzione che io dirigevo". Il presidente dell'Antimafia lo riconvoca
Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede espresse “apprezzamento” per la circolare del Dipartimento amministrazione penitenziaria del 21 marzo scorso. Ed era presente a una videoconferenza convocata il giorno prima dell’emanazione di quel documento, al centro delle polemiche successive alle scarcerazioni dei boss mafiosi durante l’emergenza coronavirus. A sostenerlo davanti alla commissione Antimafia è chi quella circolare la ha pensata, scritta e diramata a tutte le carceri italiane: Giulio Romano, il direttore del Trattamento detenuti del Dap.
L’audizione del magistrato che si astenne sul bavaglio – Magistrato di grande esperienza, già membro del Csm tra il 2006-2010, Romano viene ricordato come l’estensore della sentenza di condanna disciplinare contro l’allora pm Luigi De Magistris. A Palazzo dei Marescialli fu pure l’unico togato ad astenersi quando il Csm votò contro il bavaglio delle intercettazioni voluto dall’allora guardasigilli Angelino Alfano nel 2009. Per questo motivo nel febbraio scorso a più di qualcuno sembrò strano vederlo nominare al Dap con il Movimento 5 stelle al governo. Ufficio guidato da Francesco Basentini, preferito da Bonafede a Nino Di Matteo nel giugno del 2018 e poi dimessosi nel maggio scorso. Anche Romano ha lasciato il suo incarico il 22 maggio in seguito al clamore scatenato dalle scarcerazioni (“sono state tali da privarmi della serenità“) ma non – sostiene lui – per richiesta del guardasigilli: Bonafede non ha mai chiesto al dg del Dap di dimettersi. In ogni caso Romano è ancora al suo posto, in attesa di essere ricollocato alla procura generale della Cassazione come sostituto: “Non potevo lasciare vacante l’ufficio, non posso nominare un facente funzioni”, ha spiegato nella sua audizione davanti alla commissione Antimafia. Da settimane, infatti, Palazzo San Macuto sta cercando di capire come è nata quell’ormai famosa nota del Dap e se ha avuto come fine proprio la concessione dei domiciliari ai detenuti reclusi in regime di Alta sicurezza e 41bis: in totale sono stati 223 in poco meno di due mesi.
Morra: “Esterrefatto”. E lo riconvoca – Durante le ultime udienze dell’organo parlamentare d’inchiesta Romano è emerso come il personaggio centrale di tutta questa storia, citato più volte dai testimoni auditi sul caos che si è scatenato nelle carceri durante l’emergenza coronavirus. Il presidente dell’Antimafia, Nicola Morra, però non è rimasto soddisfatto dell’audizione. E infatti si è detto “esterrefatto” dell’esposizione di Romano, riconvocandolo per la giornata di domani, 17 giugno 2020 per proseguire l’audizione. A suscitare la reazione di Morra è stato quanto riferito dal magistrato sul caso di Pasquale Zagaria. Mente economica del clan dei Casalesi, Zagaria è uno dei boss reclusi al 41bis che ha ottenuto gli arresti domiciliari durante il coronavirus. “Si è trattato di un grave errore del mio ufficio, già sovraccarico di lavoro”, ha detto il dirigente del Dap. Il 24 aprile scorso, infatti, il tribunale di Sorveglianza di Sassari, spiegando perché aveva concesso i domiciliari a Zagaria, scriveva di aver chiesto al Dap di verificare l’eventuale possibilità di trasferimento “in altro Istituto penitenziario attrezzato per quel trattamento o prossimo a struttura di cura nella quale poter svolgere i richiesti esami diagnostici e le successive cure”. Cosa aveva risposto il Dap? Nulla. “Dal Dipartimento del’Amministrazione Penitenziaria non è giunta risposta alcuna“, ha scritto il giudice.
“Su Zagaria errore grave del mio ufficio. Svista su mail” – Oggi Romano ha spiegato che si trattò di una svista: “E’ stato accertato un errore nell’indicazione della posta elettronica del dipendente del Tribunale di Sassari, imputabile all’ufficio e al personale della direzione che io dirigevo”, ha raccontato il magistrato, aggiungendo che con il sistema di posta elettronica interno al Dap arriva la conferma di lettura per le pec mentre se si tratta di posta ordinaria “non sai se è arrivata”. E dunque le mail che il Dap sosteneva di aver inviato al giudice di Sassari su Zagaria non sono mai arrivate a destinazione perché sono state inviate a una casella di posta sbagliata. Zagaria è ancora oggi fuori dal carcere visto che il tribunale di Sorveglianza ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale del decreto Bonafede, emanato per frenare la scarcerazione di mafiosi durante la pandemia.
“La circolare non c’entra con le scarcerazioni” – Un decreto che in molti hanno letto come una risposta per limitare gli effetti di quella circolare del 21 marzo, in cui si ordinava ai penitenziari di segnalare “con solerzia” all’autorità giudiziaria l’elenco dei detenuti affetti da almeno una tra nove patologie gravi come l’Hiv o il diabete scompensato o l’insufficienza renale. In coda a quel documento però c’è anche una condizione che non è una patologia: “Soggetti di età superiore ai 70 anni”. Un’eta che per Caterina Malagoli, altra dirigente del Dap sentita nei giorni scorsi, vuol dire una cosa sola: “Al 41bis, soprattutto tra i siciliani di Cosa nostra, la maggior parte è gente ultrasettantante”. Insomma: a causa di quella circolare, che non faceva distinzioni di sorta per le condizioni giudiziarie dei carcerati, rischiavano di uscire anche i detenuti pericolosi. Non la pensa così chi quell’atto lo ha preparato, cioè lo stesso Romano. “Il clamore per cui circolare uguale scarcerazioni è un messaggio sbagliato”, ha detto il magistrato, che a San Macuto ha elencato una serie di sentenze dei tribunali di Sorveglianza precedenti alla stesura del suo atto. Come dire: la circolare non c’entra nulla con le scarcerazioni e la prova è che già prima della sua diffusione alcuni giudici avevano inziato a concedere i domiciliari anche ai detenuti in regime di Alta sicurezza.
“Emergeva l’insufficienza del Cura Italia” – Se così fosse, allora, a cosa serviva quel documento? Se i giudici avevano già cominciato a scarcerare anche i detenuti più pericolosi ma a rischio contagio a cosa serviva quella circolare? Anche perché una legge per diminuire la pressione sui penitenziari già c’era. È il 17 marzo quando con il decreto Cura Italia l’esecutivo incentiva la concessione dei domiciliari ai detenuti per reati minori e con meno di 18 mesi ancora da scontare. Quelle norme – secondo i dati del ministero della Giustizia – liberano le carceri sovraffollate di circa 6mila detenuti e servono a combattere il rischio contagio nei penitenziari. Gli altri carcerati, quelli con pene più pesanti e considerati pericolosi, sono stati volutamente esclusi da quei benefici dal guardasigilli Bonafede. A sentire Romano, però, dal mondo dei giudici di Sorveglianza si chiedeva un ulteriore sforzo visto che con il Cura Italia i penitenziari rimanevano ampiamente sovraffollati. “Non c’è nulla di losco, di segreto, c’è un tema serio già posto da concrete decisioni della magistratura di Sorveglianza. Emerge chiara l’opinione dell’insufficienza dell’ultimo decreto legge“, dice il magistrato. Un’affermazione che sembra confermare il sospetto di Nicola Morra, espresso durante le ultime settimane: “Io qui leggo il tentativo per altra via, forse amministrativa, di far ciò che il legislatore non aveva concesso per via politica”.
Come è nata la circolare – Per questo già dal 18 marzo il dirigente comincia una serie di “interlocuzioni” sulla possibilità di prepare un provvedimento. La svolta arriva durante una viceconfederenza alla quale, nel racconto di Romano, partecipano “il ministro, i giudici di sorveglianza Fiorillo, Di Rosa, Lazzaroni, il presidente dell’Anm Poniz”. Dunque alla videoconferenza – evocata davanti all’Antimafia già da Malagoli – c’era anche il guardasigilli Bonafede. “L’oggetto – ha continuato Romano – era l’ esecuzione della pena. Il 20 nella mattina parlo con Basentini su una possibile bozza di circolare, che in quel momento contiene un espresso riferimento al dibattito sulla detenzione domiciliare umanitaria. Se fosse stata quella definitiva si avrebbe ragione a dire che la circolare si è spinta troppo oltre”. Quel riferimento alla “detenzione domiciliare umanitaria” sarà eliminato nella versione definitiva del documento. “Durante la videoconferenza – ha continuato il magistrato – le presidenti dei tribunali di sorverglianza Milano e Brescia confermano la drammaticità della situazione nelle carceri. Chiedo se può essere d’aiuto che si facciano giungere ai tribunali le segnalazioni sui detenuti più esposti. La risposta è positiva ma non entusiasta”. È in questo modo che viene partorita l’ormai famosa nota. Il 21 marzo mattina alle 8.31 Romano scrive una mail a Basentini “dicendo che mi pare che nella videocall del giorno precedente fosse emerso l’ok. Lui mi risponde: per me va benissimo. Invio la circolare alla dirigente di turno specificando che c’era l’assenso del Capo Dipartimento”. La dirigente di turno è Assunta Borzacchiello che fisicamente firma quel documento, visto che Romano in quei giorni è in telelavoro da casa. In seguito, prosegue sempre Romano ” il 26 marzo Salvadori (Tommaso, segretario particolare del ministro Bonafede ndr) mi chiede tramite un whatsapp se l’avevo mandata, gli rispondo, inoltrandogliela stesso mezzo: nessuna contestazione di sorta“. Anzi, il magistrato mette a verbale a San Macuto i complimenti ricevuti dal guardasigilli: “Successivamente in occasione di altra videoconferenza, il ministro esprimerà apprezzamento per l’iniziativa“. Quando Bonafede avrebbe espresso apprezzamento? Romano si è limitato a rispondere: “In una data che non ricordo successiva al 26 marzo”. Di sicuro il 7 maggio a Montecitorio il guardasigilli si è espresso in questo modo su quel documento: “La citata circolare del 21 marzo 2020 si limitava a prevedere la trasmissione all’autorità giudiziaria – da parte delle direzioni – dei nominativi dei detenuti che si trovassero in particolari condizioni di salute; nient’altro. La Costituzione non lascia spazio a ipotesi in cui la circolare di un direttore generale di un dipartimento di un Ministero possa dettare la decisione di un magistrato“.