Ambiente & Veleni

Clima, studio Greenpeace: “Decarbonizzazione da accelerare per rispettare accordi di Parigi”. Con emissioni zero 163mila posti di lavoro

In occasione degli Stati generale dell'economia, Greenpeace Italia ha presentato uno studio commissionato all’Institute for Sustainable Future di Sydney (ISF), che ha delineato due scenari per raggiungere gli obiettivi ambientali. In entrambi i casi si passa dalla decarbonizzazione e dalla transizione verso le rinnovabili. Una rivoluzione che porterebbe vantaggi economici, indipendenza energetica e la creazione di 163mila posti di lavoro

L’Italia ha solo una strada per rispettare gli accordi di Parigi ed è quella di accelerare il processo di decarbonizzazione per concluderlo entro il 2040, raggiungendo già nel 2030 il 75% di produzione di energia elettrica rinnovabile. In contemporanea con gli Stati generali dell’economia, organizzati dal governo per pianificare l’utilizzo dei fondi Ue destinati al rilancio del Paese, Greenpeace Italia lancia ‘Italia 1.5’, uno scenario di rivoluzione energetica all’insegna della transizione verso le rinnovabili e della totale decarbonizzazione del Paese. Un piano che permetterebbe all’Italia di rispettare gli accordi di Parigi, diventando a emissioni zero, con vantaggi economici, di indipendenza energetica e la creazione di 163mila posti di lavoro, l’86,5% nel settore delle fonti rinnovabili. Lo studio, che Greenpeace Italia ha commissionato all’Institute for Sustainable Future di Sydney (ISF), utilizza per la situazione dell’Italia una metodologia già applicata su scala globale per lo scenario di decarbonizzazione del Pianeta promossa dalla Dicaprio Foundation e realizzata dalla stessa ISF, dall’Agenzia aerospaziale tedesca (DLR) e dall’Università di Melbourne. Nel lavoro si sviluppano due scenari, uno con il traguardo di emissioni zero dell’Italia al 2040, uno con una decarbonizzazione totale al 2050, e si confrontano con quello contemplato dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), consegnato dal governo all’Ue a inizio 2020 e che porterebbe a 65mila posti di lavoro in meno rispetto al percorso più ambizioso. Un piano, quello governativo, che però non è in linea con gli Accordi di Parigi e che continua a puntare sul gas fossile. Una strategia energetica da rivedere, come ha dichiarato lo stesso ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

LO STATO DEI FATTI – Perché se l’impegno preso a Parigi è quello lavorare per mantenere l’aumento medio di temperatura globale “ben al di sotto dei 2°C”, possibilmente entro la soglia di 1.5 gradi centigradi, indicata dalla scienza come limite da non superare, secondo la traiettoria attuale siamo su un sentiero che ci porterà a un aumento medio della temperatura globale di oltre 3 gradi centigradi, con impatti devastanti per gli ecosistemi, l’economia e la vita dell’uomo sulla terra. Nel settore energetico gli obiettivi Ue al 2030 non sono in linea con il percorso che dovrebbe portare l’Europa ad avere emissioni nette zero entro il 2040, unico modo per raggiungere l’obiettivo 1.5°C. Nel corso del 2020, l’Unione dovrebbe rivedere i propri target climatici e i Paesi adeguarsi alle nuove direttive. In concreto, l’Ue dovrebbe tagliare le emissioni di CO2 del 65% (rispetto al 1990) entro il 2030.

GLI SCENARI POSSIBILI – In quest’ottica è stata sviluppata l’analisi per uno scenario di decarbonizzazione coerente con questo obiettivo. Per l’Ue il ‘Budget di Carbonio’ stimato fino al 2050 è di 44 Gt (miliardi di tonnellate) di CO2. Su questa base, la quota di ‘Budget Carbonio’ per l’Italia non dovrebbe eccedere i 4,7 GtCO2 al 2030 e richiederebbe la totale decarbonizzazione entro il 2040. Nello studio, si confronta così la proposta di Pniec nella versione inviata alla Commissione europea (scenario ‘Reference – REF’) con gli altri due scenari, entrambi più ambiziosi e con l’obiettivo energia 100% rinnovabile. Il primo (‘Energy [R]evolution’) è finalizzato alla decarbonizzazione completa del settore energetico entro il 2050. In questo scenario la quota di elettricità da fonti rinnovabili per l’Italia al 2030 sarà del 66%, pari al 33% dell’energia finale. Il secondo (‘Advanced Energy [R]evolution’) rappresenta un percorso di decarbonizzazione accelerato, in linea con l’obiettivo 1.5°C. Secondo quest’ultimo scenario, l’Italia dovrebbe avere il 75% di elettricità rinnovabile al 2030, e il settore energetico verrebbe completamente decarbonizzato entro il 2040. La quota di energia rinnovabile sarebbe pari al 52%nel 2030 (rispetto al 16% del 2017), per poi arrivare al 100% entro il 2040. Lo scenario esclude ogni ricorso a tecnologie CCS (cattura e stoccaggio del carbonio) “ritenute non ambientalmente sicure, oltre che non realmente disponibili e affidabili, trattandosi pertanto di false soluzioni tecnologiche” spiega Greenpeace.

L’UNICA STRADA – L’analisi commissionata all’ISF di Sydney mostra che è questo secondo scenario l’unico coerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma comporterebbe una sostanziale modifica del Pniec. In particolare, al 2030 consentirebbe un taglio delle emissioni di CO2 del 59-60%, invece che del 33% (come previsto dagli attuali obiettivi europei per l’Italia cui il Pniec, risponde), un’espansione doppia del solare fotovoltaico rispetto alle previsioni del piano nazionale, con circa 100 GW di impianti installati al 2030 e una produzione di 141 TWh, un minore ricorso al gas, con una potenza installata di 41 GW contro i 61 previsti (e una produzione di 36 TWh invece di circa 59) e una necessità di stoccaggi dell’ordine dei 23 GW invece dei 3 GW previsti. Questo percorso accelerato, secondo lo studio, porterebbe anche un aumento dell’occupazione diretta nel settore energetico di circa il 65% e degli investimenti nel settore delle rinnovabili di 37 miliardi nel decennio 2020-2030 “che potranno essere coperti quasi del tutto – spiega Greenpeace – dai risparmi nella bolletta fossile per 36,5 miliardi”. In sostanza, lo scenario di decarbonizzazione sposta, nel decennio, investimenti e costi dal settore fossile a quello delle rinnovabili per circa 3,7 miliardi l’anno. Centrale è il ruolo di una maggiore efficienza negli usi finali (+20% nel complesso al 2030 rispetto al Pniec).

COSA DEVE FARE L’ITALIA – In questi giorni il governo Conte e le istituzioni europee hanno dichiarato a più riprese di voler puntare anche sulla transizione energetica per ripartire dopo lo shock causato dalla pandemia di Covid-19. “Il piano ‘Italia 1.5’ va esattamente in questa direzione” spiega Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia e, anche dal punto di vista economico, la transizione potrebbe interamente finanziarsi con i risparmi derivanti dalla mancata importazione di combustibili fossili al 2030. Per la riuscita di uno scenario così ambizioso, secondo la ong, vanno però fatte “sostanziali modifiche alle politiche attuali per garantire procedure burocratiche veloci a favore delle rinnovabili, sia sul lato delle autorizzazioni a nuovi impianti che per le connessioni alla rete elettrica”. Lo scenario 2040-2050 richiede lo sviluppo di combustibili rinnovabili (idrogeno verde, metano rinnovabile e combustibili liquidi da elettricità rinnovabile) che il modello di calcolo prevede come ‘importati’. Anche in questo caso, comunque, la sicurezza energetica del Paese aumenterebbe con un livello di dipendenza dalle importazioni che dall’attuale 76,5% scenderebbe a circa il 30%. Ovviamente tali combustibili sintetici potranno essere prodotti in tutto o in parte in Italia, utilizzando in modo più ampio il potenziale tecnico delle rinnovabili. “In questo nostro studio – conclude Iacoboni – ci sono numeri chiari, che dimostrano innanzitutto che il Pniec del governo non è nell’interesse dei cittadini italiani ma risponde piuttosto alle richieste delle lobby di gas e petrolio”.