Dal Grande Dibattito Nazionale sull’uscita dalla crisi è scomparsa la “libertà”. Non mi riferisco alla “libertà” agitata – spesso a sproposito – contro lockdown e mascherine, solitamente alimentata da ideologie anti-scientifiche. Intendo invece la libertà e responsabilità di prendere in mano la propria vita, se possibile per migliorarla, senza che lo Stato faccia di tutto per impedirlo.

Uno degli effetti più devastanti del disastro causato dal Covid19 è la dipendenza dallo Stato che per molte persone si è inevitabilmente creata. Nel breve periodo, effettivamente, attivare forme di sussidio o sostegno al reddito è indispensabile per affrontare il tracollo economico di molte persone e nuclei familiari e fare ripartire l’economia combattendo povertà e marginalizzazione sociale. E’ però fondamentale porsi da subito il problema di come aiutare le persone a sollevarsi anche con le proprie gambe, e questo non solo per un problema di conti pubblici disastrati, ma di una indispensabile attitudine positiva nei confronti del futuro.

Nonostante il tema non sia in alcun modo all’ordine del giorno della politica ufficiale, ritengo che sarebbe il momento perfetto per rimuovere le proibizioni odiose e inutili che ancora opprimono i cittadini italiani. Per una società più impaurita, chiusa e diffidente di quanto non fosse anche solo pochi mesi fa, sarebbe salutare un vero e proprio shock di deregolamentazioni e legalizzazioni che vadano a toccare aspetti anche molto personali e intimi della vita di ciascuno.

Un primo aspetto riguarda proprio la scienza e la medicina, divenute così centrali in questi mesi. La ricerca non è fatta solo di soldi pubblici, pur drammaticamente insufficienti, ma si base anche su libertà fondamentali. L’Italia è ancora un Paese che punisce con il carcere chi si azzardasse a fare ricerca sugli embrioni, come invece fanno all’estero gli scienziati che cercano una cura su malattie diffusissime come il Parkinson.

Ancora: in Italia è paralizzata la ricerca sulle sostanze psicotrope – cannabis, Lsd, Mdma, ayahuasca, psilocibina – ed è proibita la ricerca sul miglioramento genetico animale e vegetale. Abbattere queste proibizioni ideologiche e irragionevoli renderebbe d’un colpo e “a costo zero” il sistema accademico-scientifico italiano più interessante agli occhi degli scienziati di tutto il mondo.

Ma il “fattore libertà” non riguarda certo solo gli scienziati. E’ il momento di garantire finalmente libertà e responsabilità di scelta sulla salute riproduttiva, la fecondazione assistita, le droghe oggi proibite, l’eutanasia, il matrimonio egualitario, il reale accesso alle cure palliative, e molto altro ancora.

Sarebbe un grave errore pensare che al momento le questioni siano solo altre, e che il sostegno economico sia l’unico problema al quale le persone sono confrontate. L’attitudine nei confronti della vita e del futuro è condizionata pesantemente dal rapporto che lo Stato instaura con i propri cittadini. Benessere economico e autorealizzazione individuale hanno tra loro un rapporto molto stretto.

Nella “era della conoscenza” – intesa anche come primario bene economico – società imperniate su stili di vita aperti e svincolati dallo Stato etico hanno anche buone possibilità di essere più creative e competitive, come dimostrano le aree metropolitane più dinamiche nel mondo. E’ ormai vero che un modello autoritario e centralizzato come quello cinese sta diventando sempre più competitivo anche sul piano economico, grazie a pesanti investimenti tecnologici e nella ricerca. Questo processo non va però subito come una ineluttabile sconfitta delle democrazie liberali, ma affrontato come sfida da raccogliere per dimostrare nei fatti la superiorità di un modello aperto, democratico, tollerante e laico.

Proprio la crisi da coronavirus ha dimostrato – con l’irresponsabile tentativo di tenere nascosta la pandemia nelle sue fasi iniziali in Cina – che le società aperte avrebbero ancora molte frecce al proprio arco, se solo riprendessero consapevolezza della propria forza ed efficacia nell’affrontare i grandi problemi del nostro tempo.

Con l’Associazione Luca Coscioni abbiamo interpellato il Parlamento attraverso una serie di petizioni proprio per sollecitare i rappresentanti del popolo italiano a occuparsi di temi per troppi anni tenuti nascosti a causa della mancanza di coraggio e senso di responsabilità. Purtroppo il Parlamento non sta rispondendo o reagendo in alcun modo, né i temi delle libertà civili e di ricerca sono entrati nell’agenda dei Comitati tecnici o degli Stati generali.

Finora, alcuni dei più significativi progressi li abbiamo ottenuti attraverso disobbedienze civili e ricorsi giudiziari. L’8 luglio, ad esempio, con Mina Welby saremo processati davanti al tribunale di Massa per l’aiuto a morire prestato a Davide Trentini. Se la strada delle assemblee elettive resterà bloccata, proseguiremo con quella delle aule di tribunale.

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