Limitazione delle libertà o responsabilità individuale? Dal letto di un ospedale di Milano, convalescente dal Covid-19 che lo aveva colpito in Spagna, Giulio Giorello, scomparso lunedì 15 giugno, aveva ragionato con il nostro Nanni Delbecchi delle misure anti-epidemia. Schierandosi nettamente dalla parte della responsabilità individuale e senza risparmiare aspre critiche al potere politico. Per ricordarlo, vi proponiamo integralmente la lunga intervista pubblicata sul numero di maggio 2020 del nostro mensile FQ MillenniuM, diretto da Peter Gomez.

Tre anni fa Fq Millennium ha inaugurato la sua vita incontrando il filosofo della scienza Giulio Giorello per discutere di diritti civili, in quel caso a partire da una questione apparentemente laterale, la liberalizzazione della cannabis. Tre anni dopo, mentre abbiamo alle spalle cento giorni di emergenza coronavirus, ci ritroviamo a discutere di Libertà con la maiuscola, dei diritti fondamentali previsti dal contratto sociale tra cittadino e Stato. Il diritto al lavoro, alla mobilità, alla segretezza della propria vita privata… fino a che punto è lecito limitarle in nome del diritto alla salute?

La conversazione si svolge a distanza, anche perché il professor Giorello è ancora convalescente dopo essere stato colpito dal virus: «Credo di aver contratto l’infezione venendo dalla Spagna. Eravamo alla fine di febbraio e avevo notato che nella città di Saragozza non solo non veniva presa alcuna precauzione, ma nemmeno se ne stava discutendo». E dunque, proprio come avevamo fatto tre anni fa, seguiamo il metodo scientifico: sulle conseguenze di Covid-19 non solo teorie, anche esperienza diretta.

Si è molto discusso sulla natura di questo virus misterioso. Dopo averlo provato sulla sua pelle, quanto le è sembrato paragonabile alle comuni influenze?
Dopo essere stato ricoverato al Policlinico di Milano per un paio di giorni ho avuto febbre e un forte senso di spossatezza, ma subito dopo le cose sono andate migliorando. Personalmente la differenza con l’influenza normale non l’ho sentita.

Durante la pandemia ogni Paese ha dovuto affrontare un conflitto senza precedenti tra libertà e sicurezza sanitaria e produrre un proprio modello di prevenzione. Qual è la sua visione in proposito?
Credo che privare le persone della propria libertà sia sempre un male. Certo, per tempi molto, molto limitati si possono capire una serie di misure come quelle adottate dal governo italiano. Ma secondo me bisogna attenersi a tempi brevissimi, evitare che i divieti si trasformino in abitudine. Altrimenti la prevenzione si trasforma in repressione.

Il filosofo Giorgio Agamben ha fatto molto discutere con alcune sue esternazioni. Prima ha addirittura negato la pericolosità del nuovo virus. Poi ha ritrattato, ma continuando a criticare l’ingigantimento dell’emergenza sanitaria da parte dei poteri centrali. A suo avviso, un potenziale alibi per avvicinare le democrazie alla dittatura.
Io non farei un quadro così fosco, però vedo una crisi strutturale della classe dirigente. Quando alcune autorità non capiscono niente di filosofia, e nemmeno di scienza, sarebbe bene che tacessero. Invece li abbiamo sentiti dire cose che per la loro insipienza sarebbero comiche se non fossero drammatiche.

Facciamo un esempio.
Il governatore della Lombardia Attilio Fontana all’inizio dell’emergenza dichiarò “Bisogna obbedire. Obbedire e basta”. Una figura istituzionale che fa esternazioni del genere farebbe meglio a tacere, e a togliersi dai piedi.

In questi mesi il governo ha rivendicato il proprio rigore nel privilegiare la sicurezza a scapito della libertà.
Ma vede, questo rigore è arrivato all’improvviso, dopo una serie di sottovalutazioni ed errori da parte della politica. E poi il modello italiano di lockdown più che rigoroso lo definirei rigido. A tratti ottuso, se paragonato a quello di altri paesi europei.

Dove pure non sono mancate le polemiche. Wolfgang Schauble, presidente del Bundestag, ha dichiarato che è sbagliato subordinare tutto alla salvaguardia della vita umana, citando l’articolo 1 della Costituzione tedesca: “La dignità delle persone è intoccabile”.
Non lo sapevo, ma mi sembra una posizione interessante. Un eccesso di rigidezza nelle misure può ledere la dignità umana, e lede sicuramente l’uguaglianza. La quarantena non è uguale per tutti. Anche i tedeschi avranno i loro problemi, e avranno cercato di conciliare sicurezza e salute, ma c’è modo e modo. È il modo a fare la differenza.

Se parliamo di modi, nella sostanza l’Italia ha recepito il modello cinese. Una narrazione basata sulla paura e sui divieti, piuttosto che sul senso di responsabilità dei cittadini.
Le dittature sono abituate a maneggiare paura e divieti, fa parte della loro natura. In democrazia questi sono strumenti ancora più pericolosi, specie se maneggiati in maniera vaga e contraddittoria. Siamo stati sommersi dai litigi tra le varie parti politiche, sono emerse leggerezze gravissime nella gestione dell’emergenza da parte dei responsabili del sistema sanitario. In compenso, noi cittadini siamo stati trattati come bambinetti da mettere in castigo.

Non crede che questa rigidità si spieghi con la convinzione che noi italiani siamo un popolo più indisciplinato dei nordeuropei?
Ma questi sono i luoghi comuni di chi ci considera così! Abbiamo dato ai tedeschi una buona ragione per crederli veri. E poi le generalizzazioni danno sempre indicazioni prive di fondamento. Ogni individuo conta per quello che è, non perché appartiene a un popolo, a un’etnia, o a altre sciocchezze del genere. Io vorrei sapere perché non si è scommesso sull’autodisciplina degli italiani.

“L’individuo è sparito di fronte alle masse”, ha profetizzato Leopardi due secoli fa. Infatti le libertà individuali hanno subito limiti più stringenti di quelli collettivi. Il dialogo con gli imprenditori non si è mai interrotto, molte aziende sono rimaste aperte anche durante il picco epidemico, mentre abbiamo visto scene di caccia all’uomo nei confronti di bagnanti solitari…
Accanimenti grotteschi, se si pensa che le possibilità di contatto e di contagio sono molto maggiori nei contesti di lavoro, ma non si capisce chi possa infettare una persona a distanza di sicurezza e adeguatamente protetta. Un’altra prova che i nostri politici non capiscono niente di cos’è un individuo.

Che cos’è un individuo?
Un individuo è una persona dotata di una consapevolezza e di una forma di intelligenza di cui si fa carico. È una persona che possiede anche una grande responsabilità.

Per giustificare la sua rigidezza e le sue cautele la politica si è fatta scudo della comunità tecnico-scientifica. Lei, da epistemologo, come valuta il mondo pilotato dagli scienziati?
Le confesso che nella dicitura “Comitato Tecnico Scientifico” sento un inquietante sapore orwelliano. Mi pare più un esempio di scientismo che di pratica scientifica seria. Si sente dire in giro “dalla scienza ci aspettiamo certezze”, ma la scienza non fornisce certezze. La scienza fornisce dubbi, fornisce ipotesi alternative a quelle correnti. È nel gioco delle differenze che conta l’impresa scientifica, come si è visto benissimo anche alle prese con il coronavirus.

A proposito di differenze, il modello svedese è andato in direzione opposta rispetto a quello italiano. Proibizioni minime e grande affidamento al senso di responsabilità. Come lo valuta?
Ovviamente non posso valutarlo, però rilevo che l’Organizzazione mondiale della sanità, dopo averne preso le distanze, oggi lo considera un possibile modello di prevenzione. Non sono in grado di dare giudizi, ma è una controprova della relatività della scienza. Chiedere certezze alla scienza vuol dire caricarla di un compito che non è il suo. Non la aiuta, anzi, alla lunga la danneggia.

Torniamo alle modalità di gestione del distanziamento sociale. Fatte salve le linee guida, nella giungla di divieti emessi dai vari Dpcm si intravede una gerarchia di valori. Precedenza assoluta alla riapertura delle aziende. La scuola, fanalino di coda.
In questo non vedo niente di nuovo. In Italia istruzione e ricerca erano le ultime ruote del carro anche prima, e lo resteranno dopo.

Poi c’è stata la questione dei congiunti. Si può fare visita ai cosiddetti “affetti stabili”. Ma perché doversi giustificare anche negli affetti?
Congiunto è un termine molto ambiguo e l’ambiguità non è mai una buona cosa, meno che mai quando si parla di sentimenti umani. Come le ripeto, certe uscite dei nostri politici fanno accapponare la pelle, e in alcuni casi non si capisce il perché.

Forse si voleva ribadire il primato della famiglia tradizionale. La vecchia zia che vale più del migliore amico…
Mah. Personalmente, non ho molto interesse per le vecchie zie.

È stata molto dibattuta anche la questione della libertà di culto. Il governo si è adoperato per la ripresa delle messe, e va bene. Ma Stefano Massini ha denunciato l’abbandono totale dei cosiddetti “lavoratori inutili”, i lavoratori dello spettacolo, delle cui sorti ancora non si sa nulla. Perché, a parità di misure di prevenzione, riaprire subito le chiese e tenere chiusi a oltranza i teatri?
È un’altra domanda da girare ai nostri illuminati governanti. Ma questa disparità di trattamento tra chiese e teatri conferma che il nostro è un Paese con una forte base clericale. Non parlo di una seria religiosità, peraltro incarnata in solitudine da Papa Francesco anche in questa emergenza. Parlo di clericalismo, che è tutt’altra cosa, e significa proprio questo: privilegiare certe libertà a scapito di altre.

Quale opinione si è fatto a proposito della app Immuni, a cui dovremmo affidare i dati sanitari di ognuno di noi? Lei la scaricherà?
Credo di no, e per le ragioni di cui le dicevo prima. Tutto quello che ha l’aria di un’intrusione nella privacy di un individuo lo trovo ripugnante. È una questione di principio ma anche di sensibilità personale, di abitudine a trattare le persone come soggetti liberi e responsabili.

Mentre speriamo di andare verso ulteriori allentamenti dei divieti in molti si chiedono se e come ci ha cambiato l’esperienza della quarantena.
Io credo che questa esperienza produrrà senz’altro dei cambiamenti rispetto a prima, ma non saprei dirle se in meglio o in peggio. Il parallelismo con la guerra o le grandi epidemie del passato non mi ha mai convinto, quindi non mi convincono nemmeno le teorie della rinascita.

Cosa si augura?
Niente in particolare, se non il graduale ritorno alla normalità. Mi accontenterei che questa esperienza senza precedenti non desse ragione alle teorie di Agamben o di Foucault sulle tentazioni totalitarie della democrazia. È una speranza a favore di tutti noi italiani che abbiamo sofferto per volontà di governanti rigidi nei divieti e mediocri in tutto il resto.

Cosa pensa del premier Conte, a cui non sono certo state risparmiate critiche? Uscirà rafforzato o indebolito a emergenza conclusa?
Credo che risulterà indebolito, perché in generale chi conduce una battaglia con un qualche metodo ne risulta provato. Il caso è diverso, ma ricordiamoci di Winston Churchill. Riuscì a spuntarla contro il nazismo, ma a guerra finita andarono al potere i laburisti.

E noi? Ci scopriremo davvero, come dicono alcuni, degli uomini nuovi?
Uomini nuovi? Per carità!

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