Prima di parlare di Indro Montanelli mi sciacquo la bocca. Non ho avuto modo di conoscere personalmente, a differenza di altri illustri giornalisti italiani, l’uomo e lo scrittore di Fucecchio. Come tanti altri l’ho conosciuto solo attraverso i suoi articoli e i suoi libri. Con tutta sincerità non sapevo dell’episodio che lo vede protagonista del matrimonio con una bambina di 12 anni abissina. Colpa della mia ignoranza che ho cercato di colmare andando a rivedere una vecchia intervista a Montanelli facilmente reperibile su YouTube.
In quel programma, L’ora della verità , il noto giornalista afferma: “Pare che avessi scelto bene. Era una bellissima ragazza di 12 anni. Scusate ma in Africa è un’altra cosa. E così l’ho regolarmente sposata nel senso che l’avevo comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli degli ascari. Queste non seguivano la banda ma ogni quindici giorni ci raggiungevano. Arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa che mi portava la biancheria pulita”.
A quel punto è interrotto da una donna in studio, una giornalista: “Lei ha detto tranquillamente di aver avuto una sposa di 12 anni e a ha detto in Africa queste cose si fanno. Vorrei chiederle come intende normalmente i suoi rapporti con le donne?”. Montanelli a quel punto risponde: “Nessuna violenza perché in Abissinia a 12 anni si sposano”. La giornalista lo incalza: “Sul piano di consapevolezza dell’uomo. Se lo facesse in Europa riterrebbe di violentare una bambina vero? Quale differenza creda che esiste dal punto di vista biologico e psicologico?”. Montanelli a quel punto afferma: “Non è questione, a 12 anni si sposano. Se lei vuole istruirmi un processo a posteriori…”.
Ma non è l’unica fonte informativa sull’argomento. Sul Corriere della Sera nella nota rubrica La stanza di Montanelli una lettrice 18enne, Rossella Locatelli, chiede al giornalista di raccontare l’avventura. Montanelli non nasconde nulla: “Si trattava di trovare una compagna intatta per ragioni sanitarie e di stabilire con il padre il prezzo. Dopo tre giorni di contrattazioni a tutto campo tornò con la ragazza e un contratto redatto dal capo-paese in amarico, che non era un contratto di matrimonio ma – come oggi si direbbe – una specie di ‘leasing’, cioè di uso a termine. Prezzo 350 lire (la richiesta era partita da 500) più l’acquisto di un ‘tucul’ cioè una capanna di fango e di paglia del costo di 180 lire. La ragazza si chiamava Destà e aveva 14 anni: particolare che in tempi recenti mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei Paesi tropicali a 14 anni una donna è già donna, e passati i venti è una vecchia. Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata…”
Non vorrei passare per imbecille: il codice penale italiano considerava violenza carnale i rapporti sessuali con minori di 14 anni, ma il codice civile vigente all’epoca consentiva il matrimonio purché la sposa avesse almeno 12 anni e riconosceva valido il matrimonio del cittadino italiano all’estero qualora avesse contratto detto matrimonio secondo le forme stabilite in quel Paese. Ciò rendeva legittimo il rapporto tra Montanelli e la sua sposa, visto altresì che detto matrimonio indigeno non venne mai impugnato da alcuno.
Montanelli dal punto di vista legale non violò alcuna regola. Resta il fatto che io non avrei mai fatto ciò che il giornalista laureato in giurisprudenza, proveniente da una famiglia elevata culturalmente ed economicamente, ha compiuto su una 12enne. Stiamo tra l’altro parlando di un uomo occidentale, acculturato, che anche dopo anni non si è mai pentito di quell’atto. Giudicare i fatti avvenuti quasi cent’anni fa non è semplice e non lo voglio fare. Chi sono io per farlo? Voglio solo provare a riflettere sulla condizione dell’uomo.
Le giustificazioni sentite in questi giorni non mi convincono: è vero anche le case chiuse erano legali e molti consideravano normale frequentarle. Ma non tutti gli uomini l’hanno fatto. La polemica in merito alla sua statua non mi appassiona, anche se i simboli in una città dovrebbero rappresentare i nostri valori. E non mi basta dire che allora chissà quante statue dovremmo rimuovere: errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Considero stupido l’atto di averla imbrattata ma mi dispiace leggere articoli come quello di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera che difende Montanelli: “Abbattere, per questo, la statua di Montanelli? Sarebbe assurdo e offensivo, come dicevamo. Quella vicenda — non esemplare, certo — non rappresenta l’uomo, il giornalista, le cose in cui ha creduto e per cui s’è battuto”. Se quella bambina fosse la figlia di Severgnini l’avrebbe pensata così? Severgnini ha letto le considerazioni di Montanelli sull’odore di quella bambina?
Come dicevo all’inizio, io non ho conosciuto l’uomo Montanelli ma qualche interrogativo, ora che so di questa vicenda, me lo pongo. So anche, come mi è stato riferito, che per tutta la vita tenne la foto di quella bambina sulla sua scrivania. Chissà perché. Forse le aveva valuto bene? Nel segno della parresia. Io, comunque, non l’avrei voluto come padre.