di Diego Battistessa*
Lunedì 8 giugno, Inocente Orlando Montano, ex colonnello dell’esercito ed ex viceministro della Sicurezza Pubblica di El Salvador, si è seduto di fronte ai giudici del tribunale della Audiencia Nacional di Madrid. Un momento storico, un processo che si è fatto attendere forse troppo a lungo ma che promette verità e giustizia per coloro che sono tristemente conosciuti come i “Martiri della Uca”.
I fatti risalgono al 16 novembre del 1989 e ci riportano in un paese, El Salvador, preda di una sanguinosa guerra civile. In quel contesto, i gesuiti dell’Universidad Centroamericana José Simeón Cañas (Uca) stavano appoggiando pubblicamente una negoziazione pacifica tra il governo di El Salvador (guidato dal presidente Alfredo Félix Cristiani) e la guerriglia rivoluzionaria del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (Fmln).
I gesuiti, guidati dallo spagnolo (basco) Ignacio Ellacuría, erano diventati scomodi per il governo di El Savador e la Uca aveva già subito attentati e duri attacchi politici. I sacerdoti venivano accusati pubblicamente dalle autorità di essere dei cospiratori e di dare rifugio a elementi sovversivi. Soprattutto Ellacuría (all’epoca rettore dell’università) aderente alla teologia della liberazione e difensore di una soluzione pacifica al conflitto, destava le ire dei gruppi militari di estrema destra.
Proprio dentro uno di questi gruppi, denominato “la Tandona” (una promozione di ufficiali dell’esercito che annoverava personalità di spicco e potere dentro gli alti vertici, tra cui Montano) si decise e pianificò l’operazione che porterà il battaglione Atlacatl al massacro del 16 novembre 1989. Il piano consisteva nell’entrare nella sede della Uca (situata nella capitale San Salvador) e uccidere i gesuiti, facendo poi credere che fosse stata opera dei guerriglieri dell’Fmln (vennero usati a tale scopo dei Kalashnikov che l’esercito aveva sottratto ai guerriglieri).
Il battaglione Atlacatl (già tristemente noto per l’eccidio perpetrato nella località el Mozote nel 1981) la mattina del 16 di novembre fece irruzione nell’università e uccise, a sangue freddo e in modo efferato, sei sacerdoti gesuiti oltre alla moglie e la figlia del guardiano della Uca. Le vittime furono Ignacio Ellacuría, Ignacio Martín-Baró, Segundo Montes, Amando López, Juan Ramón Moreno e Joaquín López (i primi cinque di nazionalità spagnola e quest’ultimo salvadoregno), Elba Ramos e sua figlia adolescente, Celina.
Il piano del battaglione Atlacatl però non aveva fatto i conti con il coraggio e la determinazione dei testimoni che assistettero all’operazione militare e che denunciarono fin da subito i fatti (a rischio della loro vita). Questo “imprevisto” collocò il governo di El Salvador sotto una fortissima pressione internazionale e lo costrinse a celebrare nel settembre del 1991 un processo a nove militari accusati di essere gli autori materiali del massacro: sette di loro furono assolti e due vennero condannati a 30 anni di carcere per assassinio e terrorismo.
Posteriormente, il 15 marzo del 1993, la Commissione della Verità di El Salvador (nata dagli accordi di Pace di Chapultepec che posero fine alla guerra civile) pubblica il dossier “De la Locura a la Esperanza: La guerra de 12 años en El Salvador” (‘dalla follia alla speranza: la guerra di 12 anni ne El Salvador) che chiarisce molti aspetti salienti dei fatti della Uca.
Nonostante ciò, era noto che gli autori intellettuali del massacro avevano evaso il meccanismo della giustizia e che il cammino verso la verità sarebbe stato ancora lungo. Inizia così il lavoro portato avanti dai parenti delle vittime, insieme all’Associazione Pro Diritti Umani spagnola (Apdhe) e al Center for Justice & Accountability (Usa) per accedere al meccanismo della giustizia universale, sottoponendo il caso alla Audiencia Nacional spagnola in ragione della nazionalità di cinque delle vittime.
Nel 2017 la svolta. Inocente Montano, arrestato negli Stati Uniti per un delitto migratorio, viene estradato in Spagna su richiesta del giudice Eloy Velasco dell’Audiencia Nacional di Madrid. Viene così rotto il circolo dell’impunità che tanto ha oscurato la ricerca della verità nella regione latinoamericana, soprattutto in un Paese, El Salvador, che annovera nel suo recente passato molti, troppi martiri.
Montano, oggi settantenne, si dichiara innocente ma il pubblico ministero ha chiesto per lui una pena di 150 anni di carcere: rimane il fatto che vederlo lì, seduto di fronte ad un giudice per rispondere dei crimini di guerra e lesa umanità perpetrati in quei sanguinosi anni, è un segnale che potrebbe avere delle conseguenze positive anche sui altri processi non risolti ne El Salvador.
*Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni.
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