Per chi anela a un cambiamento radicale, gli Stati Generali sono una buona notizia. L’assemblea consultiva convocata per la prima volta da Filippo IV (1302) diventò un rito. Fu ripetuto altre 20 volte, fino al 1615, quando Maria de’ Medici ne constatò la totale irrilevanza e inutilità. Da quel momento, la Francia diventò una potenza europea, ricca e colta, finché Luigi XVI ebbe la brillante idea di convocarli nuovamente.

La guerra dei sette anni non aveva ancora esaurito il suo impatto distruttivo, quando due lustri consecutivi di estati fredde e umide e di cattivi raccolti avevano messo in ginocchio l’Europa. Gli inverni del 1776 e del 1788 erano stati i più rigidi del secolo. In Francia, nel 1788 la grandine aveva dimezzato la produzione di frumento, la carestia e le malattie falcidiato popolo e bestiame. Assieme al suo Contrôleur général des finances Jacques Necker – babbo del vocabolo “deficit” e di Madame de Staël – il Re pensò che gli Stati Generali potessero risolvere la crisi.

Sappiamo come andò a finire. Assieme al Re, anche la Regina perse la testa. Scoppiò la Rivoluzione che traghettò l’umanità in una nuova epoca. Dopo pochi anni, ben pochi erano i sopravvissuti tra i rappresentanti del Terzo Stato che, stufo di essere messo sotto da aristocrazia e clero, si era trasformato in Assemblea Nazionale.

Oggi la volontà popolare non è ancora chiara. Senza dubbio la gente anela a “ri-nascere”, ma con sentimenti contrastanti. Vorrebbe un mondo migliore di quello in cui l’umanità si è prostrata a una catastrofe annunciata ma non prevista, che ha colto tutti inermi e impreparati; soprattutto, le classi dirigenti. Nello stesso tempo, la gente materializza il concetto di rinascita nel ritorno tal quale, puro e semplice, rassicurante e consolatorio al passato prossimo.

Per seguire la seconda strada, gli odierni Stati Generali non potranno che riprodurre le 21 consolidate esperienze del tardo medioevo – il periodo che segue la peste del XIV secolo – e del Rinascimento. Il risultato sarà la stesura di un cahier general che il “sovrano” declinerà come e quando riterrà utile, prima di tutto per se stesso.

Se, invece, la crisi del coronavirus sarà la premessa di una Rinascita e non di una Restaurazione, chi la potrà guidare? La classe dirigente che ha indirizzato il paese verso la tragedia, accompagnandolo poi lungo la via crucis come un cieco della parabola di Bruegel il Vecchio? Per rinascere – e rinascere sani – i protagonisti della disfatta pandemica, quasi tutti baby boomers o loro diretti eredi, devono mettersi da parte.

Politici e burocrati che hanno costruito, mattone dopo mattone, un sistema sanitario sia pubblico (nei costi) sia privato (negli utili) privo di ridondanze, riserve e risorse per affrontare la minaccia. Governanti poco competenti e sanitari improvvidi che hanno arringato la gente con le favolette, dalla banale influenza passeggera alla mascherina superflua, dalla inutilità del confinamento alla irrilevanza di un tracciamento preciso di nodi e flussi dell’epidemia. E, quando non sono riusciti a seppellire la polvere sotto il tappeto, hanno operato retromarce clamorose di fronte all’evidenza dei fatti.

La “ri-nascita”, per essere tale, non può che essere deontologica, politica e morale. L’Italia del dopoguerra non si affidò al senatore già maresciallo Badoglio. Possiamo affidare il futuro dei nostri figli a chi ha costruito un sistema economico e sociale così poco resistente, se sono bastati meno di tre mesi a ridurlo in frantumi? Nel XXI secolo non c’è bisogno di Salute Pubblica, Terrore, Direttorio e Termidoro. Basta un pacifico ricambio generazionale, il turnover di una generazione culturale e mentale prima che anagrafica.

E chi avverte autonomamente il peso della propria inconsistenza, potrebbe trascorrere un periodo di solitaria meditazione. Conoscere se stessi è il presupposto per “ri-trovare” se stessi, la scintilla per “ri-nascere”. In Europa ci sono bellissime abbazie, come le Certose maschili di Serra San Bruno, Farneta o Sélignac, quelle femminili di Santa Trinita o Nonenque: luoghi magici dove colloquiare liberamente con la propria coscienza.

Se oggi non è difficile redigere un cahier des doléances, forse è ancora troppo presto per discutere di Rinascita, sotto la spada di Damocle di altri, possibili atti della tragedia. Né ci sono Stati né Mercati Generali che possano penetrare un quadro fumoso e incerto, costretti a viaggiare nella nebbia dell’astrazione, oscillando tra limiti mai così ampi e imperscrutabili.

Il guaio odierno è che il futuro non è più quello di una volta. E non è del tutto verosimile che si possa correre sempre in una stessa direzione, se nessuno sa qual sia e che senso abbia.

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