Prima aveva fornito una versione, poi in aula aveva dato una spiegazione opposta. Adesso Paolo Anfosso, progettista di Autostrade, dovrà affrontare un processo per falsa testimonianza per quanto detto in aula durante il procedimento di primo grado per la strage del bus caduto dal viadotto Acqualonga, vicino a Monteforte Irpino, lungo la Napoli-Canosa il 28 luglio 2013 provocando la morte di 40 persone.
Durante l’inchiesta, Anfosso aveva ammesso di non aver sostituito le barriere – sotto accusa per non aver contenuto l’urto con il pullman carico di pellegrini – perché c’era stata un’indicazione del cda di Autostrade in questo senso. Ma durante il dibattimento il progettista cambiò versione contribuendo nei fatti a far assolvere i vertici della concessionaria, compreso l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci. Il processo a carico di Anfossi potrebbe quindi influenzare il secondo grado in corso a Napoli dal dicembre dello scorso anno.
In primo grado, il giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, aveva condannato 8 persone e ne aveva assolte 7. Dodici anni erano stati inflitti a Gennaro Lametta, titolare dell’azienda che gestiva il pullman, ad 8 anni era invece stata condannata una dipendente della Motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola. Sei anni di reclusione, invece, ai dirigenti di Autostrade, Gianluca De Franceschi e Nicola Spadavecchia. Paolo Berti e Gianni Marrone, il primo direttore di tronco di Autostrade e il secondo dipendente della concessionaria, sono stati condannati a 5 anni e 6 mesi. Ritenuti colpevoli anche altri due dipendenti di Aspi, Michele Renzi e Bruno Gerardi, condannati a 5 anni. Assolti invece Castellucci e altri 5 tra dirigenti e dipendenti di Autostrade.
Durante l’inchiesta sui falsi report seguiti al crollo del ponte Morandi, Berti era stato intercettato mentre con un altro ex superdirigente di Aspi, Michele Donferri Mitelli, mentre “manifesta il proprio disappunto – riassumeva il gip – per essere stato condannato nell’ambito del processo di Avellino, lamentandosi che avrebbe potuto dire la verità e così mettere nei guai altre persone”. Va detto che Berti, essendo imputato, aveva il diritto di mentire.
La risposta di Donferri Mitelli, spiegava il gip, descrive la “logica” del “generalizzato comportamento” che sembra da ricondurre “a uno spirito di corpo aziendale”, probabilmente “motivato dal tornaconto economico”. Donferri Mitelli infatti diceva: “…tu hai ragione ma non è che se metti in galera anche n’altro o comunque glie dai n’accusa… a te te cambiava un cazzo… quindi a questo punto… questa gente giustamente aspettala al varco per quanto riguarda gli altri…per quanto riguarda gli altri… automaticamente e… fregatene! Aspettali al varco pensa soltanto a stringere un accordo col capo punto e basta! Basta nun puoi far niente…”.
La sera del 28 luglio 2013 i turisti tornavano a casa da una gita di alcuni giorni a Telese Terme (Benevento) e nei luoghi di Padre Pio, a Pietrelcina. Erano partiti da Pozzuoli (Napoli) con il bus della stessa agenzia alla quale si erano già rivolti per organizzare una vacanza in comune e a buon prezzo, 150 euro a persona tutto compreso, e con la quale avevano già programmato un nuovo viaggio al santuario mariano di Medjugorje.
Lungo la discesa dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino (Avellino) il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell’agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante. Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, il bus nel tentativo di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto Acqualonga che cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un’altezza di 40 metri.