Caro Michele, è assai ben articolato il tuo pezzo col quale motivi la tua volontà di restare a Repubblica. Altrettanto convincenti sono le argomentazioni di Gad Lerner che se ne è andato per allergia padronale. Bel confronto dialettico, avercene…
Tu non sei una penna leggera, sin dai tempi di Cuore la forza del tuo argomentare sta nel proporre una tesi che poi vai a confermare senza ricorrere ad astrattismi. In poche parole non sei tipo da supercazzola, il che ti conferisce uno status di unicum nel variegato mondo Rep. Hai ragione nell’asserire che “nessuno ha mai pensato che lavorare per gli Agnelli abbia significato vendere l’anima”, ma non dici che molto dipende da che lavoro fai per gli Agnelli, cioè di cosa scrivi. Non sbagli sostenendo che “ogni editore è un padrone”, ma dimentichi di dire che che c’è padrone e padrone.
Non vi è dubbio alcuno che tu e le firme da te citate non subirete mai la benché minima censura, né mai vi verrà chiesto di stilare articolesse chinate. Il punto però, caro Michele, non sei tu, ma sono gli altri. La cifra della libertà di espressione non dipende quasi mai da ciò che tu puoi dire, fare o vedere, quanto dall’angolo di visuale che tu, con i tuoi mezzi, puoi garantire al tuo vicino di casa. Il punto non è ciò che scrivi tu, ma quello che potranno o non potranno scrivere i tuoi colleghi, penso ad esempio alla redazione economica di Rep.
Il punto non è il tuo contratto d’affitto, quanto l’atto durissimo (padronale si diceva in un tempo che oggi pare preistoria) col quale il nuovo proprietario si è annunciato in redazione: lo sfratto del direttore, metaforicamente seduto nello studio accanto al tuo. Il problema del condominio non è il tuo appartamento, caldo e sicuro, quanto le crepe e le infiltrazioni che i lavori di ristrutturazione rischiano di generare nelle stanze accanto alla tua. Nell’androne delle tue scale un uomo è stato messo alla porta in modo non proprio diplomatico. Certo, non tu, non gli altri condomini. Voi, penso ai vari De Gregorio, Recalcati, Saviano e compagnia, potrete tenere lo stereo a volume alto sino a sera tarda e non sarete sfiorati dagli spifferi. Chi mai potrebbe pensare di censurare uno dei vostri scritti? Voi siete uomini di cultura!
Nei vostri articoli si parla di libertà, idee in circolo, libera espressione. Di donne aggredite e uccise, di camorra, di Telemaco e rottamatori. Mica di auto elettriche, di investimenti, di finanza. Te la dico brutalmente: sai quanto poco gliene importa al padrone delle vostre disquisizioni? Fai una cosa di sinistra, non pensare a te e agli intellettuali di Rep che vivono nel tuo piano, pensa invece ad un giornalista economico che si metta a scrivere del mega prestito di 6,3 miliardi ottenuto dal board degli Agnelli-Elkann che, a dire di un quotidiano economico serve “per tenere in piedi la Exor, confermando l’extra-dividendo miliardario (di circa 5,5 miliardi) che è alla base dell’operazione coi francesi”. Come lo vedi, tranquillo mentre scrive?
Quando eravamo tutti più giovani voi di Cuore avete organizzato il mitico ‘DunaRaduno’ vicino a Bologna. Un mega ritrovo di lettori uniti dallo sfottò irriverente verso una delle peggiori produzioni Fiat: la Duna. Quanto tempo è passato da quel periodo di satira senza uguali e senza timori. Ce lo vedi oggi il tuo giornale a commentare le critiche mosse alla batteria della nuova Panda ibrida limitata a 0.130 kWh?
Alla fine della fiera, hai ragione tu, il lettore può scegliere chi leggere. E mai come oggi il panorama delle firme è assai variegato. Ci sei tu che hai motivato come le corde dell’amaca non si sposteranno da Repubblica. C’è chi, come Recalcati, dopo un periodo al Manifesto (quotidiano comunista) approda a La Stampa dove la proprietà è nota. Poi ci sono quelli come Deaglio e Lerner che hanno sbattuto la porta perché allergici al nuovo padrone.
Concludo confidando nella tua antica e mai spenta vena dissacratoria ed iconoclasta che saprà suggerire agli organizzatori del prossimo appuntamento di Repidee un tema: il padrone in redazione. Chissà che dibattito interessante ne verrà fuori.