Durante il periodo della pandemia nelle Rsa sono decedute almeno 3.772 persone positive al tampone o con sintomi da Covid e chi gestisce le residenze per anziani ha lamentato in particolare la difficoltà nel riuscire ad accedere al test diagnostico e a reperire kit di protezione. Sono le due principali conclusioni del report dell’Istituto superiore di Sanità, elaborato in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie.
Un report con un limite importante: al questionario inviato dal gruppo di studio dell’Iss hanno risposto 1.356 strutture sulle 3.292 contattate, pari al 96% delle Rsa censite sul territorio nazionale. I numeri assoluti, quindi, sono falsati dalle quasi 2mila case di riposo che non hanno fornito una risposta e dalla distribuzione geografica di coloro che invece hanno rispedito all’Istituto Superiore di Sanità il questionario compilato. Un esempio per tutti: in Lombardia, la regione più colpita dal coronavirus, ci sono 678 strutture, hanno risposto 292.
L’indagine si riferisce al periodo che va dall’1 febbraio al 30 aprile e, scrive l’Iss, “nel totale dei 9.154 soggetti deceduti nelle Rsa, 680 erano risultati positivi al tampone e 3.092 avevano presentato sintomi simil-influenzali”. In totale, dunque, sono morti 3.772 pazienti infetti o con sintomi riconducibili al Covid.
“In sintesi, il 7,4% del totale dei decessi ha interessato residenti con riscontro di infezione da Sars-CoV-2 e il 33,8% ha interessato residenti con manifestazioni simil-influenzali a cui però non è stato effettuato il tampone”, si legge nel report di 30 pagine che individua il picco dei decessi “nel periodo 16-31 marzo”.
Carenza di mascherine e dispositivi di protezione, ma anche di personale sanitario, informazioni e farmaci, oltre alla difficoltà ad eseguire tamponi, sono le principali criticità segnalate dalle Rsa italiane alle prese con la pandemia. Tra le strutture che hanno riposto in 972 (77,2%) hanno riportato al momento del completamento del questionario la mancanza di dispositivi di protezione individuale, mentre 263 (20,9%) hanno riportato una scarsità di informazioni ricevute circa le procedure da svolgere per contenere l’infezione.
Inoltre 123 (9,8%) strutture segnalano una mancanza di farmaci, 425 (33,8%) l’assenza di personale sanitario e 157 (12,5%) difficoltà nel trasferire i residenti affetti da Covid-19 in strutture ospedaliere. Infine, 330 strutture (26,2%) dichiarano difficoltà nell’isolamento dei residenti affetti da Covid-19 e 282 “hanno indicato l’impossibilità nel far eseguire i tamponi”, si legge nel rapporto.
Il 21,1% delle Rsa ha avuto casi di positività tra il personale della struttura. In particolare, alla domanda se fosse stata riscontrata positività tra gli operatori della Rsa hanno risposto 1.320 strutture e, tra queste, 278 (21,1%) hanno dichiarato casi di contagio tra il personale.
Le regioni che presentano una frequenza più alta di strutture con personale riscontrato positivo sono le Province autonoma di Bolzano (50,0%) e di Trento (46,7%), seguite da Lombardia (40%), Piemonte (25%) e Marche (23,5%). Sotto il 20% Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Toscana. Valori inferiori al 10% o uguali a zero per le altre regioni. Questa variabile – osserva l’Iss – risente delle politiche adottate da ciascuna Regione, e a volte da ciascuna Asl o distretto sanitario, sull’indicazione a eseguire i tamponi.